Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11917 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11917 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29449 R.G. anno 2022 proposto da:
NOME , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende controricorrente avverso la sentenza n. 3997/2022 emessa dal TRIBUNALE DI MILANO.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 marzo 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
il Giudice di pace di Milano ha respinto la domanda proposta da NOME COGNOME COGNOME confronti di RAGIONE_SOCIALE: domanda volta ad ottenere il riaccredito di una somma di euro 4.816,00, sottratta da terzi, resisi autori del furto e d ell’illegittimo uso di due carte di credito rilasciate all’istante dalla banca convenuta.
– I l Tribunale di Milano, con sentenza del 9 maggio 2022, ha respinto l’appello, ritenendo inapplicabile l’invocata disciplina di cui al d.lgs. n. 11/2010, in quanto l’attore non aveva provato l’esistenza di operazioni eseguite mediante l’uso illecito di carte di credito, avendo il medesimo prodotto soltanto la denuncia di furto; ha aggiunto che, in ogni caso, ai sensi dell’art. 12 del predetto d.lgs. n. 11/2010, la responsabilità del prestatore del servizio di pagamento era esclusa in presenza di una condotta gravemente colposa dello stesso utilizzatore: colpa che nella specie ha ravvisato, conferendo rilievo al fatto che COGNOME non aveva custodito in modo diligente le suddette carte di credito, che erano rimaste nella propria giacca, lasciata incustodita su di una sedia mentre egli era al tavolo di un punto di ristoro all’interno di un centro commerciale. Il Tribunale ha rilevato che l’appellante non si era avveduto di terzi che, approfittando della sua distrazione, gli avevano sottratto il portafoglio e ha rimarcato come in considerazione del luogo particolarmente affollato, si imponeva « l’adozione di massima cautela».
Avverso questa sentenza ricorre per cassazione il soccombente, sulla base di due motivi, cui resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
E’ stata formulata proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis c.p.c.. A fronte di essa, parte ricorrente ha domandato la decisione della causa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Questo è il tenore della proposta:
« due motivi deducono:
«1) violazione e falsa applicazione dell’art. 2735 c.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 3 c.p.c., in quanto il Tribunale ha omesso di considerare i doc. n. 2 e n. 4, allegati al fascicolo di primo grado, aventi valore di confessione stragiudiziale, in cui l’istituto di credito ha rifiutato di riaccreditare le somme, imputandogli una colpa grave nella custodia, in tal modo però riconoscendo importi e circostanze di fatto descritte nella denuncia;
«2) nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., per motivazione apparente o insufficiente, non avendo il Tribunale motivato perché abbia escluso che sia avvenuto un furto con destrezza, in grado di escludere la colpa grave del ricorrente»;
«il primo motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., per difetto di specificità, posto che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi della norma indicata, quale corollario del requisito di specificità dei motivi -anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 -esige che il ricorrente indichi in modo sufficientemente preciso il contenuto degli atti che richiama all’interno delle censure e provveda a segnalare la loro presenza negli atti del giudizio di merito, così «localizzandoli» (Cass Sez. U. 18 marzo 2022, n. 8950), requisito invece del tutto assente nella specie;
«il secondo motivo è inammissibile, perché attacca una parte della motivazione della sentenza impugnata esposta solo ad abundantiam , che non costituisce la ratio decidendi : ma va richiamato il consolidato principio di diritto, secondo cui qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità, con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni ulteriori o sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad
impugnare tale profilo della decisione (Cass., sez. VI, 1.7.2020, n. 13293; Cass., sez. III, 17.10.2019, n. 26296; Cass., sez. VI, 17.1.2019, n. 1093; Cass., sez. I, 10.4.2018, n. 8755; Cass., sez. I, 26.1.2018, n. 2037; per tutte, Cass., sez. un., 20.2.2007, n. 3840)».
Il Collegio reputa che il ricorso sia inammissibile, pur con alcune precisazioni rispetto a quanto esposto nella proposta.
Il primo motivo denota effettivamente il difetto di autosufficienza sopra indicato.
Il secondo è inammissibile in forza del principio per cui qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, il mancato accoglimento delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. 11 maggio 2018, n. 11493; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108): in effetti la pronuncia prospetta due rationes decidendi , ma la seconda non è scrutinabile in ragione dell”inamm issibilità del motivo di ricorso con cui essa è stata aggredita.
Per mera completezza: anche la seconda ratio resisterebbe a censura, visto che l’argomentare della Corte di merito quanto alla responsabil ità gravemente colpevole dell’odierno ricorrente si colloca oltre la soglia del c.d. «minimo costituzionale» (per cui cfr.: Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054).
3. ─ Le spese processuali seguono la soccombenza.
Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta, va disposta condanna della parte istante a norma dell’art. 96, comma 3 e comma 4, c.p.c.. Le dette disposizioni, cui fa rinvio l’art. 380bis c.p.c., sono difatti immediatamente applicabili giusta il comma 1 dell’art. 35 del d,lgs. n. 149/2022 ai giudizi ─ come quello in esame ─ introdotti
con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 e per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio (Cass. Sez. U. 27 settembre 2023, n. 27433, in motivazione).
Vale, poi, rammentare quanto segue: in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022) ─ che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c. ─ codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass. Sez. U. 13 ottobre 2023, n. 28540).
In tal senso, la parte ricorrente va condannata, nei confronti di quella controricorrente, al pagamento della somma equitativamente determinata di € 2.000,00, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge; condanna parte ricorrente al pagamento della somma di € 2.000,00 in favore della parte controricorrente, e di una ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione