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Corrispondenza tra chiesto e pronunciato: limiti al giudice

La Corte di Cassazione ha cassato una sentenza della Corte d’Appello per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Il giudice di secondo grado aveva liquidato un risarcimento danni superiore alla somma specificamente richiesta dagli appellanti. Il caso riguardava la nullità di una compravendita immobiliare per abusi edilizi. La Cassazione ha ribadito che il giudice non può superare i limiti quantitativi della domanda, specialmente quando questa è formulata in modo preciso e non meramente indicativo.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Corrispondenza tra chiesto e pronunciato: i limiti del potere del giudice

L’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. II Civile, n. 9546 del 9 aprile 2024, offre un’importante lezione sul principio fondamentale della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, sancito dall’art. 112 c.p.c. La vicenda, nata da una compravendita immobiliare viziata, dimostra come la precisione nella formulazione delle domande in giudizio sia cruciale e vincolante per il giudice, anche in sede di appello. Questo principio garantisce che il processo rimanga entro i binari stabiliti dalle parti, evitando decisioni che vadano oltre le loro specifiche richieste (cd. ultra o extra petita).

I Fatti del Caso

La controversia ha origine da un atto di compravendita di un immobile stipulato nel 1995. Successivamente, gli acquirenti scoprivano difformità e vizi edilizi tali da rendere l’immobile incommerciabile. Inizialmente, nel 1996, agivano in giudizio per la riduzione del prezzo e il risarcimento del danno. In un secondo momento, nel 1999, chiedevano la dichiarazione di nullità del contratto di vendita ai sensi della normativa urbanistica (L. 47/1985).

Il Tribunale di primo grado, riuniti i procedimenti, dichiarava la nullità dell’atto di vendita e condannava gli eredi del venditore (nel frattempo deceduto) alla restituzione di una parte del prezzo e al pagamento di una somma a titolo di risarcimento.

Insoddisfatti, gli acquirenti proponevano appello, lamentando un’erronea valutazione del danno e una determinazione incompleta delle somme da restituire. Nelle loro conclusioni, chiedevano in via subordinata la condanna alla restituzione del prezzo pagato e al risarcimento di una somma specifica, dettagliatamente quantificata.

La Corte d’Appello accoglieva il gravame ma, nel liquidare il risarcimento del danno, condannava gli eredi a pagare una somma complessiva ben superiore a quella specificamente richiesta dagli appellanti nella loro domanda subordinata.

Il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato nel ricorso in Cassazione

Gli eredi del venditore ricorrevano in Cassazione, denunciando, tra gli altri motivi, la violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. Essi sostenevano che la Corte d’Appello avesse pronunciato oltre i limiti della domanda (vizio di ultrapetizione), liquidando un importo a titolo risarcitorio maggiore di quello esplicitamente richiesto dagli acquirenti nelle conclusioni dell’atto di appello. La Corte di Cassazione ha ritenuto questo motivo fondato e decisivo.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha ribadito un principio cardine del diritto processuale civile: il giudice deve attenersi scrupolosamente alla domanda formulata dalla parte. Quando una parte quantifica in modo preciso e non meramente indicativo la propria richiesta di risarcimento, crea un vincolo per il giudice, che non può liquidare una somma superiore.

Nel caso di specie, gli acquirenti, nell’atto di appello, avevano formulato una richiesta subordinata indicando un importo preciso per il risarcimento del danno (pari a euro 52.712,81), frutto di un conteggio basato su voci di spesa specifiche. La Corte d’Appello, invece, aveva liquidato una somma di oltre 230.000 euro, andando ben oltre (“travalicando”) la soglia fissata dagli stessi appellanti. Questo, secondo la Cassazione, integra un palese vizio di “extra-petizione”.

La Corte ha specificato che un superamento dei limiti della domanda sarebbe stato possibile solo se la richiesta fosse stata formulata in termini generici o con una clausola di salvaguardia (come “nella somma maggiore o minore che risulterà di giustizia”), cosa che non era avvenuta. La quantificazione specifica e argomentata della domanda, invece, non lasciava margini di discrezionalità al giudice per un aumento dell’importo.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento sottolinea l’importanza strategica della formulazione delle conclusioni negli atti processuali. Una domanda quantificata in modo specifico, se da un lato offre chiarezza, dall’altro cristallizza il limite massimo di ciò che si può ottenere. La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso su questo punto, ha cassato la sentenza d’appello e rinviato la causa a una diversa sezione della stessa Corte per una nuova decisione che dovrà necessariamente rispettare i limiti della domanda originaria. La pronuncia serve da monito: la chiarezza e la precisione delle richieste sono un’arma a doppio taglio che, se non gestita con perizia, può limitare il risultato ottenibile in giudizio, anche a fronte di un danno potenzialmente maggiore.

Che cos’è il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato?
È un principio fondamentale del processo civile (art. 112 c.p.c.) secondo cui il giudice deve pronunciarsi su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa. Non può, quindi, attribuire a una parte un bene della vita diverso o maggiore rispetto a quello che ha richiesto.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la decisione della Corte d’Appello?
La Corte di Cassazione ha annullato la decisione perché la Corte d’Appello aveva condannato la parte soccombente a pagare una somma a titolo di risarcimento danni (circa 230.000 euro) che era significativamente superiore a quella specificamente richiesta dagli appellanti nella loro domanda subordinata (circa 52.000 euro), violando così il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Il giudice può liquidare un danno superiore a quanto richiesto dalla parte?
No, di regola il giudice non può liquidare un danno superiore a quanto specificamente richiesto. Può farlo solo se la domanda è formulata in modo generico o con una clausola aperta (ad esempio, ‘o la somma che risulterà di giustizia’). Se la parte indica una cifra precisa e dettagliata, quella cifra rappresenta il limite massimo che il giudice può concedere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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