Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18494 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 18494 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 14319-2023 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
ricorrente incidentale -avverso la sentenza n. 1635/2023 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/04/2023 R.G.N. 198/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/05/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Oggetto
Rapporto di agenzia
R.G.N. 14319/2023
COGNOME.
Rep.
Ud. 15/05/2024
CC
Rilevato che
La Corte d’appello di Roma ha accolto il reclamo della RAGIONE_SOCIALE (incorporante per fusione della RAGIONE_SOCIALE) e, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto le domande proposte da NOME COGNOME, volte al riconoscimento come lavoro subordinato del rapporto (formalmente di agenzia) dal medesimo intrattenuto con la RAGIONE_SOCIALE e alla qualificazione come licenziamento dell’atto di risoluzione dello stesso in data 26.5.2020, con condanna della società alla tutela reintegratoria e risarcitoria.
2. La Corte territoriale ha premesso che, con contratto di agenzia stipulato il 27.5.2009, la società aveva affidato al RAGIONE_SOCIALE l’incarico di promuovere in ‘tentata vendita e per suo conto’ la conclusione di contratti di vendita dei prodotti dalla stessa commercializzati; che la fattispecie della ‘tentata vendita’ trova fonte normativa nella legge n. 173 del 2005, che disciplina la ‘vendita diretta a domicilio’ quale forma speciale di vendita al dettaglio e di offerta di beni e servizi, di cui all’art. 19 del decreto legislativo 31 Marzo 1998 n. 114, effettuata tramite la raccolta di ordinativi di acquisto presso il domicilio del consumatore finale o nei locali nei quali il consumatore si trova. 3. Ha accertato che il contratto tra le parti aveva ad oggetto l’obbligo dell’agente di promuovere la conclusione degli affari per conto della preponente, sviluppando gli stessi con la clientela in essere e acquisendo nuovi clienti; prevedeva una zona per lo svolgimento della prestazione, con affidamento di tutta la clientela attuale e potenziale ivi ubicata; obbligava l’agente a promuovere la vendita raccogliendo gli ordini con consegna contestuale della merce; riconosceva il diritto a provvigioni calcolate sulla quantità del prodotto venduto nonché
a un compenso aggiuntivo al raggiungimento di predeterminati obiettivi di vendita; affidava all’agente l’incarico, accessorio e fiduciario, di curare la riscossione del prezzo delle merci vendute, con obbligo di retrocessione entro la fine della giornata lavorativa, riconoscendo un trattamento provvigionale ad hoc .
4. Ha ritenuto, alla luce delle prove testimoniali raccolte, che il COGNOME era un ‘venditore’ e la sua attività lavorativa era quella di ‘portare alla vendita’, e non meramente di consegnare, la merce che era caricata sul veicolo da lui condotto; che il medesimo acquisiva anche nuovi clienti, stabiliva quale e quanta merce caricare e scaricare se invenduta, consegnava i prodotti venduti e raccoglieva il prezzo delle vendite; che per tale attività di agenzia, in regime di tentata vendita con annesso trasporto e consegna merci, sia nei confronti dei piccoli rivenditori sia della grande distribuzione organizzata, il COGNOME riceveva cospicue provvigioni, di gran lunga superiori al compenso percepito per l’attività di mero trasporto e consegna; che le prove raccolte non avevano dimostrato l’esistenza degli indici sintomatici del lavoro subordinato e, in particolare, l’esercizio da parte della società dei poteri di eterodirezione e controllo nei confronti del predetto; che era anzi emersa l’esistenza di un’organizzazione di impresa da parte del lavoratore, con costi a suo carico, atteso che egli pagava le spese per il carburante, per il telefono e per il comodato del furgoncino impiegato per le vendite; che esisteva a carico del COGNOME un rischio d’impresa, legato sia all’alea delle tentate vendite ai clienti, che egli decideva in autonomia di visitare, sia alla politica dei resi pattuita tra le parti, che lo onerava del ritiro del prodotto dal cliente e della sua sostituzione con un corrispondente nuovo prodotto, trasportato senza ulteriori provvigioni; che se la prestazione di lavoro fosse stata solo quella di consegnare le
merci, come preteso dal reclamato, alla fine del giro giornaliero dei clienti non sarebbero rimaste merci da restituire in magazzino; che le parti avevano dato esecuzione per lungo tempo (più di dieci anni) a un regolamento pattizio chiaramente improntato a una fattispecie tipica diversa dal lavoro dipendente, in assenza di rimostranze.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a dieci motivi. La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale condizionato. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che
Ricorso principale di NOME COGNOME
Con il primo motivo è dedotta, ex art. 360 n. 4 c.p.c., la nullità ex art. 132 c.p.c. ed anche violazione dell’art. 116 c.p.c. per non avere la Corte d’appello valutato le prove prudentemente nel loro complesso, con riferimento al fittizio contratto di agenzia.
Con il secondo motivo è dedotta la nullità della sentenza in base all’art. 360 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 132 c.p.c., anche a livello presuntivo.
Con il terzo motivo è dedotta nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 132 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. -Travisamento della prova sulla portata del contratto fittizio di agenzia.
Con il quarto motivo è dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c. nella valutazione manifestamente errata delle prove testimoniali, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. Ulteriore travisamento delle prove testimoniali.
Con il quinto motivo è dedotta nullità della sentenza per manifesta illogicità o irrazionalità della motivazione, concernente il materiale probatorio testimoniale ex art. 132 n. 4 in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.
Con il sesto motivo si censura la sentenza per omesso esame di un fatto decisivo e controverso, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. -Attinenza alle testimonianze non considerate dalla Corte di Appello dei sig.ri COGNOME e COGNOME.
Con il settimo motivo si impugna la sentenza ai sensi dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., nella parte in cui la Corte di appello ha messo in relazione la deposizione del teste COGNOME con le altre e con il contratto di agenzia. -Impugnazione della sentenza ai sensi dell’art. 360 n. 5 per omesso esame di un fatto controverso, dedotto in un documento essenziale prodotto, ma non esaminato dalla Corte territoriale.
Con l’ottavo motivo si censura la sentenza per errore ex art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 n.4 c.p.c., con riferimento al nesso causale ex 2697 c.p.c. trattandosi di errore percettivo/travisamento del materiale probatorio analizzato. Si censur a inoltre la sentenza, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., per omesso esame di parte del materiale probatorio prodotto, obliato dalla Corte di appello, di carattere decisivo, sempre con riferimento al nesso causale ex art. 2697 c.p.c. Si deduce la nullità della sentenza con riferimento al rischio di impresa, al pagamento del dipendente, all’attività di tentata vendita ex art. 132 n. 4 c.p.c., sempre in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.
Con il nono motivo si deduce la nullità della sentenza ex art. 132 n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., con riferimento al fatto che il rapporto di lavoro avesse avuto esecuzione per oltre dieci anni; al fatto che il COGNOME si sarebbe
reso inadempiente rispetto al contratto di agenzia e al fatto che avrebbe dichiarato al prefetto di operare in qualità di ditta individuale.
Con il decimo motivo si censura la sentenza ex art. 132 n. 4 c.p.c. (nullità) in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., per valutazione presuntiva errata circa il fatto noto (lavoro agenziale in luogo del reale rapporto subordinato) con conseguenze irreversibili sul fatto ignoto (qualificazione del licenziamento).
I motivi di ricorso, da trattare congiuntamente perché legati da connessione logica, non possono trovare accoglimento.
Essi solo formalmente denunciano plurimi errores in iudicando, anche attraverso l’improprio riferimento agli artt. 115 e 116 (cfr. Cass. n. 23940 del 2017 e Cass. n. 25192 del 2016, con la giurisprudenza ivi richiamata), mentre nella sostanza criticano la sentenza impugnata per come ha valutato le prove e ricostruito, in base ad esse, il contenuto e le modalità di svolgimento dell’attività del COGNOME, escludendo che la stessa avesse natura subordinata, invece riconosciuta dal tribunale, sia in fase sommaria e sia nella fase di opposizione.
In proposito, occorre considerare che gli accertamenti di fatto non sono sindacabili in sede di legittimità oltre i limiti imposti dal novellato art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014 (con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici), di cui parte ricorrente non tiene alcun conto, pretendendo piuttosto una rivalutazione degli accadimenti storici ed una revisione del giudizio di fatto non ammissibile in questa sede.
Deve ancora ribadirsi, in consonanza con l’orientamento di questa Corte (v. Cass., S.U. n. 20867 del 2020; Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), che la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità qualora il giudice, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale. In modo parallelo, la violazione dell’art. 116 c.p.c. presuppone che il giudice abbia valutato una prova legale secondo prudente apprezzamento o un elemento di prova liberamente valutabile come prova legale e la violazione dell’art. 2697 c.c. è configurabile nel caso in cui il giudice abbia invertito gli oneri di prova. Nessuna di queste situazioni è rappresentata nei motivi di ricorso in esame, ove è unicamente dedotto che il giudice ha male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, censura consentita solo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. nel caso di specie non integrato nei requisiti richiesti dal nuovo testo.
Infondate sono anche le censure di violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c.
Come è noto, con le sentenze n. 8053 e 8054 del 2014 cit. si è precisato che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’,
nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione”. La motivazione apparente, che determina nullità della sentenza perché affetta da error in procedendo, è quella che non consente di percepire il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. Cass. n. 22232 del 2016; Cass. n. 12351 del 2017).
La motivazione resa dai giudici di appello non contiene alcuno dei vizi atti ad integrare la violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. poiché è ben espresso il percorso logico che sostiene il decisum, come sopra riassunto.
Il motivo di ricorso incidentale condizionato (con cui si denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la violazione degli artt. 273, 420 e 112 c.p.c., per la omessa riunione di procedimenti relativi alla stessa causa e per l’ammissione e l’espletamen to della prova orale nel giudizio instaurato per secondo, con conseguente illegittima valorizzazione di tale prova orale ai fini della formazione del convincimento giudiziale) è assorbito.
Per le ragioni esposte, il ricorso principale deve essere respinto, risultando assorbito il ricorso incidentale condizionato. 26. La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo. 27. Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma
1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 15 maggio 2024