Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20602 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 20602 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18196/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domicilio digitale presso PEC EMAIL ed elettivamente domiciliata in RAGIONE_SOCIALEINDIRIZZO, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente-
contro
COGNOME, domicilio digitale presso EMAIL ed elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 1456/2023 depositata il 26/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/07/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 1456/2023, pubblicata in data 26 aprile 2023, la Corte d’appello di Napoli, nella regolare costituzione dell’appellata RAGIONE_SOCIALE, ha accolto il gravame proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, la quale aveva respinto la domanda con la quale lo stesso NOME COGNOME -dipendente della RAGIONE_SOCIALE con mansioni di infermiere e rientrante nel personale turnista – aveva chiesto accertarsi il proprio diritto ad usufruire, in relazione al periodo 1° febbraio 2002 – 31 dicembre 2008, del servizio mensa, nella modalità alternativa del buono pasto, anche in occasione dello svolgimento del turno di lavoro dalle ore 20.00 alle ore 8.00.
La Corte territoriale, richiamata l’evoluzione della disciplina di legge e pattizia intervenuta nel tempo, ha rilevato che l’espressione “particolare articolazione dell’orario di lavoro”, contenuta nell’art. 29 CCNL Sanità del 20 settembre 2001 – il quale con tale riferimento individuava i beneficiari del previsto diritto alla mensa -ricollegava il sorgere del diritto non già a non solo alla durata oraria della prestazione, bensì al suo svolgersi cono modalità orarie tali de generare l’esigenza tutelata mediante il riconoscimento del servizio o del buono mensa.
Ha poi osservato che, mentre nella riunione sindacale aziendale del 13 dicembre 1996, il diritto al buono pasto era stato concordemente limitato ai soli lavoratori in servizio nella fascia oraria 12.30/14.30, nel successivo incontro aziendale del 16 dicembre 2008 – cui avevano partecipato tutte le sigle sindacali -il
diritto era stato riconosciuto anche in favore del personale in servizio nel turno notturno, ritenendo -anche sulla scorta del precedente di questa Corte n. 5547/2021 -che tale ultimo dato, unitamente alle indicazioni provenienti dalla disciplina di legge, comportassero il diritto della lavoratrice al riconoscimento del buono pasto anche in relazione al turno 20.00-8.00, ricorrendo anche in tal caso quella particolare articolazione dell’orario di lavoro che fondava il diritto.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli ricorre ora RAGIONE_SOCIALE. Resiste con controricorso NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis.1, c.p.c. Il controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, nn. 3, 4, 5, c.p.c., la ‘erronea interpretazione della norma contrattuale e degli accordi sindacali -contrasto con la previsione del CCNL del 2001 art. 29 nonché D. Lgs. 66/2003 art. 8’.
Il ricorso richiama il verbale della riunione sindacale aziendale del 13 dicembre 1996, nella quale il diritto al buono pasto era stato concordemente limitato ai soli lavoratori in servizio nella fascia oraria 12.30/14.30, evidenziando che solo nel successivo incontro aziendale del 16 dicembre 2008 il diritto era stato esteso al turno
notturno, dandosi atto che ciò costituiva modifica dei precedenti accordi.
1.3. Con il secondo motivo il ricorso, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., deduce, testualmente, ‘omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione al verbale di riunione tra RAGIONE_SOCIALE ed i rappresentanti delle O.O.S.S. del 13/12/1996 -esecuzione dell’accordo con effetti ex nunc e non ex tunc – non previsto dalle parti effetto retroattivo del pagamento’.
I motivi di ricorso sono inammissibili.
2.1. L’inammissibilità del primo motivo discende dal mancato rispetto di quel principio di specificità che trova diretta enunciazione all’art. 366 c.p.c. e che avrebbe imposto al ricorrente di procedere alla riproduzione almeno dei passaggi principali -nonché alla localizzazione negli atti di causa -di quei verbali di incontro aziendale in data 13 dicembre 1996 e 16 dicembre 2008 di cui il ricorrente medesimo viene contemporaneamente (ed inammissibilmente, attesa l’assoluta contraddittorietà della censura) a dedurre sia l’omesso esame sia l’erronea interpretazione ad opera della Corte partenopea, dovendosi invece evidenziare, da un lato, che la decisione impugnata ha direttamente ed espressamente proceduto all’esame ed interpretazione di tali verbali e, dall’altro lato, che la ricorrente non ha invece formulato una corretta censura di violazione delle regole di interpretazione dei contratti ex artt. 360, n. 3) c.p.c. e 1362 segg. c.c.
2.2. Inammissibile, infine, è il secondo motivo, il quale, richiamandosi all’ipotesi dell’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360, n. 5), c.p.c., si sostanzia invece esclusivamente nel
denunciare il contrasto interpretativo che sarebbe insorto tra la decisione di prime cure e quella della Corte d’appello di Napoli, ponendosi totalmente al di fuori dei criteri di articolazione del motivo di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c. come ripetutamente declinati da questa Corte (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e le successive Cass. Sez. 6 – 3, Sentenza n. 25216 del 27/11/2014; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 9253 del 11/04/2017).
Ciò di cui il ricorrente viene a dolersi, del resto, non è alcun omesso esame di fatti -men che meno decisivi -ma un mero -e fisiologico -sviluppo del giudizio nei suoi diversi gradi, dovendosi escludere che il mero contrasto tra decisioni assunte in diversi gradi di merito possa assumere rilevanza quale motivo di impugnazione in sede di legittimità.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo, con distrazione in favore del procuratore dichiaratosi antistatario.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto”, spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 1.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, con distrazione in favore del procuratore dichiaratosi antistatario.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro