Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 13197 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 13197 Anno 2024
Presidente: COGNOME PASQUALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/05/2024
O R D I N A N Z A
sul ricorso iscritto al NUMERO_DOCUMENTO del 2023 promosso da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME e NOME COGNOME , con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliato nello studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente –
R.G. 1860/2023
COGNOME.
Rep.
C.C. 26/3/2024
Consiglio di Stato
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e contro
NOME RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE, in persona dei legali rappresentanti pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO;
-controricorrente –
per la cassazione della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 4832/2022, depositata il 14 giugno 2022.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26 marzo 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
-Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, con sentenza in data 17 ottobre 2018, ha respinto il ricorso proposto dal signor NOME COGNOME per l’annullamento del provvedimento di decadenza dall ‘ assegnazione di un alloggio popolare a RAGIONE_SOCIALE, avendo ritenuto legittimo il provvedimento impugnato in quanto ragionevolmente fondato sull’abbandono ingiustificato dell’alloggio da parte dell’ inquilino.
-L’appello del COGNOME è stato rigettato dal Consiglio di Stato con sentenza n. 4832 del 2022, pubblicata il 14 giugno 2022.
Il Consiglio di Stato ha osservato che, nel caso di specie, dagli accertamenti eseguiti dal RAGIONE_SOCIALE e dall’RAGIONE_SOCIALE è risultato che l’ assegnatario non abitava stabilmente l’alloggio e si era allontanato dallo stesso senza la preventiva autorizzazione dell’ente gestore.
Ha proseguito il giudice amministrativo d’appello affermando che la decadenza dall’assegnazione, ai sensi all’art. 18, comma 1, lett era a),
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del regolamento regionale della Lombardia n. 1 del 2004, risulta fondata sugli accertamenti e sui sopralluoghi svolti in un arco temporale piuttosto esteso, compreso tra il mese di luglio 1999 e il mese di luglio dell’anno successivo , fra i quali rilevano: a) la nota dell’8 luglio 1999, con cui il custode dello stabile segnalava l’assenza dell’inquilino e la presenza nell’abitazione di due soggetti non identificati; b) i rapporti ispettivi, redatti dai funzionari RAGIONE_SOCIALE, del 21 luglio e del 13 settembre 1999, che evidenziavano la presenza nell’immobile di due cittadini rumeni -non segnalati ad NOME -oltre all’assenza del NOME; c) il verbale della Polizia locale di RAGIONE_SOCIALE del 24 febbraio 2000, che confermava l’assenza dell’assegnatario e il continuo passaggio nell’alloggio di persone non identificate.
Secondo il Consiglio di Stato, a fronte di tali elementi probatori, ritenuti gravi, precisi e concordanti, l ‘ interessato non ha fornito alcun elemento di prova, nemmeno a livello indiziario, della sua effettiva presenza nell’alloggio nel periodo considerato, né ha giustificato in qualche modo le ripetute assenze durante le ispezioni.
Il Consiglio di Stato, infine, ha disatteso, in quanto irrilevante, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 22 della legge della Regione Lombardia n. 91 del 1983 e dell’art. 17 del d.P.R. n. 1035 del 1972, per supposta violazione degli artt. 97 e 10 della Costituzione, con riferimento all’avvenuto riconoscimento della condizione di rifugiato politico ai sensi della convenzione relativa allo statuto dei rifugiati firmata a Ginevra il 28 luglio 1951: sia perché non sarebbe chiaro in qual modo il signor NOME sarebbe stato discriminato nel corso del procedimento di decadenza dall’assegnazione e nell’applicazione della norma regionale, riferita indifferentemente agli stranieri e ai cittadini italiani; sia perché non rileva lo status di rifugiato politico a suo tempo riconosciuto al medesimo, atteso che la Romania è un Paese membro dell’Unione Europea.
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-Per la cassazione della sentenza del Consiglio di Stato il signor NOME COGNOME ha proposto ricorso, con atto notificato il 13 gennaio 2023, sulla base di tre motivi. Il ricorrente ha formulato anche, in via subordinata, un’istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.
Hanno resistito, con controricorso, il RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE.
-La Prima Presidente ha proposto la definizione accelerata del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., avendo ritenuto che i motivi di ricorso si appalesano inammissibili (anche in relazione alle riproposte istanze di rimessione alla Corte costituzionale e alla Corte di giustizia UE), che integrano, in astratto, errores in iudicando incensurabili dinanzi alle Sezioni Unite, in quanto inerenti ai limiti interni della giurisdizione amministrativa.
-La parte ricorrente, con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
-Il ricorso è stato, quindi, avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ., in prossimità della quale il ricorrente ha presentato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo (violazione dei limiti della giurisdizione del giudice amministrativo; v iolazione dell’art. 111 Cost.; violazione degli artt. 7 e 134 cod. proc. amm. per essersi il Consiglio di Stato sostituito all’ amministrazione nel formulare un giudizio che eccede il sindacato consentito nella giurisdizione esclusiva appartenente al merito delle scelte che spettano all’ amministrazione pubblica; vizio della sentenza impugnata per eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento nell’area riservata alla Pubblica Amministrazione; v iolazione dell’art. 22 della legge della Regione Lombardia n. 91 del 1983 e dell’art . 17 del d.P.R. n. 1035 del 1972, in relazione all’art. 3 della legge n. 241 del
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1990, all ‘ art. 97 Cost. e all’art. 10 Cost., quest’ultimo in riferimento a ll’art. 21 della convenzione relativa allo statuto dei rifugiati firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 e in conformità della legge n. 722 del 1954; nonché violazione del d.lgs. n. 251 del 2007, recante attuazione alla direttiva 2004/83/CE) il ricorrente si duole che la decisione del Consiglio di Stato abbia indebitamente invaso le prerogative dell’ amministrazione. L’affermazione, contenuta nella sentenza imp ugnata, secondo cui attualmente non rileva lo status di rifugiato politico a suo tempo riconosciuto all’appellante, atteso che la Romania è un Paese membro dell’Unione Europea, equivarrebbe a revocare o a dichiarare cessato lo status di rifugiato politico del signor NOME. Vi sarebbe uno sconfinamento del Consiglio di Stato nell’ambito della specifica competenza della P.A., con evidente eccesso di potere giurisdizionale, dato che il giudice amministrativo in nessun modo potrebbe interferire sul provvedimento assunto in materia di riconoscimento di status di rifugiato per stabilirne l’irrilevanza. Il ricorrente sottolinea, inoltre, che la Romania è entrata a far parte dell’Unione Europea il 1° gennaio 2007 e che, invece, i fatti da cui scaturisce il provvedimento di decadenza si collocano negli anni dal 1999 al 2001, quando la Romania non faceva ancora parte dell’Unione Europea e il sig nor NOME vantava pienamente lo status di rifugiato, con tutte le garanzie del caso. Il giudice amministrativo avrebbe stabilito che al signor NOME non doveva più essere riconosciuto ‘il trattamento più favorevole possibile’, ma solo che doveva essere verificato in che modo egli fosse stato ‘discriminato ne l corso del procedimento di decadenza dall’assegnazione’ , rigettando il motivo di impugnazione per un’asserita insufficiente dimostrazione di tale discriminazione. Così decidendo, il giudice amministrativo d’appello avrebbe mal posto la questione, perché, sussistendo l’obbligo d el trattamento più favorevole possibile in materia di alloggi, non avrebbe dovuto concentrare la propria attenzione sulla discriminazione, ma solo
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dare atto che lo status di rifugiato sussisteva, non essendo mai stato né revocato né dichiarato cessato dall’autorità competente , e quindi stabilire se il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE avessero o meno attuato la convenzione rispettando l’obbligo del trattamento più favorevole possibile. Il Consiglio di Stato avrebbe, invece, oltrepassato i limiti della propria giurisdizione e invaso la sfera riservata alla P.A., alla quale è rimesso di stabilire se la condizione di rifugiato sussista o meno e quali siano le relative conseguenze applicative.
Con il secondo motivo (violazione dei limiti della giurisdizione del giudice amministrativo; v iolazione dell’art. 111 Cost. ; violazione degli artt. 7 e 134 cod. proc. amm. per essersi il Consiglio di Stato sostituito all’ amministrazione nel formulare un giudizio appartenente al merito delle scelte discrezionali) il ricorrente si duole che il Consiglio di Stato si sarebbe sostituito all’ a mministrazione nello svolgimento dell’istruttoria onde ritenere che questa abbia correttamente dato atto della ricorrenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento ‘a tal punto obbligatorio’ di decadenza . Le operazioni svolte dal Consiglio di Stato per giungere alla predetta motivazione avrebbero di fatto integrato la fase istruttoria che avrebbe invece dovuto svolgere la P.A., ma che né il RAGIONE_SOCIALE né l’RAGIONE_SOCIALE avevano svolto, al fine di stabilire il superamento del periodo necessario per la decadenza.
Con il terzo motivo, prospettato in via subordinata, si deduce l’i llegittimità costituzionale della normativa di cui all ‘ art. 22 della legge regionale n. 91 del 1983 e all’ art. 17 del d.P.R. n. 1035 del 1972, in relazione all’art. 3 della legge n. 241 del 1990, all’art. 97 Cost. e in relazione all’art. 10 Cost. , nonché all’avvenuto riconoscimento della condizione di rifugiato politico, ai sensi della convenzione relativa allo statuto dei rifugiati firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 e in conformità della legge n. 722 del 1954.
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In via di ulteriore subordine, il ricorrente formula un’istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ai fini di una pronuncia preliminare sulla compatibilità della normativa adottata dallo Stato membro con la direttiva 2004/83 CE, come sostituita dalla direttiva 2011/95/UE sull’attribuzione della qualifica di rifugiato in base ai principi contenuti nella convenzione relativa allo statuto dei rifugiati firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 e in conformità della legge n. 722 del 1954.
2. -I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, data la loro stretta connessione.
Essi sono, entrambi, inammissibili.
-Occorre premettere che nei confronti delle sentenze del Consiglio di Stato è ammesso il ricorso alla Corte di cassazione per i soli motivi inerenti alla giurisdizione (art. 111, ottavo comma, Cost., art. 362 cod. proc. civ. e art. 110 cod. proc. amm.).
Il ricorso alla Corte di cassazione è ammesso per denunciare la violazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa.
Di conseguenza, il ricorso è possibile: (a) in caso di difetto assoluto di giurisdizione, cioè quando il Consiglio di Stato affermi o eserciti la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (configurandosi, in tal caso, una invasione o uno sconfinamento); (b) quando, al contrario, il Consiglio di Stato neghi la giurisdizione sull’erroneo presupposto che la materia non può fo rmare oggetto, in assoluto, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); (c) allorché il giudice amministrativo affermi la propria giurisdizione in materia attribuita ad altra giurisdizione oppure, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici (difetto relativo di giurisdizione) (Cass., Sez. Un., 4 febbraio 2021, n. 2605; Cass., Sez. Un., 8 gennaio 2024, n. 566).
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Il primo caso mira a salvaguardare il principio della separazione dei poteri, che non tollera invasioni di campo del potere giudiziario negli ambiti propri del potere legislativo e di quello esecutivo.
Il secondo caso tende a tutelare il principio di indefettibilità della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive, che non ammette vuoti di tutela da parte del giudice.
Il terzo caso, infine, è funzionale al rispetto degli ambiti di giurisdizione tra i vari plessi giurisdizionali.
Mentre l ‘ ipotesi dell ‘ eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore ricorre in presenza di un’ operazione di vera e propria creatività interpretativa, tale da trasmodare nella creazione o nella negazione di norme del diritto obiettivo e, per suo tramite, nella creazione o nel disconoscimento (in astratto) di nuove situazioni soggettive, in violazione del principio di assoggettamento del giudice alla legge; per quanto riguarda lo sconfinamento nella sfera riservata all’amministrazione, l’usurpazione della funzione ammin istrativa sussiste quando il Consiglio di Stato, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera del merito, istituzionalmente riservato alla pubblica amministrazione, compia una diretta e concreta valutazione dell ‘ opportunità e della convenienza dell’atto ovvero quando la decisione finale esprima la volontà del giudicante di sostituirsi a quella dell’a mministrazione (Cass., Sez. Un., 13 maggio 2020, n. 8846; Cass., Sez. Un., 18 febbraio 2022, n. 5365).
4. -Nella specie, non è ipotizzabile il denunciato eccesso da sconfinamento nelle valutazioni di competenza della pubblica amministrazione.
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4.1. -Il Consiglio di Stato, difatti, rimanendo nei confini delle proprie attribuzioni, ha emesso una decisione con la quale non ha ravvisato i vizi di legittimità prospettati dal signor COGNOME nei confronti dell’atto amministrativo di deca den za dall’assegnazione per abbandono dell’alloggio .
Il giudice amministrativo ha ritenuto che l’amministrazione comunale ha agito sulla scorta di una adeguata attività istruttoria, che dimostrava l’assenza dell’inquilino nel periodo considerato nel corso di tutti gli accertamenti e i sopralluoghi svolti in un arco temporale piuttosto esteso; e ha rilevato la non pertinenza dell’ospitalità offerta dal NOME, nello stesso alloggio, ad altri connazionali, trattandosi di circostanza non incidente sulla ragione della decadenza, legata all’accertamento del l’abbandono dell’alloggio da parte dell’originario assegnatario.
Sotto quest’ultimo profilo, il Consiglio di Stato ha osservato, interpretando la disciplina applicabile e richiamando propri precedenti, che incorre nella decadenza dall’assegnazione l’inquilino il quale non abbia fissato effettivamente e stabilmente la propria abitazione nell’alloggio come sede esclusiva e principale della propria vita domestica, non essendo sufficiente che egli tenga l’alloggio a di sposizione. La decadenza dall’assegnazione per abbandono, infatti , costituisce lo strumento per evitare che abitazioni destinate a categorie meno protette rimangano nella disponibilità di chi non ne abbia effettivo bisogno.
Così raggiunto argomentativamente il convincimento sulla legittimità della determinazione assunta dalle amministrazioni resistenti, dal testo della sentenza risulta che il Consiglio di Stato ha scrutinato, e riscontrato, la legittimità dell’atto impugnato non modificandone l’impianto motivazionale, ma traendo dagli stessi accertamenti e sopralluoghi svolti dalle amministrazioni (e dalla mancanza di elementi di prova forniti dall’interessato circa la sua effettiva presenza nell’alloggio
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nel periodo considerato) elementi univoci, confermativi delle ragioni alla base del provvedimento impugnato.
Si è di fronte ad una pronuncia di rigetto del giudice amministrativo, la quale si esaurisce nella conferma del provvedimento impugnato e non si sostituisce, per definizione, all’atto amministrativo, sicché non è ipotizzabile, in tale tipo di pronuncia, uno sconfinamento nella sfera del merito, e quindi una invasione della discrezionalità e dell’ opportunità dell’az ione amministrativa (Cass., Sez. Un., 9 novembre 2001, n. 13927; Cass., Sez. Un., 13 marzo 2019, n. 7207; Cass., Sez. Un., 3 novembre 2023, n. 30548).
A ciò aggiungasi che, n el caso in esame, proprio l’og g etto dell’indagine svolta dal Consiglio di Stato, avente come termine di riferimento non già i vantaggi e gli inconvenienti derivanti dalla soluzione adottata ma la valutazione (compiuta sulla scorta dei documenti di causa) della legittimità del l’impugnato provvedimento di decadenza, consente di escludere che, attraverso il predetto apprezzamento, il giudice amministrativo si sia spinto oltre i limiti del sindacato di legittimità ad esso demandato, svolgendo un controllo sulla convenienza e sul l’opportunità del provvedimento di decadenza.
Il ricorrente, per vero, contesta anche in questa sede il giudizio espresso dal Consiglio di Stato in merito alla adeguatezza della istruttoria compiuta dalle amministrazioni ai fini dell’adozione de l provvedimento di decadenza dall’assegnazione. Ad avviso del ricorrente, il giudice amministrativo avrebbe integrato la fase istruttoria compiuta dall’amministrazione, ritenendo gravi, precisi e concordanti gli elementi probatori racc olti, nel senso della loro idoneità a comprovare l’abbandono dell’alloggio per un periodo prolungato. I n particolare, il ricorrente sostiene che nella sentenza verre bbero citati solamente la nota dell’8 luglio 1999, i rapporti ispettivi dei funzionari RAGIONE_SOCIALE del 21 luglio 1999 e del 13 settembre 1999 e il verbale della Polizia locale del 24 febbraio
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2000, che non coprirebbero il periodo indicato nella sentenza luglio 1999 -luglio 2000 e che non potrebbero dimostrare che vi sia stato abbandono da parte del signor COGNOME NOME dell’immobile per un periodo superiore a sei mesi continuativi, lasciando scoperto, e quindi non accertato, il periodo che va dal 13 settembre 1999 al 24 febbraio 2000.
In realtà, deve ribadirsi che, affermando che l’amministrazione ha adottato il provvedimento di decadenza sulla scorta di una adeguata attività istruttoria, univocamente convergente nel senso di escludere l’effettiva presenza dell’inquilino nell’alloggio nel periodo considerato, il Consiglio di Stato ha compiuto solo valutazioni rientranti nello schema del giudizio di legittimità.
Il segmento di giudizio che attiene alla ricognizione della esistenza della fattispecie di abbandono dell’alloggio, come quello che riguarda la ricorrenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento impugnato, si colloca nel campo del giudizio di legittimità, non in quello del giudizio sul merito amministrativo.
4.2. -Né è configurabile il denunciato sconfinamento nell’area riservata alla pubblica amministrazione per avere il Consiglio di Stato ritenuto non rilevante lo status di rifugiato politico a suo tempo riconosciuto al signor NOME.
Così decidendo (tanto avuto riguardo alla sopravvenuta appartenenza della Romania all’Unione Europea, quanto in considerazione della ritenuta assenza di discriminazione), il Consiglio di Stato non ha certo interferito sul provvedimento assunto in tema di riconoscimento di quello status , ma ha escluso che, da esso, derivi un ‘ esenzione privilegiaria dalla applicazione della norma che, riferita indifferentemente agli stranieri e ai cittadini italiani, ricollega la decadenza dall’assegnazione all’intervenuto ac certamento di una inutilizzazione del l’alloggio per un periodo superiore a sei mesi consecutivi.
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La sentenza del giudice amministrativo, di rigetto dell’impugnativa proposta avverso la deliberazione assunta dalla P.A. che dichiara decaduto lo straniero dall’assegnazione per abbandono ingiustificato dell’alloggio di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE pubblica, non è affetta da invasione della sfera della pubblica amministrazione, essendo il frutto dell’ interpretazione della normativa sulla garanzia, per i titolari dello status di rifugiato, della parità di trattamento con i cittadini italiani, nel senso della applicazione, ai cittadini italiani e alle persone bisognose della protezione internazionale, senza discriminazioni ma anche senza ingiustificati privilegi, della stessa norma sul requisito essenziale, per il mantenimento del beneficio da parte dell’assegnatario, della stabile occupazione dell’alloggio.
Il Consiglio di Stato, in altri termini, non si è sostituito agli organi della pubblica amministrazione chiamati a riconoscere, o a revocare, lo status di rifugiato, né ha compiuto una scelta di opportunità o di convenienza sulle condizioni che consentono il riconoscimento della protezione internazionale. Lungi da tutto ciò, il giudice amministrativo ha provveduto, nell’alveo dell’esercizio del la propria giurisdizione, ad interpretare -decidendo su un motivo di doglia nza svolto dall’appellante -la portata precettiva delle norme (statali e regionali) disciplinanti la materia e a stabilire che non riceve un trattamento discriminatorio lo straniero, titolare dello status di rifugiato, che viene dichiarato decaduto dall’assegnazione per aver lasciato inutilizzato l’alloggio assentandosi per un periodo superiore a sei mesi continuativi.
Siffatta conclusione si pone, del resto, in coerenza e in continuità con la premessa, contenuta nella sentenza impugnata, circa la funzione e la ratio dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE pubblica.
Tale funzione consiste nel fornire alloggi per i lavoratori e le famiglie meno abbienti. Il diritto all’abitazione di tali categorie costituisce,
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infatti, un connotato della forma costituzionale di Stato sociale, ma resta assoggettato ad una serie di condizioni fissate dalla legge, tra cui è compreso il requisito essenziale della stabile abitazione dell’alloggio da parte dell’assegnatario.
Obiettivo della disciplina normativa sull’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE pubblica è riconoscere il valore primario del diritto all’abitazione , in presenza di un effettivo bisogno, quale fattore fondamentale di inclusione, di coesione sociale e di qualità della vita.
5. -Il terzo motivo, con cui viene riproposta l’istanza di rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale dichiarata irrilevante dal Consiglio di Stato, è, a sua volta, inammissibile.
La riproposizione dell’eccezione di illegittimità costituzionale mira, nella prospettiva del ricorrente, a veder accertato il mancato rispetto, nella vicenda concreta, dell’obbligo, discendente dalla convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati, della concessione del trattamento più favorevole possibile in materia di alloggi.
La questione è inammissibile, perché non rientra affatto nell’ambito del sindacato sui limiti esterni della giurisdizione, ma tende a evidenziare un error in iudicando del Consiglio di Stato nell’interpretazione della disciplina applicabile sul fondo della controversia, per il denunciato contrasto con la normativa sovraordinata di rango costituzionale e con la convenzione di Ginevra alla quale lo Stato italiano ha aderito.
Poiché, infatti, il vigente sistema di sindacato incidentale di costituzionalità attribuisce a qualunque autorità giurisdizionale, innanzi a cui sia sollevata la relativa eccezione, il potere di respingerla per manifesta irrilevanza o infondatezza, è inammissibile il ricorso per cassazione avverso una decisione del Consiglio di Stato con cui si censuri il concreto esercizio di un siffatto potere da parte del giudice ammini-
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strativo – con riferimento a disposizioni concernenti, non la giurisdizione ma, la disciplina sostanziale dei rapporti innanzi a questo dedotti – non potendo, per definizione, integrare, quell’esercizio, un vizio di eccesso di potere giurisdizionale sindacabile dalle Sezioni Unite alla stregua degli artt. 111, ottavo comma, Cost., 362, primo comma, cod. proc. civ. e 110 cod. proc. amm. (Cass., Sez. Un., 8 aprile 2022, n. 11547).
6. – Questa Corte neppure può disporre il rinvio pregiudiziale sulla compatibilità della normativa interna con la disciplina dell’Unione , perché la pronuncia da parte della Corte di giustizia sarebbe funzionale a disvelare eventuali errori in cui il Consiglio di Stato possa essere eventualmente incorso nell’interpretazione e applicazione di disposizioni sostanziali di diritto interno in rapporto al diritto dell’Unione, ma tali errori non sarebbero scrutinabili da queste Sezioni Unite, non attenendo a motivi di giurisdizione e non potendo quindi condurre in nessun caso alla cassazione dell’impugnata sentenza ai sensi degli artt. 111, ottavo comma, Cost., 362 cod. proc. civ. e 110 cod. proc. amm. (Cass., Sez. Un., 18 gennaio 2022, n. 1454).
Proprio sulla scorta della più recente giurisprudenza della Corte di COGNOMEzia -intervenuta con la sentenza 21 dicembre 2021, C-497/20 RAGIONE_SOCIALE , su sollecitazione di queste Sezioni Unite con l’ordinanza interlocutoria n. 19598 del 2020 -il controllo di giurisdizione non può estendersi al sindacato di sentenze di cui pur si contesti di essere abnormi o anomale ovvero di essere incorse in uno stravolgimento delle norme – sostanziali o processuali – di riferimento, pur quando si tratti di norme direttamente applicative del diritto dell’Unione Europea (Cass., Sez. Un., 30 agosto 2022, n. 25503).
7. -Il ricorso è, dunque, inammissibile.
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Il ricorrente deve essere condannato alla rifusione delle spese in favore delle Amministrazioni controricorrenti, liquidate come da dispositivo.
-Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, ricorrono i presupposti processuali per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
-La decisione da parte del Collegio è conforme alla proposta di definizione accelerata formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
La conformità è integrale: riguarda non solo l’esito del ricorso, inteso come dispositivo o formula terminativa della deliberazione, ma anche le ragioni che tale esito sostengono.
Anche nella proposta di definizione accelerata della Prima Presidente, infatti, l’inammissibilità del ricorso è prefigurata sul rilievo che i motivi di ricorso prospettano asseriti profili di eccesso di potere giurisdizionale che integrano errores che si pongono al di fuori del perimento del sindacato delle Sezioni Unite.
-Avendo la Corte definito il giudizio in conformità alla proposta ex art. 380bis cod. proc. civ., trova applicazione la previsione di cui all’art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., come testualmente previsto dal citato art. 380bis , ultimo comma (“Se entro il termine indicato al secondo comma la parte chiede la decisione, la Corte procede ai sensi dell’articolo 380bis .1 e quando definisce il giudizio in conformità alla proposta applica l’articolo 96, terzo e quarto comma”).
L’art. 96, terzo comma, a sua volta, così dispone: “In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche
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d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”. Il quarto comma aggiunge: “Nei casi previsti dal primo, secondo e terzo comma, il giudice condanna altresì la parte al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000”.
Trattasi di una novità normativa (introdotta dal d.lgs. n. 149 del 2022) che contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore delegato, della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96, terzo comma) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000 (art. 96, quarto comma, ove, appunto, il legislatore usa la locuzione “altresì”).
In tal modo, risulta codificata un’ipotesi di abuso del processo, peraltro già immanente nel sistema processuale (da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale). Non attenersi ad una valutazione del Presidente che poi trovi conferma nella decisione finale lascia certamente presumere una responsabilità aggravata.
Se pure va esclusa una interpretazione della norma che conduca ad automatismi non compatibili con una lettura costituzionalmente compatibile del nuovo istituto, dovendo l’applicazione, in concreto, delle predette sanzioni rimanere affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso di specie (Cass., Sez. Un., 8 gennaio 2024, n. 566, cit.) , nondimeno, nell’ipotesi in esame, non si rinvengono ragioni per discostarsi dalla suddetta previsione legale.
Sulla scorta di quanto esposto, ed in assenza di indici che possano far propendere per una diversa applicazione della norma, la parte ri-
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corrente va condannata al pagamento della somma di euro 2.500 (valutata equitativamente) in favore di ciascuna delle Amministrazioni controricorrenti e di una ulteriore somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, per ciascun controricorrente, in euro 2.500 per compensi, oltre euro 200 per esborsi, spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Condanna il ricorrente al pagamento della somma di euro 2.500 in favore di ciascun controricorrente e di una ulteriore somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara che ricorrono i presupposti processuali per dare atto della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrent e , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 26 marzo 2024.