Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18608 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18608 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 18060/2019 R.G. proposto da:
NOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 5372/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 03/12/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
La vicenda processuale, per quel che qui ancora rileva, può riassumersi nei termini seguenti:
–RAGIONE_SOCIALE, gestore concessionaria di <>, che si avvale di ricevitorie, ottenne ingiunzione monitoria nei confronti di NOME COGNOME, titolare di una ricevitoria, per la somma di € 15.449,42, risultante dai ‘borderò’ previsti dal contratto intercorso tra le parti;
-l’ingiunto, proposta l’opposizione, banco iudicis, versò l’importo di € 5.500,00, del quale si dichiarò debitore;
-il Tribunale, revocato il decreto, condannò l’opponente al pagamento del residuo di € 9.949,42.
-la Corte d’appello di Milano rigettò l’impugnazione dell’opponente.
NOME COGNOME ricorre sulla base di tre motivi. L’intimata resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Con il primo motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ.
Sostiene il ricorrente che la controparte non aveva provato, pur godendo della vicinanza della prova, di aver reso conoscibili i ‘borderò’ al titolare della ricevitoria e, pertanto, non potevasi affermare che gli stessi erano divenuti definitivi trascorsi quindici giorni, come da contratto.
2.1. Il motivo è infondato.
La sentenza spiega che non era controverso che i ‘borderò’ erano stati messi a disposizione dell’appellante on line digitalmente, di talché sarebbe stato onere di costui dimostrare di non aver potuto prendere visione degli stessi per ragioni dipendenti dal terminale a lui in uso.
L’evocazione della regola sull’onere probatorio perciò solo non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento
fattuale operato dal giudice di merito manifesti la prospettata violazione di legge, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la conclusione nel senso auspicato dal ricorrente, evenienza che qui niente affatto ricorre, richiedendosi, in definitiva, che la Corte di legittimità, sostituendosi inammissibilmente alla Corte d’appello, faccia luogo a nuovo vaglio probatorio, di talché, nella sostanza, peraltro neppure efficacemente dissimulata, la doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile. La critica, in sostanza, presuppone che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito sia tale da integrare il rivendicato inquadramento normativo, e che, quindi, ancora una volta, l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, risulti tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 11775/019, 6806/019).
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2710 e 2712 cod. civ., 113, 115 e 116 cod. proc. civ.
La sentenza, si afferma, aveva reputato che i ‘borderò’ costituissero riconoscimento del debito, ex art. 1988 cod. civ. Pur vero, prosegue il COGNOME, che i predetti documenti avevano la natura di prova contabile nei confronti del ricevitore, tuttavia, gli stessi potevano avere una tale valenza solo per le voci riferibili alle poste del gioco e non per penali, canoni o altro e, nel caso di specie, <>. Trattavasi, quindi, di poste unilateralmente indicate da RAGIONE_SOCIALE.
4.1. Il motivo è inammissibile.
La valenza di prova, in assenza di tempestiva contestazione, come previsto dal contratto, dei ‘borderò’ rende la censura spuntata. Inoltre, siccome riporta la sentenza a pag. 7, con l’atto di opposizione il COGNOME non ebbe a contestare nel merito i crediti vantati da RAGIONE_SOCIALE e, quindi, ancor più oggi, il profilo di doglianza è inammissibile.
Inoltre, a ben vedere, per contestare la possibilità d’includere nel ‘borderò’ poste diverse dai riversamenti degli incassi del gioco sarebbe stato necessario contestare l’interpretazione del contratto, cosa che non è stata fatta.
Debbono, di poi, richiamarsi i consolidati principi a riguardo dei limiti alla denuncia di violazione degli artt. 115 e 116.
Sul punto è bastevole riprendere quanto affermato dalle Sezioni unite con la sentenza n. 20867 del 30/09/2020.
In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la
censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Rv. 659037 -02).
In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Rv. n. 659037 -01).
Privo di apprezzabile significato risulta il richiamo all’art. 113 cod. proc. civ., il quale, salve le eccezioni di legge, vieta il giudizio secondo equità.
Infine, non merita migliore sorte il richiamo agli artt. 2710 e 2712 cod. civ., i quali, all’evidenza, non entrano in gioco: il contratto stabiliva il valore probante dei ‘borderò’ elettronici trasmessi per via telematica.
Con il terzo motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ., per avere la sentenza giudicato tardive le contestazioni riguardanti il credito portato dai singoli ‘borderò’.
Secondo il ricorrente era vero il contrario, poiché con l’opposizione egli aveva contestato il credito, in quanto i borderò <>. Era evidente, quindi, chiosa il ricorrente, che le causali sottese non erano giustificate. In sede di prima memoria ex art. 183, co. 6, cod. proc. civ., aveva proceduto ad analitica contestazione, che doveva considerarsi tempestiva, tenuto conto delle <>.
5.1. Il motivo è infondato.
Le deduzioni sono state correttamente giudicate nuove.
Per un verso il ricorrente non ci dice in cosa fosse consistita la novità delle allegazioni di cui alla comparsa di risposta della controparte, tale da giustificare la risposta tardiva. Per altro verso la memoria di cui al co. 6 dell’art. 183 cod. proc. civ. ha la funzione di modifica o precisazione delle domande o delle eccezioni già proposte, che qui non consta fossero state tempestivamente avanzate.
Nel complesso il ricorso merita rigetto.
le spese del giudizio di legittimità della controricorrente debbono essere poste a carico del ricorrente nella misura, stimata congrua, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle attività svolte, di cui in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese legali in favore della resistente, che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio di giorno 24