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Danno comunitario: quando la stabilizzazione lo esclude?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18553/2024, ha stabilito principi cruciali in materia di risarcimento del danno comunitario per l’abuso di contratti a termine nel pubblico impiego. La Corte ha chiarito che il diritto al risarcimento non viene meno se il lavoratore viene assunto a tempo indeterminato da una Pubblica Amministrazione diversa da quella che ha commesso l’abuso. Inoltre, ha ribadito che la stabilizzazione, per avere efficacia ‘sanante’, deve essere una misura riparatoria diretta attuata dallo stesso datore di lavoro responsabile. Infine, fatti come la stabilizzazione avvenuti dopo la sentenza di appello non possono essere valutati nel giudizio di Cassazione.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Danno comunitario e stabilizzazione: la Cassazione traccia i confini

L’abuso del ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico è una questione complessa, che chiama in causa il delicato equilibrio tra le esigenze di flessibilità della Pubblica Amministrazione e la tutela dei diritti dei lavoratori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale: le condizioni alle quali la successiva assunzione a tempo indeterminato (c.d. stabilizzazione) può eliminare il diritto del lavoratore al risarcimento del danno comunitario. La pronuncia offre principi chiari, distinguendo tra stabilizzazione interna ed esterna all’amministrazione che ha commesso l’abuso.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dal ricorso di un gruppo di lavoratori di un’Azienda Sanitaria Regionale, i quali lamentavano l’illegittima apposizione del termine ai loro contratti di lavoro. Il Tribunale di primo grado, accogliendo parzialmente le loro domande, aveva dichiarato l’illegittimità dei contratti e condannato l’Azienda a pagare a ciascun lavoratore una somma a titolo di risarcimento del danno comunitario.

L’Azienda Sanitaria proponeva appello, ottenendo una parziale riforma della sentenza. La Corte d’Appello eliminava la condanna al risarcimento per alcuni lavoratori che, nel frattempo, erano stati stabilizzati dalla stessa Amministrazione. Per altri, invece, confermava il diritto al risarcimento.

Contro questa decisione, l’Azienda ricorreva in Cassazione, sollevando tre motivi principali. In primo luogo, contestava la condanna a favore di una lavoratrice stabilizzata dopo la pronuncia della sentenza d’appello. In secondo luogo, lamentava il mancato riconoscimento della stabilizzazione, avvenuta prima della sentenza d’appello, per un altro dipendente. Infine, sosteneva che anche i lavoratori assunti a tempo indeterminato da altre Aziende Sanitarie non avessero più diritto al risarcimento.

La Stabilizzazione come Causa di Elisione del Danno Comunitario

Il cuore della controversia risiede nel definire quando la stabilizzazione del lavoratore precario possa effettivamente ‘cancellare’ il danno comunitario derivante dall’abuso di contratti a termine. La giurisprudenza ha da tempo riconosciuto che la stabilizzazione, intesa come assunzione a tempo indeterminato, costituisce una misura satisfattiva che elide il danno subito dal lavoratore.

Tuttavia, la Corte di Cassazione, con questa ordinanza, precisa una condizione fondamentale: l’efficacia riparatoria della stabilizzazione è subordinata a un nesso di causalità diretto tra l’abuso commesso e la successiva assunzione. In altre parole, la stabilizzazione deve essere la misura con cui la stessa amministrazione responsabile pone rimedio al proprio comportamento illecito.

La rilevanza dell’identità del datore di lavoro

Il terzo motivo di ricorso, ritenuto infondato dalla Corte, si basava sull’assunto che l’assunzione a tempo indeterminato presso qualsiasi Pubblica Amministrazione fosse sufficiente a escludere il risarcimento. La Cassazione respinge nettamente questa interpretazione. L’assunzione da parte di un’altra amministrazione, sebbene positiva per il lavoratore, non costituisce una misura riparatoria dell’abuso perpetrato dal precedente datore di lavoro. Il diritto al risarcimento, pertanto, rimane intatto, poiché l’illecito originario non è stato sanato dall’ente che lo ha commesso.

L’irrilevanza dei fatti sopravvenuti nel giudizio di legittimità

Con riferimento al primo motivo, relativo alla lavoratrice stabilizzata dopo la sentenza d’appello, la Corte ribadisce un importante principio processuale. Il giudizio di Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. Ciò significa che la Corte non può esaminare fatti nuovi o prove non acquisite nei gradi precedenti. La stabilizzazione, essendo un ‘fatto modificativo’ del diritto, deve essere allegata e provata nel corso del giudizio di merito. Un fatto accaduto dopo la conclusione del secondo grado non può essere introdotto per la prima volta in Cassazione, poiché richiederebbe un accertamento di fatto precluso a quella sede.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso principale dell’Azienda Sanitaria basandosi su consolidati orientamenti giurisprudenziali. Ha affermato che la misura di elisione del risarcimento del danno comunitario si verifica solo quando la stabilizzazione è una ‘diretta conseguenza dell’abuso’ ed è attuata ‘dalla stessa amministrazione resasi responsabile’. L’assunzione presso un’altra P.A. è un evento neutro rispetto all’illecito commesso dal precedente datore di lavoro. Inoltre, ha dichiarato inammissibili le censure relative a fatti non valutabili in sede di legittimità, come la stabilizzazione successiva alla sentenza d’appello, o a questioni già risolte da una precedente sentenza di revocazione che aveva corretto un errore materiale della Corte d’Appello.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un principio di fondamentale importanza per la tutela dei lavoratori precari del settore pubblico. La stabilizzazione cancella il diritto al risarcimento del danno comunitario solo se rappresenta un rimedio specifico e diretto posto in essere dall’amministrazione che ha violato la legge. L’ottenimento di un posto a tempo indeterminato altrove non sana l’illecito pregresso, e il lavoratore conserva il diritto a essere risarcito. Questa decisione rafforza la funzione sanzionatoria e dissuasiva del risarcimento, incentivando le amministrazioni a porre fine direttamente alle situazioni di precarietà abusiva che esse stesse hanno creato.

Un lavoratore pubblico ha diritto al risarcimento per l’abuso di contratti a termine se viene poi assunto a tempo indeterminato da un’altra amministrazione?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il diritto al risarcimento del danno comunitario viene meno solo se la stabilizzazione è una conseguenza diretta dell’abuso ed è effettuata dalla stessa amministrazione che ha commesso l’illecito. L’assunzione da parte di un’altra P.A. non è considerata una misura riparatoria.

La stabilizzazione di un lavoratore, avvenuta dopo la sentenza di appello, può essere considerata nel giudizio di Cassazione per annullare la condanna al risarcimento?
No. La Corte di Cassazione non può valutare fatti nuovi avvenuti dopo la sentenza impugnata, specialmente se richiedono un nuovo esame di documenti o prove. Il giudizio di legittimità si basa sugli atti dei precedenti gradi di giudizio.

Che cos’è il ‘danno comunitario’ nel contesto del pubblico impiego?
È una forma di risarcimento del danno riconosciuta ai lavoratori del settore pubblico per l’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato da parte della Pubblica Amministrazione, in violazione della normativa dell’Unione Europea che mira a prevenire la precarietà.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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