Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11214 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 11214 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26640/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, EREDITA’ GIACENTE DI RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE RAGIONE_SOCIALE STATO . (P_IVA) che lo rappresenta e difende ex lege ;
-controricorrente-
nonché contro PROCEDURE DI AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA CARIBONI
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE; RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE;
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 641/2018, depositata il 7/02/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/10/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
1. NOME COGNOME e NOME COGNOME, componenti dell’ex collegio commissariale delle procedure di amministrazione straordinaria delle società del gruppo RAGIONE_SOCIALE, nominati con decreto del RAGIONE_SOCIALE delle attività produttive del 10 marzo 2003 e decaduti per mancata riconferma il 1° aprile 2007, avevano citato davanti al Tribunale di Lecco il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e le società del gruppo assoggettate all’amministrazione straordinaria, chiedendo di accertare il loro diritto al compenso complessivo, per ciascuno, di euro 712.979,12, detratta la somma di euro 245.095,88, percepita da ciascuno di loro a seguito del decreto di liquidazione del RAGIONE_SOCIALE del 1° aprile 2009, con condanna delle procedure di amministrazione straordinaria al pagamento della somma residua. Il Tribunale di Lecco declinava la propria competenza in favore del Tribunale di Milano, individuato come competente ex art. 25 c.p.c. Il Tribunale di Milano, con ordinanza del 12 giugno 2015, dichiarava l’inammissibilità della domanda formulata nei confronti di una società del gruppo, la società RAGIONE_SOCIALE, e dichiarava improponibili le domande rivolte nei confronti delle altre società, a causa del difetto temporaneo di giurisdizione per tutta la durata della fase di accertamento RAGIONE_SOCIALE stato passivo, ritenendo che la mancata costituzione delle procedure non potesse costituire la
prova della chiusura delle procedure medesime o quantomeno della chiusura della fase di accertamento del passivo.
2. L’ordinanza era impugnata da COGNOME e COGNOME, che ne chiedevano la riforma limitatamente alla pronuncia di improcedibilità della domanda per difetto temporaneo di giurisdizione. L’adita Corte d’appello di Milano – con la sentenza 7 febbraio 2018, n. 641 – ha ritenuto che la questione non fosse più quella di stabilire se a decidere delle contestazioni alla liquidazione dei compensi operata dal RAGIONE_SOCIALE fosse competente il giudice ordinario di cognizione o il giudice concorsuale, essendosi sul punto formato giudicato endoprocessuale per la mancata impugnazione del provvedimento del Tribunale di Lecco, in quanto le pronunce a contenuto processuale, che cioè decidono una questione pregiudiziale di rito, hanno efficacia vincolante all’interno del processo nel quale sono emesse; in ogni caso, nel caso di specie la procedura di verificazione RAGIONE_SOCIALE stato passivo si era conclusa in ordine a tutte le società in amministrazione controllata e alcune di esse erano già state cancellate, come risultava dalle visure camerali in atti, e nei confronti delle società cancellate gli appellanti avevano rinunciato alle domande, come del resto specificato in un atto dove avevano precisato di volere proseguire il processo nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE In tale contesto, ha proseguito la Corte, non poteva confermarsi la decisione del Tribunale di Milano, che aveva dichiarato la domanda improcedibile per difetto temporaneo di giurisdizione. Passando al merito, la Corte d’appello ha poi rilevato che il compenso del commissario straordinario, al pari del compenso del curatore fallimentare, deve qualificarsi non già come mero debito della massa, bensì come costo necessario e ineliminabile della procedura, in quanto condicio sine qua non della procedura stessa, che senza il commissario non potrebbe avere corso; la Corte ha così ritenuto di doversi limitare a
verificare se i criteri di liquidazione applicati dal RAGIONE_SOCIALE erano stati corretti sulla base della normativa applicabile e rispettosi del principio di equità; la Corte ha risposto positivamente e ha rigettato le domande degli appellanti e ha compensato tra le parti le spese del giudizio.
Avverso la sentenza NOME COGNOME e l’eredità giacente di NOME COGNOME ricorrono per cassazione.
Resiste con controricorso il RAGIONE_SOCIALE, anzitutto eccependo la nullità della notificazione del ricorso avvenuta presso l’Avvocatura distrettuale RAGIONE_SOCIALE Stato e non presso quella generale, come prescritto dall’art. 11 del regio decreto n. 1611/1933. L’eccezione non può essere accolta, in quanto il vizio è stato sanato dalla costituzione del RAGIONE_SOCIALE.
Non hanno proposto difese le procedure di amministrazione straordinaria RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in persona dei commissari liquidatori pro -tempore, RAGIONE_SOCIALE in liquidazione volontaria.
Memoria è stata depositata dai ricorrenti.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in due motivi.
Il primo motivo contesta ‘nullità della sentenza e del procedimento (art. 360, n. 4 c.p.c.), stante il disposto dell’art. 353 c.p.c.’: la Corte d’appello ha giudicato erronee tutte le statuizioni del primo giudice, compresa quella relativa al preteso difetto temporaneo di giurisdizione, così che -ritenuta la ‘competenza giurisdizionale’ del tribunale ordinario e non di quello fallimentare -la Corte d’appello doveva rimettere la causa al primo giudice; il Tribunale di Milano aveva ritenuto che la causa appartenesse al giudice fallimentare e si è perciò astenuto dall’assumere qualsiasi decisione, con ‘l’effetto che si è verificata una sospensione della giurisdizione, non giustificata, privandosi gli interessati di uno scrutinio di merito in doppio grado di giudizio’.
Il motivo non può essere accolto. I ricorrenti invocano la disposizione di cui all’art. 353 c.p.c.: la disposizione (abrogata dal d.lgs. n. 149/2023, ma di per sé applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame) prevede che il giudice d’appello, se riforma la sentenza di primo grado dichiarando che il giudice ordinario ha sulla causa la giurisdizione negata dal primo giudice, pronuncia sentenza con la quale rimanda le parti davanti al primo giudice. La questione affrontata dalla Corte d’appello di Milano è se la domanda dei ricorrenti di riconoscimento di compensi maggiori rispetto a quelli liquidati dal RAGIONE_SOCIALE dovesse o meno essere presentata al giudice della procedura di amministrazione straordinaria, essendo destinata a incidere sulla procedura concorsuale a detrimento del patrimonio. Tale questione non attiene alla giurisdizione (essendo il giudice concorsuale giudice ordinario) e peraltro neppure alla competenza, essendo la soggezione della pretesa creditoria al regime del concorso ‘una vicenda litis ingressum impediens , concettualmente distinta dalla incompetenza’ (così Cass. n. 9198/2017). Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, le questioni concernenti l’autorità giudiziaria dinanzi alla quale va introdotta una pretesa creditoria nei confronti di un debitore dichiarato fallito sono questioni attinenti al rito (così, da ultimo, Cass. n. 2090/2023; v. anche Cass. n. 9198/2017, appena richiamata, e Cass. n. 10414/2005).
La Corte d’appello ha quindi correttamente deciso nel merito invece di rimettere la causa al primo giudice. Si impone unicamente una precisazione. Nell’ipotesi della procedura di amministrazione straordinaria la liquidazione dei compensi dei commissari è effettuata con decreto del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (nel caso in esame ciò è avvenuto con il decreto n. 40314/2009), così che poteva in astratto porsi la questione della spettanza della tutela al giudice amministrativo; tale questione non è però stata alla base
della decisione del primo giudice e ad essa la Corte d’appello si è limitata, per completezza, a fare cenno, menzionando l’esistenza di un orientamento consolidato di affermazione della giurisdizione del giudice ordinario. Al riguardo va infatti ricordato che è consolidato il principio secondo cui la liquidazione del compenso del commissario liquidatore non è discrezionale, ma è dovuta al commissario, il quale dunque al riguardo ‘è titolare di una situazione giuridica direttamente prevista e tutelata dalla legge, cioè di un diritto soggettivo che non cambia carattere se il commissario cessa dall’incarico durante la procedura’ (Cass., sez. un., n. 2627/2002 che richiama Cass. n. 5769/2001); né a diverse conclusioni può condurre il rilievo che, nella fattispecie, la determinazione del compenso è stata effettuata con atto amministrativo, avente carattere di provvedimento autoritativo e discrezionale; la posizione giuridica dei ricorrenti, traducendosi nella pretesa a un (maggiore) compenso inerente all’attività di gestione svolta, ha consistenza di diritto soggettivo, la cui tutela è rimessa al giudice ordinario, ancorché formalmente la contestazione investa l’atto amministrativo di determinazione (cfr. ancora la pronuncia delle sezioni unite appena richiamata).
2) Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 500 della legge finanziaria del 2007 e degli artt. 1, 2 e 4, comma 2 del decreto del RAGIONE_SOCIALE di grazia e giustizia n. 570/1992: la Corte d’appello ha ritenuta corretta la liquidazione del RAGIONE_SOCIALE, senza considerare che alla data in cui i commissari cessarono dalla carica le procedure di amministrazione straordinaria non si erano ancora concluse, così che non vi erano dati esatti né sul passivo né sull’attivo di esse, con la conseguenza che il compenso liquidando ai commissari non poteva che essere provvisorio; il RAGIONE_SOCIALE aveva errato nell’assumere senza motivazione e senza specifica indicazione delle relative ragioni la scelta operata nell’adozione dei coefficienti, con
la conseguenza che non si è valutata la potenzialità degli incrementi che dette voci di attivo e passivo potevano avere nel corso della procedura; il difetto di motivazione del provvedimento del RAGIONE_SOCIALE è palese, ‘di qui la sua illegittimità che a codesta Suprema Corte si chiede di riparare’.
Il motivo è inammissibile. Pur trascrivendo estesamente la motivazione della sentenza impugnata (trascrizione che occupa più della metà dl motivo), anzitutto i ricorrenti non si confrontano con quanto dalla Corte d’appello argomentato in risposta all’analoga censura ad essa rivolta circa l’avvenuta liquidazione del compenso da parte del RAGIONE_SOCIALE prima della chiusura delle procedure. La Corte (v. in particolare le pagg. 31 e 32 della sentenza impugnata) ha risposto alla censura, sottolineando come in base al principio della tendenziale unitarietà della procedura la liquidazione dei compensi dovrebbe avvenire alla chiusura della procedura, ma nel caso di specie l’art. 4 del d.m. 4 dicembre 2006 del Ministro RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE prevede che al commissario liquidatore che cessi dalle funzioni prima della chiusura la liquidazione sia liquidato il compenso ‘tenuto conto dell’opera prestata’; come poi – in assenza di trattamenti ‘discriminatori’ rispetto ai commissari che avevano continuato nel loro incarico – la liquidazione all’esito dell’incarico sia in linea, non solo con il dettato normativo, ma con la necessità ‘di mantenere la procedura entro canali di economicità ed evitare quindi un aggravamento dovuto dal decorso di interessi’; come, infine, fossero stati gli stessi ricorrenti a chiedere nel 2008, al termine del loro incarico, la liquidazione dei propri compensi. È poi generica la seconda parte del motivo, che lamenta la scelta operata dal RAGIONE_SOCIALE dei coefficienti, finendo per limitarsi a contestare davanti a questa Corte l’errore del RAGIONE_SOCIALE e il difetto di motivazione del provvedimento del RAGIONE_SOCIALE stesso invece di rapportarsi con la sentenza impugnata (v. in particolare le pagg. 32 e 33).
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis RAGIONE_SOCIALE stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio in favore RAGIONE_SOCIALE Stato, che liquida in euro 7.000, oltre alle spese prenotate a debito.
Sussistono, ex art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis RAGIONE_SOCIALE stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda