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Azione revocatoria fallimentare: no se atto del terzo

Una società costruttrice stipula un preliminare per una villa, pagando quasi tutto subito. Il venditore concede ipoteca sulla villa a garanzia di un debito della società. Quando la società fallisce, il curatore completa l’acquisto e la villa entra nell’attivo fallimentare. La Cassazione ha negato l’uso dell’azione revocatoria fallimentare contro l’ipoteca, perché concessa da un terzo su un bene all’epoca suo, e non dal debitore poi fallito. La valutazione va fatta al momento dell’atto, non ex post.

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Azione Revocatoria Fallimentare: Inefficace contro l’Ipoteca del Terzo

L’azione revocatoria fallimentare è uno strumento cruciale per il curatore, ma i suoi limiti sono netti, specialmente quando l’atto pregiudizievole non proviene dal debitore. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che un’ipoteca concessa da un terzo su un immobile, poi entrato nel patrimonio del fallito, non può essere revocata, poiché il momento determinante per la valutazione è quello della costituzione della garanzia.

Il caso: una complessa operazione immobiliare e finanziaria

La vicenda trae origine da un’operazione immobiliare complessa. Una società costruttrice stipula un contratto preliminare per l’acquisto di una villa, versando quasi la totalità del prezzo a titolo di caparra confirmatoria (il 99,67%). Pochi giorni dopo la stipula del preliminare, il promittente venditore, agendo come terzo datore di ipoteca, concede una garanzia reale sullo stesso immobile per assicurare un’apertura di credito concessa da una banca alla società costruttrice. Successivamente, concede una seconda ipoteca per un ulteriore finanziamento.

Tempo dopo, la società costruttrice viene dichiarata fallita. Il curatore, autorizzato dal giudice delegato, decide di dare esecuzione al contratto preliminare, salda il prezzo residuo e acquisisce l’immobile all’attivo fallimentare. A questo punto, la società cessionaria del credito della banca chiede di essere ammessa al passivo in via privilegiata, forte delle due ipoteche che gravano sulla villa.

Il curatore si oppone, sollevando un’eccezione di revocatoria ex art. 66 L.F., sostenendo che le ipoteche erano state costituite per garantire crediti preesistenti, alterando la par condicio creditorum. Il Tribunale, in sede di opposizione, accoglie la tesi della creditrice, ritenendo che l’atto di costituzione dell’ipoteca, provenendo da un terzo e non dal debitore poi fallito, non potesse essere oggetto di revocatoria. Contro questa decisione, il curatore propone ricorso in Cassazione.

I limiti dell’azione revocatoria fallimentare

Il curatore lamentava che il Tribunale non avesse considerato la sequenza cronologica dei fatti, la quale avrebbe dimostrato che l’immobile era de facto destinato a entrare nel patrimonio della società sin dall’inizio, rendendo l’atto del terzo economicamente riconducibile al debitore. Secondo la difesa del fallimento, l’intera operazione era un unico disegno volto a pregiudicare i creditori.

La Suprema Corte, tuttavia, dichiara inammissibile questo motivo. Sottolinea che, nel giudizio di merito, la curatela non aveva specificamente argomentato sulla base di questa complessa ricostruzione fattuale. Introdurre tale prospettiva per la prima volta in Cassazione costituisce una questione nuova, non ammissibile in sede di legittimità. Il ricorso per omesso esame di un fatto decisivo richiede che tale fatto sia stato oggetto di specifica discussione tra le parti nel grado precedente, circostanza non dimostrata dal ricorrente.

L’importanza del momento dell’atto pregiudizievole nell’azione revocatoria fallimentare

Il secondo motivo di ricorso si basava su una violazione di legge. Il curatore sosteneva che, se il Tribunale aveva riconosciuto la validità del privilegio ipotecario dopo l’acquisto dell’immobile (per effetto della ‘riunione’ del debito e della garanzia in capo al fallimento), allora avrebbe dovuto, per coerenza, ammettere anche l’eccezione revocatoria.

Anche questa tesi viene respinta. La Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: l’azione revocatoria fallimentare ex art. 66 L.F., che rinvia alle norme del codice civile sull’azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.), richiede una valutazione dei presupposti al momento in cui l’atto pregiudizievole è stato compiuto.

Le motivazioni della Corte

La Corte chiarisce che l’atto di cui si chiede la revoca è la costituzione dell’ipoteca. Al momento in cui le ipoteche sono state iscritte, l’atto è stato compiuto da un terzo (il promittente venditore) su un bene di sua proprietà. In quel preciso istante, il patrimonio del debitore (la società costruttrice) non ha subito alcuna diminuzione. L’atto dispositivo non proveniva dal debitore, ma da un soggetto estraneo.

La prospettazione del curatore, che vorrebbe valutare la revocabilità ex post, cioè dopo l’acquisto del bene da parte del fallimento, determina uno ‘stravolgimento dei presupposti’ dell’azione revocatoria. I requisiti, come la conoscenza del pregiudizio da parte del debitore, devono essere accertati con riferimento alla data del compimento dell’atto dispositivo, non a un momento successivo. Il fatto che, in seguito, il bene sia entrato a far parte dell’attivo fallimentare non può sanare il difetto originario dei presupposti per l’azione, ovvero che l’atto dispositivo dannoso sia stato compiuto dal debitore stesso.

Le conclusioni

La decisione della Cassazione rafforza un principio cardine in materia di revocatoria: la valutazione dei presupposti dell’azione deve essere ancorata al momento in cui l’atto potenzialmente dannoso viene posto in essere. L’azione revocatoria fallimentare mira a colpire gli atti dispositivi del debitore che ledono la garanzia patrimoniale dei creditori. Se l’atto è compiuto da un terzo su un bene che, in quel momento, non appartiene al debitore, l’azione non è esperibile, anche se, per una serie di vicende successive, quel bene finisce per confluire nella massa fallimentare. Questa pronuncia offre un importante chiarimento sui confini applicativi dello strumento revocatorio in operazioni finanziarie e immobiliari complesse.

È possibile esperire l’azione revocatoria fallimentare contro un’ipoteca concessa da un terzo?
No, la sentenza chiarisce che l’azione revocatoria fallimentare non è esperibile se l’atto di costituzione della garanzia (ipoteca) è stato compiuto da un terzo su un bene di sua proprietà, e non dal debitore poi fallito. L’azione colpisce solo gli atti dispositivi del debitore.

Come si valuta il pregiudizio ai creditori nell’azione revocatoria?
I presupposti per l’azione revocatoria, incluso il pregiudizio per i creditori e la consapevolezza di tale pregiudizio, devono essere valutati con riferimento al momento esatto in cui l’atto dispositivo è stato compiuto, non in un momento successivo.

L’acquisto successivo del bene da parte del fallimento cambia la natura dell’atto di garanzia ai fini della revocatoria?
No, l’acquisto dell’immobile da parte della curatela dopo la dichiarazione di fallimento non cambia la natura dell’atto originario. La valutazione della revocabilità rimane ancorata alle circostanze esistenti al momento della costituzione dell’ipoteca, quando il bene era di proprietà di un terzo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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