Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9960 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9960 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/04/2024
ORDINANZA
Oggetto
RESPONSABILITÀ CIVILE GENERALE
Responsabilità della P.A. – Progetto di lottizzazione approvato Mancata stipula della convenzione Assenza di legittimi atti di esercizio dello ‘ ius poenitendi ‘ -Danno risarcibile Natura – Lesione del solo ‘interesse negativo’ – Ragioni sul ricorso 28380-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del consigliere delegato e legale rappresentante ‘ pro tempore ‘, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO COGNOME (pec EMAIL), elettivamente domiciliata presso lo studio dell’ AVV_NOTAIO (pec EMAIL); R.G.N. 28380/2020 Cron. Rep. Ud. 13/12/2023 Adunanza camerale
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Sindaco ‘ pro tempore ‘, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (pec EMAIL) elettivamente domiciliato presso l’ AVV_NOTAIO COGNOME (pec EMAIL);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1255/20 del la Corte d’appello d i Palermo, depositata il 25/08/2020;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale del 13/12/2023 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 1255/20, del 25 agosto 2020, della Corte d’appello di Palermo, che accogliendo il gravame principale esperito dal Comune di RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza n. 620/15, del 17 giugno 2015, del Tribunale di Termini Imerese (respinto, invece, quello incidentale della società RAGIONE_SOCIALE) -ne ha rigettato la domanda di risarcimento danni, in relazi one all’illecito rifiuto del predetto Comune di convenzionare un piano di lottizzazione, già approvato dal RAGIONE_SOCIALE comunale.
Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di aver adito l’autorità giudiziaria, nel 1995, per lamentare l’illecito rifiuto dell’amministrazione comunale e del Sindaco di RAGIONE_SOCIALE di procedere al convenzionamento di un piano di lottizzazione già approvato dal RAGIONE_SOCIALE comunale con delibera n. 114 del 5 agosto del 1994, relativo ad un terreno in sua proprietà, ubicato nella contrada Suvarita del predetto Comune di RAGIONE_SOCIALE, da essa acquistato il 25 gennaio 1980.
Il giudizio così radicato metteva capo, dapprima, ad una duplice pronuncia dei giudici di merito, dichiarativa della sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario (non impugnata in sede di legittimità), nonché, successivamente, al riconoscimento de ll’ an della responsabilità del solo Comune, e non pure del Sindaco dello stesso. Difatti, la sentenza resa dal Tribunale termitano (n. 52/07, del 7 febbraio 2007), di condanna del convenuto Comune al risarcimento del danno, veniva confermata dalla Corte d’ appello palermitana, con sentenza n.
243/13, del 18 febbraio 2013, resa definitiva da questa Corte con ordinanza n. 12991/17, del 24 maggio 2017.
Osservava, al riguardo, questo giudice di legittimità che -in un caso, come quello presente, ‘in cui il piano di lottizzazione sia stato approvato dalla P.A. la quale, senza esercitare i poteri di autotutela mediante revoca o annullamento del piano stesso (artt. 21quinquies e 21nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241 )’, abbia ‘ però rifiutato la stipula della convenzione con un provvedimento finale annullato dal giudice amministrativo’ viene in rilievo ‘una particolare situazione di affidamento o aspet tativa qualificata dei privati’. Ne consegue, pertanto, che ‘il potere della P.A. di incidere negativamente su di essa’ esige ‘una specifica motivazione che dia conto del sopravvenuto venir meno dei presupposti di legittimità o delle condizioni che avevano determinato l’approvazione del piano stesso’. Ove ciò, invece, non avvenga , ‘il comportamento della P.A. che, come nella specie, non eserciti i poteri di autotutela previsti dalla legge, è qualificabile come illecito ed è suscettibile di conseguenze risarcitorie a carico della RAGIONE_SOCIALE, senza ulteriori riscontri circa la sua colpevolezza, in presenza di annullamento giurisdizionale del rifiuto di stipulare la convenzione’.
Proseguito, pertanto, il giudizio unicamente per la determinazione del ‘ quantum ‘ del risarcimento, il Tribunale di Termini Imerese, ‘qualificato in iure l’illecito come extracontrattuale e ritenendolo risarcibile -alla stregua del danno da illecito precontrattuale -nei soli limiti dell’interesse negativo, inteso come il pregiudizio che il danneggiato subisce per avere inutilmente confidato nella conclus ione del contratto’, riconosceva alla società attrice il solo danno emergente, accordandole unicamente il ‘risarcimento delle spese sostenute in vista della convenzione’. In particola re, queste venivano identificate nel ‘prezzo di acquisto degli immobili risultante
nell’atto di compravendita’ (pari a £. 471.280.000, ma in realtà al solo 67% di tale importo, a seguito di una riduzione del 33%, equitativamente stabilita in ragione del mantenimento della proprietà del fondo in capo alla società RAGIONE_SOCIALE), e nelle ‘spese tecniche sostenute per il piano di lottizzazione (£. 117.327.659), ma non, invece, quelle notarili (perché quantificate sulla base degli onorari notarili allora praticati e non su ricevute di pagamento)’, importi , tutti, maggiorati di rivalutazione e interessi.
Esperito gravame sia dal Comune di RAGIONE_SOCIALE che dalla società odierna ricorrente, il giudice di appello accoglieva il primo e respingeva il secondo, escludendo l’esistenza di alcun danno risarcibile e, dunque, rigettando la domanda risarcitoria.
Avverso la sentenza della Corte panormita ha proposto ricorso per cassazione la società RAGIONE_SOCIALE, sulla base -come già detto -di quattro motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 1225, 1226, 1337, 1338, 2043 e 2056 cod. civ., sotto il profilo della violazione del principio di integrale riparazione del danno, nonché violazione degli artt. 24, 97, 111 e 113 Cost. e degli artt. 42 Cost. e 6 CEDU, oltre che dell’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla stessa.
La sentenza impugnata è censurata per aver confermato la statuizione del primo giudice, che aveva identificato il solo danno astrattamente risarcibile (del quale, peraltro, la Corte territoriale ha poi escluso, in concreto, la ricorrenza) nelle ‘spese sostenute in vista della convenzione’ . Assume la ricorrente che essa non avrebbe ‘rettamente applicato le disposizioni regolatrici del risarcimento del danno civile, non avendo considerato la peculiarità dell’illecito perpetrato dalla pubblica amministrazione e definitivamente accertato’. In particolare, non si sarebbe dato
rilievo all’incisione di tale pregiudizio ‘su un bene/interesse di tale rilevanza da non potere essere ristorato se non includendo tra le poste risarcitorie -vuoi come «danno emergente» o come «lucro cessante» -la sostanziale privazione dell’esercizio de lla facoltà edificatoria in capo alla RAGIONE_SOCIALE, con conseguente incommerciabilità o certamente ridotta commerciabilità del terreno a suo tempo acquistato per la realizzazione di un vasto insediamento edilizio’.
Si addebita, dunque, ad ambo i giudici di merito di aver ‘trattato la questione del danno risarcibile come se la vicenda oggi in scrutinio potesse ricondursi ad una comune fattispecie di responsabilità civile per la rottura ingiustificata delle trattative di un qualsiasi contratto tra privati’, omettendo di considerare gli elementi peculiari della stessa. Per contro, si sarebbe dovuto attribuire rilievo, innanzitutto, alla ‘natura del contraente illecitamente sottrattosi all’obbligo di stipulare la convenzi one di lottizzazione, ossia un ente locale, soggetto ai principii di buon andamento e imparzialità di rilevanza costituzionale, nonché a precisi obblighi di legge rivenienti dalla disciplina urbanistica’, nonché alla stessa natura del contraente che, per effetto dell’illecito della pubblica amministrazione, ha visto impedita l’attività edificatoria, ossia ‘una impresa operante nel settore delle costruzioni edili’. Inoltre, nella loro valutazione, il Tribunale termitano prima e la Corte palermitana poi, avrebbero dovuto considerare ‘il grado elevatissimo di affidamento suscitato dal Comune quale conseguenza dell’approvazione da parte del RAGIONE_SOCIALE comunale del piano di lottizzazione e persino dello schema di convenzione’ e, infine, ‘l’effetto esiziale scaturente dal combinato operare del rifiuto illecito ed ingiustificato di convenzionare il piano e dal mancato esercizio di poteri di autotutela o di nuova pianificazione urbanistica, col risultato di
una prolungata e soprattutto indefinita nel tempo impossibilità materiale e giuridica di esercizio dello ius aedificandi ‘.
La decisione assunta, dunque, dal giudice di appello, ovvero ‘delimitare l’area del danno risarcibile alle sole spese vive (salvo poi respingere addirittura integralmente la domanda)’, si porrebbe in contrasto con la necessità che ‘la tutela risarcitoria per equivalente monetario possa integralmente riparare la lesione in termini di effettività, sì da porre il danneggiato in quella «curva di indifferenza» che le più moderne e accreditate analisi economiche del diritto indicano quale funzione minima e impres cindibile del rimedio risarcitorio a fronte dell’altrui condotta contra ius ‘.
D’altra parte, la peculiarità della presente fattispecie sarebbe stata rimarcata da questa Corte nell’ordinanza che ha definitivamente statuito quanto all’ an della responsabilità risarcitoria del Comune di RAGIONE_SOCIALE. Nella stessa, infatti, si è osservato che quello della società RAGIONE_SOCIALE non è interesse legittimo pretensivo, caratterizzato da un mero ‘giustificato e legittimo affidamento del privato nel successivo sviluppo (seppur non necessitato) dell’azione amministrativa’, bensì qualcosa di più e di diverso, data l’insorgenza, proprio per la presenza di un piano di lottizzazione approvato, di una ‘particolare situazione di affidamento o aspettativa qualificata’.
Assume, pertanto, la ricorrente che l’aspetto più qualificante della lesione di tale aspettativa ‘non poteva non essere colto nella vanificazione dell’investimento della RAGIONE_SOCIALE in ogni sua dimensione’, non esaurendosi, quindi, il danno da essa patito ‘nell e pure e semplici «spese vive» per acquistare un terreno o nelle «spese tecniche» per la redazione del progetto di piano di lottizzazione’.
In tale prospettiva, quindi, la liquidazione del danno sarebbe dovuta avvenire almeno sulla scorta dei principi enunciati dalla
più recente giurisprudenza di legittimità per superare ‘l’angustia risarcitoria delle sole «spese vive» sopportate per l’inutile trattativa’, avendo essa, in particolare, riconosciuto al proprietario di un immobile -‘in un caso di trattativa per una vendita immobiliare non seguita dalla stipula per illecito precontrattuale dell’aspirante acquirente’ ‘un danno figurativo da mancata percezione di canoni di locazione per tutta la durata delle inutili trattative ‘. In applicazione di tale criterio, il danno avrebbe dovut o essere quantificato ‘nella misura minima del valore locativo di mercato del terreno a suo tempo acquistato per l’intera durata di quella che, nei suoi effetti, finisce con l’atteggiarsi come una vera e propria occupazione illegittima e senza indennizzo d i un bene fruttifero’.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2729 e 2697 cod. civ., per avere la sentenza impugnata escluso che ‘esibissero caratteri di gravità, precisione concordanza gli elementi di fatto dai quali la COGNOME aveva ritenuto si potessero e dovessero ricavare elementi indiziari circa la prova dell’esistenza e dell’entità del danno dal lucro cessante’.
Si censura, in questo caso, la decisione della Corte palermitana nella parte in cui -secondo la ricorrente -essa ha inteso ‘irrobustire’ il rigetto del motivo di appello incidentale, con il quale ‘si denunciava l’enorme sottostima del danno concretamente patito’ da essa COGNOME, osservando che, quanto al “danno patrimoniale da mancato guadagno’, non sarebbero stati comunque offerti ‘elementi’ da cui potesse ‘trarsi l’entità’ dello stesso.
Osserva, al riguardo, la ricorrente che la ‘prova del danno da lucro cessante, ossia del profitto che uno dei contraenti si propone di realizzare per il tramite di un’operazione negoziale e impedito dal fatto illecito altrui, avendo per sua stessa natura ad oggetto
una vicenda futura, non può che essere fornita mediante il ricorso a presunzioni’. Orbene, l’impiego del ragionamento presuntivo avrebbe consentito, nel caso di specie, di ritenere dimostrato il danno da lucro cessante, alla stregua del principio secondo cui sussiste ‘la prova, sia pure indiziaria, della utilità patrimoniale che, secondo un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità), il creditore avrebbe conseguito se l’illecito non fosse stato commesso’.
3.3. Il terzo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. -violazione dell’art. 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (c.d. ‘legge urbanistica’), come modificato dall’art. 8, comma 6, della legge 2 ottobre 1967, n. 865, nonché dell’ar t. 14 della legge regionale siciliana 27 dicembre 1978, n. 71, oltre a violazione degli artt. 1223 e 2056 cod. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. sotto il profilo della vicinanza della prova; è denunciato, altresì, omesso esame di fatto decisivo e controverso, oltre a violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ., per manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata.
Si censura la decisione della Corte d’appello per aver ritenuto -in riforma della sentenza del primo giudice -che essa NOME non avesse ‘subito (almeno) il danno emergente da parametrarsi alla spesa affrontata per l’acquisto degli immobili’, e ciò ‘in quanto questi ultimi, non essendone variata nel tempo la destinazione urbanistica, avrebbero mantenuto la loro attitudine all’edificazione, sì che alla ricorrente sarebbero rimasti in proprietà beni che non avrebbero perduto alcun valore economico’.
In tal modo, tuttavia, la Corte territoriale avrebbe omesso del tutto di considerare che la ‘potenzialità edificatoria’ degli immobili acquistati dalla società ricorrente è stata fino ad oggi vanificata proprio dall’illecito dell’ente locale, il quale, ome ttendo di convenzionare la lottizzazione ed omettendo altresì di adottare
alcun provvedimento di ritiro o di annullamento in autotutela della deliberazione di approvazione del piano di lottizzazione, ha impedito e impedisce tuttora alla RAGIONE_SOCIALE il concreto esercizio dello ius aedificandi .
La ricorrente censura, in particolare, l’affermazione del giudice di appello secondo cui essa NOME non avrebbe ‘nemmeno comprovato’ che il terreno di sua proprietà non potesse ‘essere oggetto di analoga iniziativa imprenditoriale’, sicché sarebbe rimasta non accertata ‘l’asserita vanificazione del suo originario investimento’ per ‘fatto imputabile all’appellante’ Comune.
Osserva, al riguardo, la ricorrente che -in base alla legislazione statale e regionale vigente -‘solo dopo la stipula della convenzione di lottizzazione si perfeziona lo strumento urbanistico attuativo, e l’area interessata riceve così una disciplina urb anistica che consente di procedere all’edificazione, in concorso con la dotazione dell’area delle necessarie opere di urbanizzazione’. Difatti, ‘il rilascio delle singole concessioni edilizie’ è ‘espressamente subordinato dal legislatore nazionale’ (art. 2 8 della l. n. 1150 del 1942, come modificato dall’art. 8, comma 6, della l. n. 765 del 1967) ‘all’impegno a realizzare contemporaneamente ai fabbricati -le opere di urbanizzazione’, e ‘da quello regionale siciliano’ (art. 14, comma 5, della l.r. n. 71 del 1978), ‘addirittura, alla concreta realizzazione di quelle primarie, il cui onere -di cessione delle necessarie aree e monetario -deve essere assunto dal proprietario proprio in sede di convenzione di lottizzazione’. Ne consegue, quindi, che è ‘solta nto dopo la stipulazione della convenzione che sorge nel privato -insieme ad una serie di obligationes propter rem verso il Comune -una posizione giuridica atta a realizzare l’intervento nei tempi prestabiliti così da trarn e il frutto economico’.
Errata, pertanto, risulterebbe l’affermazione della sentenza impugnata, che esclude un decremento di valore delle aree acquistate da essa NOME in ragione di una mantenuta solo ‘ astratta ‘ potenzialità edificatoria. Così argomentando, il giudice d’appello non si sarebbe avveduto -si osserva nel ricorso -‘che la disciplina urbanistica nazionale e regionale non consente affatto alla società ricorrente di edificare’, e ciò ‘esattamente in ragione della mancanza della convenzione di lottizzazione per fatto illecito del Comune di RAGIONE_SOCIALE‘, solo all’esito della cui stipulazione avrebbero potuto ‘essere richiesti i permessi di costruzione ed avviate le attività di realizzazione degli interventi edilizi previsti dal Piano a suo tempo approvato e mai ritirato’.
Inoltre, nell’aver fatto carico ad essa NOMEdi non avere «nemmeno comprovato» che gli immobili acquistati «non possano essere ancora oggetto di analoga iniziativa imprenditoriale»’, la sentenza impugnata avrebbe ‘violato apertamente l’art 2697 cod. civ. sotto il profilo della violazione del principio di vicinanza della prova, corollario del quale è l ‘ ulteriore principio per cui negativa non sunt probanda ‘.
Infine, si denuncia ‘il macroscopico vizio motivazionale’ che inficerebbe ‘la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso il nesso di causalità tra l’acquisto dei terreni da parte della COGNOME e la mancata stipula della convenzione di lottizzazione sulla base del solo rilievo che tra l’uno e l’altra era trascorso un lasso di tempo di «oltre dieci anni»’, ciò da cui si è inferito che ‘l’acquisto del terreno non è stato di certo una spesa sopportata in vista della possibile stipula della convenzione’. Si tratterebbe, secondo la ricorrente, di un ragionamento ‘del tutto irrazionale’ (destinato, come tale, a collocarsi sotto la soglia del minimo costituzionale di motivazione), là dove ‘vi è sotteso l’illogico principio per cui un imprenditore edile che acquista un vastissimo appezzamento di terreno ricadente in zona «C» del P.R.G., ossia in un’area
edificabile solo previa approvazione e convenzionamento di un piano di Lottizzazione’, in caso di ‘rifiuto illecito di convenzionare la lottizzazione, non potrebbe invocare il risarcimento del danno emergente parametrandolo (quanto meno) al prezzo di acquisto dell’immobile se non in caso di compravendita stipulata in epoca prossima nel tempo (quanto prossima nel tempo?) all’illecito’.
3.4. Infine, il quarto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. -violazione degli artt. 1337, 1338, 1223, 1226, 2056 e 2697 cod. civ., oltre a omesso esame di fatto decisivo e controverso e a violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ., per manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata.
Essa è, infatti, censurata per non avere riconosciuto quale autonoma voce del danno emergente ‘la spesa sostenuta dalla società per la redazione del progetto di lottizzazione’, omettendo di considerare che la documentata attività progettuale doveva essere remunerata a pena di una ulteriore grave distorsione applicativa del concetto di ‘perdita subita dal creditore’ di cui all’art. 1223 cod. civ.
La ricorrente si duole di entrambe le ‘ rationes decidendi ‘ in forza delle quali la Corte territoriale ha escluso la risarcibilità pure dell’autonoma voce del danno emergente costituita dalla ‘spesa sostenuta dalla società per la redazione del progetto di lottizzazione’. Il giudice d’appello, infatti, ha ritenuto carente la ‘prova dell’esborso’, rilevando come ‘i consulenti del giudice’ avessero ‘autonomamente considerato la detta voce di danno, pur in assenza di alcuna allegazione e documentazione comprovante il pregiudizio’. Per altro verso, poi, esso ha affermato che ‘anche tale voce di spesa non rientra indubbiamente tra quelle effettuate in ragione dell’affidamento riposto nel successivo sviluppo positivo dell’iter amministrativo a
seguito dell’avvenuta approvazione del piano da parte del RAGIONE_SOCIALE omunale’.
Entrambe tali affermazioni risulterebbero del tutto errate, secondo la ricorrente.
La prima di esse, perché il Tribunale termitano -dopo aver affidato ai consulenti tecnici d’ufficio l’incarico di ‘quantificare l’ammontare dei danni subiti dalla società attrice, sia a titolo di danno emergente e lucro cessante ed a qualsiasi altro titolo’ ebbe, poi, ad integrare il quesito ai medesimi devoluto. Venne, dunque, precisato agli ausiliari di procedere alla valutazione del danno in considerazione delle caratteristiche tipiche della responsabilità precontrattuale, e dunque ritenendo che l’att ore avesse ‘diritto ad essere risarcito solo nei limiti del c.d. interesse negativo, rappresentato dalle spese sostenute in vista della stipula della convenzione -danno emergente -e dalle eventuali perdite sofferte per non avere usufruito di ulteriori occasioni, perdute per avere fatto affidamento sulla stipula della convenzione con il Comune RAGIONE_SOCIALE -lucro cessante -‘. Orbene, sulla base di tale quesito, nella relazione degli ausiliari del giudice si attestava l’esistenza delle ‘spese tecniche per la progettazione del Piano di Lottizzazione a firma dell’AVV_NOTAIO‘, della quale di stimava il valore -che la sentenza del primo giudice riteneva congruo -in £. 117.327.659 (pari € 60.594,68), e ciò in applicazione delle ‘tariffe stabilite dalle Circolari del Ministero dei Lavori Pubblici n. 6679 dell’11 dicembre 1969 e n. 22 del 10 febbraio 1976’.
La Corte palermitana, per contro, ha negato la possibilità di riconoscere tale somma quale danno emergente, sul presupposto che l’odierna ricorrente non avesse fornito ‘alcuna prova dell’esborso’ correlato alla ‘redazione del progetto di lottizzazione’. Co sì argomentando, tuttavia, essa sarebbe incorsa in un errore di diritto, ritenendo che il concetto di ‘spese
sostenute in vista della convenzione non potesse che identificarsi in «esborsi» da intendersi alla stregua di soli documentati già avvenuti pagamenti di somme di denaro’. In questo modo, però, sarebbe stato disatteso il principio secondo cui ‘la locuzione «perdita subita», con la quale l’art. 1223 cod. civ., individua il danno emergente, non può essere considerata indicativa dei soli esborsi monetari o di diminuzioni patrimoniali già materialmente intervenuti, ma include anche l’obbligazione di effettuare l ‘esborso, in quanto il vinculum iuris , nel quale l’obbligazione stessa si sostanzia, costituisce già una posta passiva del patrimonio del danneggiato, consistente nell’insieme dei rapporti giuridici, con diretta, rilevanza economica, di cui una persona è titolare’ (è citata, in particolare, C ass. Sez. 2, sent. 10 marzo 2016, n. 4718).
Per altro verso, poi, si osserva che affermare -come fatto dalla sentenza impugnata che -‘l’attività progettuale documentata in atti non dovesse essere remunerata per equivalente monetario costituisce una ulteriore grave distorsione applicativa del concetto di «perdita subita dal creditore» di cui all’art. 1223 cod. civ.’, giacché ‘il tempo, le risorse, le professionalità, le energie profuse da un imprenditore per la progettazione di un Piano di Lottizzazione prodromico alla realizzazione di un imponente insediamento edilizio, vanificato per fatto e colpa dell’ente locale, costituiscono altrettante «perdite» da ristorarsi ‘, e ciò sub specie di ‘ equivalente monetario ‘ , giacché ‘ altrimenti, ancora una volta, il principio di integrale riparazione ne risulterebbe violato’.
Quanto, infine, alla seconda ‘ ratio decidendi ‘, la ricorrente osserva che il vizio di illogicità che l’inficia ‘non ha certo necessità di essere illustrato: ancora una volta la Corte territoriale dimentica che il piano di lottizzazione era stato approvato dal RAGIONE_SOCIALE comunale, sì che il rifiuto illecito di convenzionarlo
imponeva la neutralizzazione di tutte le perdite di un’impresa che sulla realizzazione di quel piano aveva fatto affidamento effettuando considerevoli investimenti, uno dei quali consisteva proprio nella (vanificata) attività progettuale’ .
Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, il Comune di RAGIONE_SOCIALE, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del presente ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso va rigettato.
7.1. Il primo motivo non è fondato.
7.1.1. L’assunto del la ricorrente, secondo cui il danno derivante dall’illegittimo ( recte : illecito) rifiuto del Comune di RAGIONE_SOCIALE di addivenire alla stipulazione della convenzione di lottizzazione dovrebbe identificarsi nella ‘sostanziale privazione dell’esercizio della facoltà edificatoria’ , e non nella mera lesione dell’interesse negativo, come si trattasse a dire di NOME -di un ‘comune’ caso di rottura delle trattative, è smentito proprio dall’ordinanza di questa Corte , la n. 12991/17, che è intervenuta, in relazione all a presente vicenda, sul profilo dell’ an debeatur .
Essa, invero, distingue il caso in esame da quello della lesione di ‘interessi pretensivi puri’ (nel quale, ‘concretandosi la lesione nel diniego o nella ritardata assunzione di un provvedimento amministrativo di tipo ampliativo’, occorre valutare, ‘a mezz o di un giudizio prognostico, da condurre in base alla normativa applicabile, la fondatezza o meno della richiesta della parte, onde stabilire se essa fosse titolare di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, o di una situazione che, secondo un criterio di normalità, era destinata ad un esito favorevole’), giacché esso prescinde dalla necessità di una simile dimostrazione.
Nondimeno, la citata pronuncia sottolinea pure che ‘la stipula della convenzione’ in relazione alla quale si è determinato ‘il sorgere di una particolare situazione di affidamento o aspettativa qualificata del privato’ (nella specie, la società RAGIONE_SOCIALE) ‘non costituisce un atto dovuto’. Di talché, il danno da essa subito è dato dal fatto che tale aspettativa risulta frustata ingiustificatamente, ovvero perché l’amministrazione municipale ha fatto mancare ‘una specifica motivazione’ che desse ‘conto del sopravvenuto venir meno dei presupposti di legittimità o delle condizioni che avevano determinato l’approvazione del piano stesso’.
Sotto questo profilo, dunque, si coglie perfettamente l’analogia tra il presente caso e quello della ‘rottura ingiustificata delle trattative’. Così come ciascuno dei due paciscenti non ha un diritto alla conclusione del contratto, per il sol fatto che all ‘esito del ‘contatto sociale’ tra di essi si sia instaurata una trattativa potenzialmente destinata a sfociare in tale esito, ma solo quello ad essere risarcito del pregiudizio subito in ragione dell ‘ ingiustificata rottura delle trattative, analogamente il privato, il cui progetto di lottizzazione sia stato approvato dall’amministrazione comunale, non può pretendere la stipulazione della convenzione di lottizzazione, ma solo di essere ristorato da quel pregiudizio consistito nell’aver subito un ‘ripensamento’ da parte del Comune, in alcun modo ‘giustificato’ attraverso una congrua motivazione che sorreggesse un provvedimento adottato a norma degli artt. 21quinquies o 21nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241.
È, pertanto, il carattere ‘ingiustificato’ del ripensamento conosciuto da uno dei soggetti della relazione corrente ‘ inter partes ‘ ad integrare in entrambe le ipotesi messe a confronto -quella violazione del principio dell’ alterum non laedere (sotto forma di lesione della libertà negoziale) che legittima il ricorso al
rimedio risarcitorio. L’entità del quale, quindi, è da parametrarsi, non all’utilità perduta (perché ciò, nel caso qui in esame, equivarrebbe a contraddire la premessa secondo cui la stipula della convenzione non costituisce ‘atto dovuto’), ma all’interesse a non essere coinvolti in operazioni rivelatesi, alla fine, inutili.
Corretta, dunque, deve ritenersi la scelta -compiuta dal primo giudice e (astrattamente) condivisa da quello di appello -di limitare il risarcimento alla lesione dell’interesse negativo.
7.2. Il secondo motivo, invece, è inammissibile.
7.2.1. Una volta ritenuta corretta -sulla scorta delle considerazioni appena svolte -la ‘ ratio decidendi ‘ con cui il Tribunale di Termini Imerese ha identificato il danno da risarcire alla società RAGIONE_SOCIALE in quello da lesione dell’interesse negativo , ‘ ad instar ‘ di quello da rottura ingiustificata delle trattative, diviene irrilevante interrogarsi su quella che la stessa ricorrente, di fatto, identifica come una ‘ ratio decidendi ‘ aggiuntiva espressa dalla Corte palermitana, addebitandole di aver voluto ‘irrobustire’ la decisione assunta, sul punto, dal primo giudice.
Deve, infatti, darsi seguito al principio secondo cui, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza (o inammissibilità) delle censure mosse ad una delle ‘ rationes decidendi ‘ rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque c ondurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. Sez. 5, ord. 11 maggio 2018, n. 11493, Rv. 648023-01; in senso analogo già Cass. Sez. Un., sent. 29 marzo 2013, n. 7931, Rv. 625631-01; Cass. Sez. 3, sent. 14 febbraio 2012, n. 2108, Rv. 621882-01).
7.2.2. In ogni caso, poi, deve rilevarsi come il motivo sia, di per sé, inammissibile.
Esso denuncia, quale ‘rifiuto’ di compiere un ragionamento presuntivo circa l’esistenza del danno patito da NOME ‘ sub specie ‘ di lesione della sua ‘aspettativa edificatoria’, l’affermazione della Corte palermitana secondo cui, in relazione al lamentato ‘danno patrimoniale da mancato guadagno’ non sarebbero stati offerti ‘elementi’ da cui potesse ‘trarsi l’entità’ dello stesso.
Orbene, questa Corte ha affermato che il rifiuto di compiere un ragionamento presuntivo è ‘deducibile senza dubbio come vizio di falsa applicazione delle norme degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., in quanto nella motivazione della sentenza di merito si coglie e, quindi si denuncia, un’argomentazione motivazionale espressa con cui il giudice violando alcuno dei paradigmi dell’art. 2729 cod. civ. si rifiuta erroneamente di sussumere la vicenda fattuale (assunta proprio come egli l’ha individuata) sotto la norma stessa e, quindi, di applicare una presunzione che doveva applicare’, e ciò perché il ‘rifiuto espresso e motivato di individuare una presunzione « hominis »’ deve essere trattato ‘allo stesso modo dell’applicazione di una presunzione senza rispetto dei paradigmi normativi indicati dall’art. 2729 cod. civ.’, visto che in ‘entrambi i casi la denuncia in Cassazione è possibile secondo il verso della c.d. falsa applicazione della norma dell’art. 2729 cod. civ.’ (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 6 luglio 2018, n. 17720, Rv. 649663-01).
Tuttavia, nell’ipotesi che qui occupa, ciò che risulta mancare -nel testo della sentenza impugnata -è proprio tale rifiuto ‘espresso e motivato’, del giudice di appello, di trarre una ‘ presumptio hominis ‘ dagli elementi a sua disposizione, nel senso che la Corte palermitana non esplicita affatto per quali ragioni gli elementi indiziari, addotti da COGNOME per dimostrare l’esistenza del
danno da mancato guadagno risulterebbero privi dei caratteri della ‘gravità’, ‘precisione’ e ‘concordanza’, come individuati dall’art. 2729 cod. civ.
Di qui, pertanto, la (ulteriore) ragione di inammissibilità del motivo in esame.
7.3. Il terzo motivo non è fondato.
7.3.1. Esso, come detto, investe la decisione del giudice d’appello di escludere , in riforma della sentenza del Tribunale, la risarcibilità del danno emergente, parametrato -dal primo giudice -alla spesa affrontata per l’acquisto degli immobili .
A tale esito la Corte palermitana è pervenuta , tra l’altro, sul rilievo che COGNOME ‘nulla ha dedotto, se non tardivamente con le memorie conclusive’ , circa la possibilità che il terreno acquistato -del quale, peraltro, il giudice d’appello dà atto essersi comunque incrementato il valore, dal tempo dell’acquisto ‘possa essere oggetto di analoga iniziativa imprenditoriale’ , essendo rimasta, per tale ragione, non accertata, ‘l’asserita vanificazione dell’originario investimento’ per ‘fatto imputabile all’appellante’ principale.
Di talché, come correttamente osserva il controricorrente Comune, il silenzio serbato dalla ricorrente in ordine a tale aspetto -la tardività del rilievo svolto da essa COGNOME, giacché compiuto solo in sede di conclusione del giudizio -impone di ritenere che si sia ‘consolidata’ quella che proprio essa individua come una delle tre ‘ rationes ‘ poste dal giudice di appello a fondamento della decisione di riformare, sul punto del riconoscimento (almeno) del danno emergente, la sentenza resa in primo grado.
7.4. Il quarto motivo, infine, neppure è fondato.
7.4.1. La Corte palermitana, nell’escludere la risarcibilità del danno consistito nelle spese della procedura, ha fatto applicazione del principio secondo cui la consulenza tecnica (persino quando ‘percipiente’) resta un mezzo istruttorio rimesso al potere
discrezionale del giudice, il cui esercizio incontra il limite del divieto di servirsene per sollevare le parti dall’onere probatorio (tra le altre, Cass. Sez. 6-3, ord. 3 luglio 2020, n. 13736, Rv. 658504-01; Cass. Sez. 1, sent. 10 settembre 2013, n. 20695, Rv. 627911-01; Cass. Sez. 3, sent. 8 gennaio 2004, n. 88, Rv. 569316-01).
Né giova alla ricorrente il richiamo al principio -enunciato da questa Corte, negli arresti citati da COGNOME nel proprio atto di impugnazione -secondo cui ‘la locuzione «perdita subita», con la quale l’art. 1223 cod. civ., individua il danno emergente, non può essere considerata indicativa dei soli esborsi monetari o di diminuzioni patrimoniali già materialmente intervenuti, ma include anche l’obbligazione di effettuare l’esborso’. D eve, infatti, rilevarsi che, nella specie, neppure è stata dimostrata l’e sistenza di una effettiva obbligazione di pagamento nei confronti dell’architetto , ad esempio, producendo un preavviso di parcella, co sì come richiesta dall’arresto di questa Corte richiamato dalla ricorrente (Cass. Sez. 2, sent. 10 marzo 2016, n. 4718, Rv. 639071-01).
Le spese del presente giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti, sussistendo ‘giusti motivi’, a norma dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ., nel suo testo originario (anteriore, cioè, alle diverse modifiche legislative ad esso apportate, a cominciare da quelle di cui all’art. 2, comma 4, della legge 28 dicembre 2005, n. 263), testo applicabile ‘ ratione temporis ‘, essendo stato il primo grado della presente controversia instaurato con citazione notificata il il 24 ottobre 1995.
I giusti motivi debbono ravvisarsi nella peculiarità della presente vicenda e nell’assenza di precedent i giurisprudenziali di legittimità su casi affini.
A carico della ricorrente, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso, compensando integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della