Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12807 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12807 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/05/2024
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
C.C. 24/04/2024
APPALTO
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.NUMERO_DOCUMENTO) proposto da: RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale rilasciata in calce al ricorso, dagli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultima, in INDIRIZZO;
–
ricorrente –
contro
NOME COGNOME, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale rilasciata su foglio separato materialmente allegato al controricorso, dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce n. 1006/2018 (pubblicata l’11 ottobre 2018);
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24 aprile 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
letta la memoria depositata dalla ricorrente.
RITENUTO IN FATTO
Con atto di citazione notificato nell’agosto 2008, COGNOME NOME convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Brindisi, la RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE, alla quale aveva commissionato l’opera di installare nella sua farmacia un sistema di videosorveglianza per motivi di sicurezza, chiedendo di dichiararne la risoluzione per inadempimento della citata convenuta sia in ordine all’esecuzione dei lavori ed alla relativa prestazione eseguita, sia con riferimento alla difformità degli apparecchi forniti assolutamente diversi da quelli pattuiti (per la cui verifica era stato esperito anche un ATP), con la conseguente condanna della stessa società esecutrice alla restituzione del prezzo percepito nelle misura di euro 11.900,00 (con rivalutazione ed interessi a far data dal luglio 2006 al soddisfo), oltre che al risarcimento dei danni patrimoniali e non e al pagamento delle spese giudiziali.
Instauratasi ritualmente la controversia, la suddetta convenuta si costituiva in giudizio, eccependo, in via preliminare, l’intervenuta prescrizione e decadenza del diritto ex art. 1495 c.c., instando, comunque, per il rigetto della domanda attorea e proponendo domanda riconvenzionale per l’ottenimento del risarcimento dei danni di immagine e morali dedotti come subiti da quantificare nell’importo di euro 15.000,00, o in quello minore o maggiore ritenuto di giustizia.
All’esito dell’esperita istruzione probatoria, il Tribunale adito, con sentenza n. 422/2014, accertava e dichiarava che l’attore COGNOME NOME era decaduto dal diritto di garanzia ai sensi dell’art. 1495 c.c. e, per l’effetto, rigettava la domanda attorea, respingendo, altresì, anche quella riconvenzionale.
Decidendo sull’appello proposto dal COGNOME e nella costituzione della società appellata, la Corte di appello di Lecce, con sentenza n. 1006/2018 (pubblicata l’11 ottobre 2018), accoglieva il gravame e, in parziale riforma della decisione impugnata, dichiarava la risoluzione del contratto di appalto dedotto in giudizio, condannando la società RAGIONE_SOCIALE alla restituzione, in favore dell’appellante, della somma di euro 11.900,00, oltre interessi dal 1° gennaio 2006 al saldo, nonché alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio. Rigettava, invece, l’appello del COGNOME limitatamente al motivo relativo alla mancata
condanna dell’appellata al risarcimento dei danni, essendo questi ultimi rimasti del tutto sforniti di prova.
A sostegno dell’adottata pronuncia, la Corte salentina, previa qualificazione del contratto intercorso tra le parti come appalto (e non come vendita, come invece ritenuto dal giudice di primo grado), rilevava, innanzitutto, come -in virtù dell’accertata condotta della citata società appaltatrice che si era resa disponibile per rimuovere i difetti denunciati dal COGNOME, così (quantomeno) tacitamente riconoscendoli -si fosse prodotto l’effetto di svincolare il diritto alla garanzia del committente dai termini di decadenza e prescrizione di cui all’art. 1667 c.c.
Sulla base di tale presupposto e ritenendo l’operatività del riparto dell’onere probatorio sulla scorta dei principi affermati con la sentenza delle Sezioni unite n. 13533/2001, rilevava come fosse rimasto provato che l’impianto di videosorveglianza installato dalla società appellata non era idoneo a garantire la finalità perseguita dal COGNOME (come emerso anche all’esito dell’ATP), ovvero quella di identificare tempestivamente e con immagini chiare persone e cose, né era risultato che la stessa società avesse, nel giudizio di primo grado, tempestivamente allegato -e, quindi, provato – che lo scopo perseguito con il medesimo impianto fosse diverso da quello allegato dall’attore, ossia di semplice rilevazione di presenze o di deterrenza.
Pertanto, sulla scorta di tali accertamenti, era emerso che la società appaltatrice non aveva esattamente adempiuto l’obbligazione che si era assunta, con la conseguente configurazione, a suo carico, di un inadempimento grave e legittimante la risoluzione del contratto dedotto in causa, donde il diritto del COGNOME a vedersi restituito il prezzo pagato per l’importo di euro 11.900,00, oltre interessi fino al saldo, nel mentre l’accessoria domanda di risarcimento danni era rimasta sfornita di riscontri probatori e andava, quindi, rigettata.
3. Contro la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, la società RAGIONE_SOCIALE.
Ha resistito con controricorso l’intimato NOME. La difesa della ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo, la ricorrente ha denunciato -ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. -la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1495 e 1655 c.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo che era stato oggetto di discussione fra le parti, contestando l’erronea qualificazione -come operata con la sentenza impugnata – del contratto dedotto in giudizio come appalto e non come vendita (o, al più, come un contratto misto di vendita e di appalto), sul presupposto che si sarebbe dovuta considerare prevalente la prestazione del ‘dare’ su quella del ‘facere’, così omettendo la Corte di appello di dichiarare che il COGNOME era decaduto dall’azione esperita e che il correlato diritto si era prescritto.
Con il secondo motivo, la ricorrente ha dedotto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. -la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1667 c.c., nella parte in cui la Corte di appello aveva ritenuto, con la sentenza gravata, che l’intervento dalla stessa effettuato successivamente alla consegna dovesse intendersi come tacito riconoscimento dei vizi dell’impianto, nel mentre l’attività sostitutiva di alcune telecamere era stata conseguenza della richiesta dello stesso COGNOME, che si era assunto l’obbligo di corrispondere separatamente il relativo corrispettivo.
Con il terzo ed ultimo motivo, la ricorrente ha lamentato -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c., 2697 c.c., nonché degli artt. 61 e 191 c.p.c., contestando la sentenza di appello nella parte in cui aveva ritenuto che sussistesse un grave inadempimento in capo alla stessa e che, pertanto, il contratto in questione si fosse risolto per tale causa, nonostante l’impianto di videosorveglianza sulla base delle risultanze della c.t.u. fosse stato ritenuto idoneo all’uso ma non efficiente per lo
scopo principale per il quale era stato realizzato, senza però che il COGNOME avesse offerto idonea prova in proposito.
4. Il primo motivo non è fondato.
Con esso si contesta la qualificazione del contratto intercorso tra le parti per come effettuata dal giudice di appello in termini di appalto, di contrario avviso rispetto al giudice di primo grado che lo aveva ricondotto allo schema della vendita o a quello di un contratto misto, con prevalenza della connotazione della vendita (donde la conseguente applicabilità della relativa disciplina codicistica).
La Corte di appello -compiendo un’adeguata valutazione delle risultanze di merito, avuto riguardo alla natura dell’opera commissionata, alla qualità professionale dell’odierna ricorrente e alla tipologia delle attività ad essa consone, nonché alla natura delle prestazioni concordate ed eseguite -ha correttamente inquadrato il contratto intercorso tra le parti in quello dell’appalto.
A tal proposito, la Corte salentina -dopo aver evidenziato i tratti distintivi tra i due citati contratti -ha accertato che, in effetti, nel caso di specie, la società RAGIONE_SOCIALE (che, pacificamente, non era né produttrice né rivenditrice degli impianti di videosorveglianza forniti al COGNOME) aveva assunto l’obbligo di realizzare ed installare un impianto di videosorveglianza funzionante, mediante la fornitura degli stessi strumenti, per come, peraltro, desumibile dalla stessa ammissione compiuta da detta società nella comparsa di risposta in primo grado, quale installatrice di detti tipi di sistema prevalentemente per farmacie (v. pagg. 8-9 della sentenza impugnata, non rivestendo carattere di decisività il riferimento, contenuto nel preventivo, all’impegno a fornire videoregistratori digitali, da valutarsi in modo non disgiunto dall’impegno ammesso dalla stessa ricorrente -ad effettuare la relativa configurazione ed installazione, da intendersi, invero, quale attività propriamente attinente a quella svolta in via principale dalla medesima e da considerare prevalente nell’ambito del complessivo
obbligo che si era assunto, in cui, perciò, il ‘facere’ era preponderante sul dare).
Pertanto, la qualificazione del contratto così come operata dalla Corte di appello sfugge alle censure dedotte con il motivo, essendo, peraltro, l’attività qualificatoria di un tipo contrattuale propriamente demandata al giudice di merito (cfr. Cass. n. 13399/2005 e Cass. n. 24262/2007), non scalfibile in sede di legittimità qualora sia supportata da una idonea motivazione sulla valorizzazione delle concrete prestazioni apprezzate nello specifico (come avvenuto nella specie). Da ciò consegue che nel caso in questione doveva trovare applicazione la disciplina normativa sull’appalto e non quella sulla vendita (e, di conseguenza, quella sulla denuncia dei vizi e sulla prescrizione del diritto alla garanzia riferibile, per l’appunto, al contratto di appalto).
5. Anche il secondo motivo è infondato.
Invero, la Corte di appello ha – in base ad un’adeguata valutazione di merito fondata sulle risultanze probatorie acquisite (sia testimoniali che documentali) -legittimamente ritenuto che dai plurimi comportamenti del rappresentante della RAGIONE_SOCIALE intervenuto presso la farmacia era desumibile che detta società, in quanto attivatasi più volte per risolvere e rimuovere i difetti fatti presenti dal COGNOME, aveva, in effetti, riconosciuto i vizi in concreto accertati anche in funzione dello specifico scopo che il farmacista intendeva perseguire, e ciò è tanto vero che la società medesima si era decisa a proporre al committente un nuovo preventivo con impianto a risoluzione più alta rispetto a quello in precedenza installato. Da qui la Corte salentina fa fatto derivare la corretta conseguenza giuridica che l’accertata condotta della società installatrice aveva sortito l’effetto di svincolare il diritto di garanzia del committente dai termini di prescrizione e decadenza previsti dall’art. 1667 c.c. (cfr. Cass. n. 6263/2012 e Cass. n. 13613/2013).
6. Infondato è pure il terzo ed ultimo motivo.
Infatti, la la Corte di appello ha applicato correttamente il principio generale di riparto dell’onere della prova nell’azione di risoluzione, poiché, avendo -sul presupposto dell’accertata prestazione alla quale si era obbligata la RAGIONE_SOCIALE (nei termini prima indicati) – il COGNOME allegato l’inadempimento dell’appaltatrice circa la corretta installazione e qualità degli impianti, sarebbe spettato alla citata società (presumendosi, peraltro, la sua colpa: cfr. Cass. n. 21269/2009) fornire la prova dell’esatto adempimento dell’obbligazione assunta (v. Cass. n. 936/2010 e Cass. n. 98/2109).
Tale prova, invece, è stata ritenuta dal giudice di appello non assolta sulla scorta delle valutazioni di merito dallo stesso congruamente motivate in base agli esiti complessivi dell’istruzione probatoria ritenuti più attendibili e, in particolare, in relazione all’esigenza al soddisfacimento della specifica ed adeguata finalità che l’impianto avrebbe dovuto perseguire in considerazione dell’attività che il COGNOME svolgeva nei suoi locali (quale la chiara visibilità degli interni ed esterni e la univoca focalizzazione dei tratti fisionomici delle persone oggetto di eventuale controllo, scopi che, invece, il sistema di videosorveglianza invece in concreto installato non era in grado di realizzare, per come evincibile dalle univoche deposizioni testimoniali raccolte: cfr. pagg. 12 e 13 della sentenza impugnata).
In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere respinto, con conseguente condanna della soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo. Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P .R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della stessa ricorrente, di un ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano, in complessi euro 2.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltra contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P .R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della