Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 13121 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 13121 Anno 2024
Presidente: RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8088/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COMUNE RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME AVV_NOTAIO, come da delibera di Giunta 5//2019
– controricorrente avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di PALERMO n. 2258/2018 depositata il 16/11/2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/04/2024 dal Consigliere COGNOME NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
1. COGNOME NOME e COGNOME NOME chiedevano al Comune di Salemi il contributo ex art. 13 bis del D.L. 8/1987 conv. in legge 120/1987 per l’unità immobiliare censita in catasto al n. 1142 sub. 9, precisando che l’immobile così individuato era il risultato di un frazionamento dell’originario subalterno n. 8, nei subalterni n. 9 e n. 10. La competente Commissione rigettava la domanda sul presupposto che l’intero contributo previsto in base all’originaria consistenza della part. 1142 sub. 8, danneggiata dal sisma, era stato già concesso a NOME COGNOME, che nel DATA_NASCITA aveva acquistato l’altra unità immobiliare, individuata catastalmente dalla particella 1142 sub 10, derivante dal frazionamento della particella 1142 sub 8.
I COGNOME, quindi, notificavano citazione chiedendo che il diritto venisse accertato in giudiziale. Il Tribunale di Marsala accoglieva la domanda. Il Comune di Salemi interponeva gravame che la Corte d’appello di Palermo accoglieva, sul rilievo che nel 1968, al momento del terremoto, l’immobile era unico ed era individuato al subalterno numero 8, era stato successivamente diviso in due parti ed era stato alienato a due persone diverse; che il contributo era stato richiesto, ancor prima che dai COGNOME, dal proprietario della particella sub 10, il quale aveva allegato una dichiarazione dell’originaria proprietaria, del DATA_NASCITA, che attestava la consistenza dell’unità abitativa all’epoca del sisma. La Corte d’appello, quindi, affermava che il contributo in oggetto non è un contributo ad personam, ma mira a consentire la ricostruzione degli immobili distrutti o danneggiati dal sisma del 1968, secondo la
consistenza ed estensione che essi avevano prima dell’evento catastrofico.
2.Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i COGNOME affidandosi a tre motivi. Il Comune ha svolto difese con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RITENUTO CHE
-Con il primo motivo del ricorso si lamenta, ai sensi dell’art 360 n. 3 c.p.c., la violazione di norme di diritto previste dalla legislazione speciale e degli artt.115 -116 c.p.c.. I ricorrenti deducono che non è vero che all’epoca del sisma il subalterno 9 e il subalterno 10 facessero parte di un’unica particella, poiché, pur se accatastati quale unica particella, non avevano un’unica consistenza, in quanto in realtà l’immobile, già all’epoca del sisma, constava di due diverse unità immobiliari ubicate su piani diversi. Ad avviso dei ricorrenti, il frazionamento era servito non già a denunciare al catasto una trasformazione materiale rispetto all’originaria consistenza e destinazione dell’immobile, ma la reale situazione dello stabile già all’epoca del sisma. Rimarcano che la rilevazione catastale, peraltro, non è fonte di prova sulla situazione di fatto esistente sul piano immobiliare; nel 1968 nei comuni del territorio l’incertezza catastale era un fatto indiscutibile, tanto che con varie leggi speciali si era stabilito che la individuazione della consistenza delle unità immobiliari si dimostrasse mediante certificato catastale o dichiarazione giurata resa dall’avente diritto e che, in caso di contrasto tra dati catastali e dichiarazione giurata, prevalesse quest’ultima. La Corte d’appello, secondo i ricorrenti, non ha fatto applicazione della norma dettata dall’art. 15 della legge n. 462 del 1984, che accorda prevalenza alla situazione di fatto su quella catastale, ancorché le variazioni non siano state
richieste al competente ufficio del catasto, così disattendendo ingiustamente l’eccezione della parte. Osservano che già dalla dichiarazione giurata del COGNOME si evinceva che, alla data del 14 gennaio 1968, vi erano due unità abitative, entrambe aventi accesso dall’androne comune al piano terra. Deducono che avrebbe errato poi la Corte d’appello a fare riferimento all’art. 7 del D.L. 79 del 1968, che prevede che il contributo possa essere chiesto da un solo dei comproprietari, perché i ricorrenti e il COGNOME NOME non sono comproprietari dello stesso immobile.
-Con il secondo motivo di ricorso, i COGNOME censurano la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., per omesso esame di un fatto decisivo del giudizio e, in particolare, riguardo alle circostanze contenute nella dichiarazione giurata del 19.2.2000 dei signori NOME COGNOME e NOME COGNOME (danti causa dei ricorrenti), in cui essi affermano ‘Che la consistenza dell’immobile al 14.01.1968 era la seguente: U.I. Abitazione (Part. 1142/5) mq. 34,00 – U.I. magazzino(Part. 1142/6) mq. 30 – U.I. abitazione (Part. 1142/9) mq. 122,74; che per il signor COGNOME NOME (Marito e padre dei dichiaranti) l’U.I. abitazione è da considerarsi seconda U.I.’. Secondo i ricorrenti, ciò coinciderebbe con la dichiarazione giurata del 30 maggio 1994, che indicava due unità abitative, già frazionate di fatto. Ad avviso dei ricorrenti, la Corte d’appello non ha esaminato in nessun punto della sentenza la circostanza che la suddetta dichiarazione giurata attestasse che non si trattava di un’unica unità abitativa.
-Con il terzo motivo del ricorso si lamenta, ai sensi dell’art 360 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 91 c.p.c., chiedendo i ricorrenti la riforma della sentenza anche in punto di liquidazione delle spese giudiziale, stante la fondatezza del ricorso.
I primi due motivi possono esaminarsi congiuntamente per la loro connessione e sono inammissibili.
Secondo i ricorrenti la Corte di merito avrebbe fatto cattiva applicazione dell’art. 15 della legge 462/1984, il quale così dispone ‘ Agli effetti dell’articolo 17 -ter del decreto -legge 28 luglio 1981, n. 397, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 26 settembre 1981, n. 536, la situazione di fatto, attestata con la dichiarazione giurata prevale, in caso di disaccordo, sulle risultanze catastali, ancorché le variazioni non siano state richieste, prima del sisma, al competente ufficio del catasto ‘
6.1. -Le censure non si confrontano compiutamente con la ratio decidendi poiché, come si evince dalla motivazione della sentenza impugnata, la Corte d’appello non si è basata unicamente sulle risultanze catastali, né le ha ritenute prevalenti, ma ha dato rilievo alla ‘ dichiarazione resa dall’originaria proprietaria al Comune di Salemi nel 1975 che attestava non solo la consistenza strutturale dell’immobile ma anche la composizione del nucleo familiare prima degli eventi sismici del gennaio 1998 ‘. A fronte di una pluralità di dichiarazioni sulla consistenza dell’immobile, la Corte d’appello ha, quindi, ritenuto più attendibile quella della originaria proprietaria, in quanto idonea ad attestare la consistenza dell’immobile all’epoca del sisma. Si tratta non già di un errore di diritto o di omesso esame di fatto decisivo, quanto della scelta e valorizzazione, tra una pluralità di elementi probatori, di quello ritenuto più attendibile ed affidabile, scelta affidata al prudente apprezzamento del giudice del merito e non sindacabile in questa sede. Deve qui ricordarsi che il giudice del merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali ed a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo, invece, sufficiente che egli, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento,
dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata ( Cass. n. 12123 del 17/05/2013; Cass. n. 29730 del 29/12/2020; Cass. n. 10525 del 31/03/2022).
6.2. -Ed ancora, deve ricordarsi che la censura di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. non può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando, solo al giudice predetto individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014); mentre alla Corte di cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti (cfr. Cass. n. 30878 del 2023).
6.3. -Nella specie i ricorrenti lamentano che non sia stato dato rilevo ad altre (e più recenti) dichiarazioni giurate, ma l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la decisione non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie con la conseguenza che, in sede di legittimità, non è data la possibilità di dall’apprezzamento o dalla obliterazione di un determinato elemento istruttorio, atteso che una tale critica ha ad oggetto non già un fatto storico, ma la stessa attività di valutazione del corredo probatorio, che solo al giudice di merito compete (cfr. Cass. n. 28390 del 2023; Cass. n. 10599 del 2021).
6.4. -Quanto alla spendita da parte della Corte di merito dell’argomento centrato sull’art. 7 del D.L. 79 del 1968, che prevede che il contributo possa essere chiesto da un solo dei comproprietari, risulta evidente che la Corte lo ha utilizzato solo per rimarcare che il contributo di cui si discute non è ad personam , e non già perché abbia ritenuto sussistente la situazione di comproprietà; si tratta, in ogni caso, di argomento ad abuntandiam , che non vizia la decisione.
Quanto alle restanti doglianze, si tratta di censure di merito, tendenti impropriamente a proporre una diversa ricostruzione dei fatti.
Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, che assorbe il terzo motivo.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, euro 200,00 per spese non documentabili, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 10/04/2024.