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Azione Revocatoria: credito litigioso è sufficiente

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20629/2024, ha confermato che per l’esercizio dell’azione revocatoria è sufficiente un credito anche solo potenziale o litigioso. Nel caso esaminato, una ex amministratrice di una banca aveva conferito le sue partecipazioni societarie in nuove società familiari. La banca, pur avendo solo un potenziale credito risarcitorio nei suoi confronti, ha agito con successo in revocatoria. La Corte ha ribadito che non è necessaria la certezza, liquidità ed esigibilità del credito, bastando una ragionevole aspettativa, e ha negato la necessità di sospendere il giudizio in attesa dell’accertamento del credito stesso.

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Azione Revocatoria: anche un credito litigioso merita tutela

L’azione revocatoria rappresenta uno degli strumenti più importanti a disposizione del creditore per conservare la garanzia patrimoniale del proprio debitore. Ma cosa succede se il credito non è ancora certo, liquido ed esigibile, ma è oggetto di una causa in corso? La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 20629 del 24 luglio 2024, è tornata su questo tema cruciale, confermando un orientamento consolidato e offrendo importanti chiarimenti sui presupposti per agire in giudizio.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dalla domanda proposta da un istituto di credito in liquidazione coatta amministrativa nei confronti di una sua ex amministratrice. La banca sosteneva che la manager, dopo aver costituito due società di persone con i propri figli, vi avesse conferito le sue quote di partecipazione in altre due importanti società, per un valore complessivo di oltre due milioni di euro. Secondo la banca, tali atti dispositivi erano stati posti in essere al fine di sottrarre beni alla garanzia di un potenziale credito risarcitorio, derivante da un’azione di responsabilità per mala gestio promossa nei confronti degli ex consiglieri di amministrazione.

Il Tribunale di primo grado aveva rigettato la domanda, ma la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione, dichiarando l’inefficacia degli atti di conferimento. L’ex amministratrice e le società beneficiarie hanno quindi proposto ricorso in Cassazione, contestando principalmente la nozione di ‘credito’ utilizzata dai giudici di merito.

L’Azione Revocatoria a tutela del credito eventuale

Il cuore della questione giuridica verteva sull’interpretazione dell’art. 2901 del codice civile, norma che disciplina l’azione revocatoria. I ricorrenti sostenevano che per poter agire non fosse sufficiente una mera aspettativa o un credito litigioso, ma occorresse un credito già accertato. Questa interpretazione, a loro dire, era l’unica compatibile con la tutela del diritto di proprietà, che altrimenti verrebbe ingiustificatamente compresso.

La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato tale impostazione, aderendo a una lettura estensiva e consolidata della norma. I giudici hanno chiarito che la finalità dell’azione revocatoria è conservativa: essa non mira a ottenere il pagamento (scopo restitutorio), ma a preservare il patrimonio del debitore affinché, una volta accertato il credito, il creditore possa trovare beni su cui soddisfarsi. Di conseguenza, non è necessaria la sussistenza di un credito certo, liquido ed esigibile. È sufficiente una semplice aspettativa di credito che non si riveli, a una prima analisi, del tutto pretestuosa.

Nessuna sospensione necessaria del processo

Un altro motivo di ricorso riguardava la mancata sospensione del processo revocatorio in attesa della definizione del giudizio sull’azione di responsabilità. Anche su questo punto, la Cassazione ha respinto la doglianza. Citando un precedente delle Sezioni Unite (sent. n. 9440/2004), la Corte ha ribadito che non esiste un rapporto di pregiudizialità necessaria tra il giudizio di accertamento del credito e quello revocatorio. L’accertamento del credito nel processo revocatorio avviene solo incidenter tantum, ovvero ai soli fini di valutare la fondatezza della domanda revocatoria, e non costituisce un giudicato opponibile in altre sedi. Pertanto, non vi è rischio di conflitto tra giudicati che giustifichi la sospensione.

Le Motivazioni della Corte

Nelle sue motivazioni, la Corte di Cassazione ha ripercorso l’evoluzione giurisprudenziale che ha progressivamente ampliato la nozione di credito rilevante ai fini dell’art. 2901 c.c., includendovi anche il ‘credito litigioso’. Questa interpretazione risponde all’esigenza di rafforzare la tutela del creditore, senza per questo comprimere ingiustificatamente il diritto del debitore. La sentenza dichiarativa dell’inefficacia, infatti, non costituisce di per sé titolo per l’esecuzione forzata; per procedere esecutivamente, il creditore dovrà comunque munirsi di un titolo che accerti il suo credito.

Quanto all’elemento soggettivo (la scientia damni), la Corte ha ritenuto inammissibile la censura dei ricorrenti. I giudici di merito avevano adeguatamente motivato la sussistenza della piena consapevolezza, in capo all’ex amministratrice, del pregiudizio che gli atti di conferimento avrebbero arrecato alle ragioni creditorie. Tale consapevolezza era stata desunta da una serie di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, come l’approvazione di un bilancio in pesantissima perdita, la proposta (sebbene respinta) di un’azione di responsabilità in assemblea e le risultanze di un’ispezione della BCE che aveva evidenziato numerose mancanze gestionali.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

L’ordinanza in commento consolida principi fondamentali in materia di azione revocatoria. Si conferma che il creditore può agire per tutelare la propria garanzia patrimoniale anche quando il suo credito è ancora solo potenziale o sub iudice, purché esista una ragionevole probabilità che esso venga ad esistenza. Questa pronuncia offre una tutela anticipata e robusta contro gli atti dispositivi del debitore volti a svuotare il proprio patrimonio, ribadendo che la funzione conservativa dello strumento prevale sulla necessità di un accertamento definitivo del diritto di credito.

È possibile esercitare un’azione revocatoria se il credito non è ancora certo e definito?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che per l’esercizio dell’azione revocatoria non è necessaria la sussistenza di un credito certo, liquido ed esigibile. È sufficiente una semplice aspettativa che non si riveli palesemente pretestuosa, come un credito potenziale o oggetto di un giudizio in corso (credito litigioso).

Il giudizio sull’azione revocatoria deve essere sospeso in attesa della definizione del giudizio sul credito?
No. Secondo la giurisprudenza consolidata, non sussiste un rapporto di pregiudizialità necessaria tra i due giudizi. La valutazione sull’esistenza del credito nel processo revocatorio è svolta solo ai fini della decisione su tale domanda (incidenter tantum) e non crea un rischio di conflitto di giudicati che imponga la sospensione.

Cosa si intende per ‘elemento soggettivo’ e come è stato provato nel caso di specie?
L’elemento soggettivo (‘scientia damni’) è la consapevolezza da parte del debitore che l’atto di disposizione patrimoniale che sta compiendo arrecherà un pregiudizio alle ragioni dei creditori. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che i giudici di merito avessero correttamente provato tale consapevolezza attraverso una serie di presunzioni, tra cui la conoscenza delle enormi perdite della banca, della proposta di un’azione di responsabilità e delle criticità emerse da un’ispezione della BCE.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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