Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20629 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20629 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CONDELLO NOME COGNOME
Data pubblicazione: 24/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32067/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. ) e dall’AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO ), elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo, in Roma, via
COGNOME (p.e.c. Nizza, n. 11
-ricorrente –
contro
TURISTICA RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in persona dei legali rappresentanti, entrambe rappresentate e difese, giusta procura in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO
NOME COGNOME (p.e.c.: ), elettivamente domiciliati presso lo studio dell’AVV_NOTAIO (p.e.c.:EMAIL), in Roma, INDIRIZZO
-controricorrenti incidentali –
e nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, in persona dei Commissari Liquidatori, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME (p.e.c.: ) e NOME COGNOME (p.e.c.: ), elettivamente domiciliata presso lo studio RAGIONE_SOCIALE, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
nonché nei confronti di
COGNOME NOME e COGNOME NOME
-intimati – avverso la sentenza del la Corte d’appello di Venezia n. 1474/2021, pubblicata in data 14 maggio 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11 aprile 2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOMENOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Padova, con sentenza n. 220/2020, rigettava,
per insussistenza del requisito soggettivo, la domanda con cui RAGIONE_SOCIALE in liquidazione coatta amministrativa, deducendo di avere promosso in altro giudizio azione sociale di responsabilità ai sensi degli artt. 2392, 2396, 2403, 2403bis e 2407 cod. civ. nei confronti degli ex consiglieri di amministrazione, tra i quali NOME COGNOME, aveva chiesto che venissero dichiarati inefficaci, ai sensi dell’art. 2901 cod. civ. , gli atti dispositivi con cui quest’ultima , dopo avere costituito con i RAGIONE_SOCIALE NOME e NOME COGNOME le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, aveva conferito alla prima la sua quota di partecipazione in RAGIONE_SOCIALE, avente un valore dichiarato di euro 1.300.000.00, e, alla seconda, la sua quota di partecipazione in RAGIONE_SOCIALE, avente un valore dichiarato di euro 1.036.000,00.
La Corte d’appello adita, pronunciandosi sul gravame interposto, in via principale, da RAGIONE_SOCIALE e, in via incidentale, dalle controparti, ha dichiarato inefficaci gli atti di conferimento e non legittimati passivamente NOME e NOME COGNOME.
In sintesi, disattesa l’istanza di sospensione del giudizio, formulata ex art. 295 cod. proc. civ., ha confermato la sussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’azione ex art. 2901 cod. civ., respingendo tutte le eccezioni e domande riproposte dalle parti appellate in via incidentale.
Per la cassazione della suddetta decisione NOME COGNOME propone ricorso, con cinque motivi.
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione coatta amministrativa resiste con controricorso.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE hanno
depositato controricorso adesivo al ricorso di NOME COGNOME.
NOME e NOME COGNOME non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
Il ricorso è stato avviato per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ. e in prossimità dell’adunanza camerale la ricorrente e le controricorrenti hanno depositato memorie illustrative.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va pregiudizialmente osservato che il controricorso depositato dalle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE deve essere qualificato come ricorso incidentale adesivo ed è ammissibile.
Conformemente al principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo, sicché ogni ricorso successivo al primo si converte -indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante -in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti) risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 cod. proc. civ. (Cass., sez. 3, 23/11/2021, n. 36057; Cass., 14/1/2020, n. 5448; Cass., sez. 3, 9/2/2016, n. 2516; Cass., sez. L, 20/3/2015, n. 5695).
Si è ulteriormente sottolineato che tale principio non trova deroghe riguardo all’impugnazione di tipo adesivo che persegue il medesimo intento di rimuovere la sentenza sfavorevole ad entrambi, né nell’ipotesi in cui si intenda proporre impugnazione contro una parte non impugnata o avversi capi della sentenza diversi da quelli oggetto della già proposta impugnazione (Cass., 6/12/2005, n.
26622).
Nel caso di specie, le ricorrenti in via incidentale hanno espressamente dichiarato di condividere i motivi formulati dalla ricorrente principale ed hanno chiesto la cassazione della sentenza impugnata, svolgendo argomenti del tutto sovrapponibili a quelli già esposti dalla COGNOME; si tratta, pertanto, di controricorso contenente un ricorso incidentale sostanzialmente adesivo a quello principale, l’interesse alla proposizione del quale è sorto non già, neppure indirettamente, dalla proposizione del ricorso principale, bensì, con tutta evidenza, dalla pronunzia della sentenza.
Orbene, il ricorso de quo risulta essere stato proposto con atto notificato il 21 gennaio 2022 e, pertanto, entro il termine di 40 giorni decorrente dalla notifica del ricorso ad opera di controparte ricevuto il 14 dicembre 2021.
2. Con il primo motivo la ricorrente principale e le ricorrenti incidentali adesive deducono , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ‹‹violazione o falsa applicazione dell’art. 2901 cod. civ. anche in relazione all’art. 12 Preleggi, all’art. 832 cod. civ. ed all’art. 42 Cost. Illegittima individuazione del ‘credito’ quale presupposto per l’azione revocatoria››, per avere la Corte d’appello dato seguito all’orientamento consolidato secondo cui ai fini dell’azione revocatoria ‹‹ non è necessario un credito certo ed attuale ovvero una pretesa obbligatoria liquida ed esigibile, bastando la presenza di una semplice aspettativa, la quale tuttavia non deve manifestarsi prima facie assolutamente pretestuosa ›› .
Sostengono, in particolare, che tale orientamento contrasta con il dato normativo dell’art. 2901 cod. civ. -che non ammetterebbe una concezione lata del credito e che non dovrebbe trovare applicazione quando il credito a garanzia del quale si agisce è ancora sub iudice -e si fonda su un assunto, erroneo, non essendo vero che l’azione
revocatoria, per il fatto di non avere conseguenze restitutorie, rimarrebbe sprovvista di effetti che incidono sul patrimonio del debitore; da qui la contestata violazione dell’art. 12 delle Preleggi, dato che l’orientamento su cui pog gia la sentenza travalica l’interpretazione letterale de l l’art . 2901 cod. civ., nonché degli artt. 832 cod. civ. e 42 Cost., posto che il riconoscimento di una concezione lata del credito comporta una alterazione del contenuto del diritto di proprietà, per non essere il proprietario ‹‹ libero di disporre del proprio bene ponendo in essere un del tutto lecito atto efficace erga omnes di trasferimento del bene stesso ›› .
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. La questione posta è già stata affrontata dalla sentenza n. 9440 del 2004 delle Sezioni Unite di questa Corte, le quali, chiamate a pronunciarsi sulla diversa questione concernente la sussistenza o meno del rapporto di pregiudizialità necessaria, tale da comportare la sospensione ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., tra il giudizio promosso con l’azione revocatoria e quello avente ad oggetto l’accertamento del credito invocato ai fini della tutela revocatoria, hanno dato risposta al quesito se la formula contenuta nell’art. 2901 cod. civ., secondo cui può agire in revocatoria ‹‹ il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine ›› , possa essere estensivamente interpretata sino a ricomprendervi la fattispecie del credito eventuale anche nella veste di “credito litigioso”, in modo da elevarla a condizione dell’azione, a fatto costitutivo della fondatezza della domand a revocatoria.
Nel sottolineare che l’orientamento giurisprudenziale ha progressivamente fornito una lettura evolutiva ed espansiva dell’art. 2901 cod. civ., nella quale al credito sottoposto a condizione sospensiva è stata equiparata la situazione del credito potenziale o eventuale, le Sezioni Unite hanno ritenuto di aderire a una lettura
estensiva della nozione di credito eventuale fino alla ricomprensione, quale fatto costitutivo della pretesa revocatoria, del ‹‹ credito litigioso ›› .
Sul punto, hanno precisato di non condividere la diversa opinione che non tiene conto della finalità perseguita dal legislatore di rafforzare ed ampliare la tutela del creditore, che trova attuazione nell’estensione della tutela conservativa ai titolari di crediti non attuali, ed hanno affermato che non possa ritenersi, come sostenuto da Cass., n. 10414/2001, che la ricomprensione dei crediti litigiosi, con particolare riferimento a quelli da fatto illecito, tra i crediti eventuali legittimanti l’esercizio dell’azione revocatoria sia tale da determinare una ingiustificata compressione del diritto di proprietà (art. 42 Cost.) sotto il profilo della limitazione del potere del debitore di disporre dei propri beni, sicché una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2901 cod. civ. imporrebbe di adottare una interpretazione restrittiva. Hanno considerato, al contrario, che la lettura estensiva della norma, in coerenza con il suo inquadramento tra i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale del credito, trovi giustificazione nelle esigenze di tutela del credito, che appaiono egualmente meritevoli di considerazione sia che il credito eventuale tragga origine da un negozio, sia che nasca da un fatto illecito, rivestendo eguale dignità le due posizioni creditorie, e meritando quindi entrambe l’accesso alla tutela conservativa somministrata dall’art. 2901 cod. civ. nel caso in cui il debitore, in pendenza del giudizio di accertamento del credito compia atti di disposizione del patrimonio suscettivi di pregiudicare le ragioni del creditore.
Sulla stessa linea si pone la giurisprudenza successiva (tra le tante, Cass., sez. 6- 3, 19/02/2020, n. 4212), che ha univocamente ribadito come ai fini dell’esperimento dell’azione revocatoria sia rilevante una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o
aspettativa, con conseguente irrilevanza della certezza del fondamento dei relativi fatti costitutivi, coerentemente con la funzione propria dell’azione, la quale non persegue scopi restitutori; di conseguenza, per l’ accoglimento di detta azione non è necessaria la sussistenza di un credito certo, liquido ed esigibile, bastando una semplice aspettativa che non si riveli prima facie pretestuosa e che possa valutarsi come probabile, anche se non definitivamente accertata (Cass., sez. 2, 18/07/2008, n. 20002; Cass., sez. 3, 09/02/2012, n. 1893; Cass., sez. 3, 22/03/2016, n. 5619; Cass., sez. 3, 15/11/2016, n. 23208; Cass., sez. 3, 15/05/2018, 11755).
A ciò deve pure aggiungersi che la nozione lata di credito, recepita dalla giurisprudenza non comporta, come paventa la ricorrente, una ingiustificata compressione dei diritti del debitore, proprio perché la sentenza dichiarativa dell’inefficacia dell’atto dispositivo, pronunciata in accoglimento della domanda ex art. 2901 cod. civ., non costituisce titolo sufficiente per procedere ad esecuzione, essendo a tal fine necessario che il creditore disponga anche di un titolo sull’esistenza del credito. Peraltro, l’art. 2901 cod. civ. condiziona la tutela alla sussistenza di altri requisiti, essendo richiesto, proprio a tutela della posizione del debitore, anche il requisito soggettivo, che si atteggia diversamente a seconda dell’anteriorità o posteriorità dell’atto dispositivo rispetto al sorgere del credito, il che significa che l’atto dispositivo non è di per sé solo sufficiente, ma diviene revocabile solo se accompagnato dalla consapevolezza, da parte del debitore che lo pone in essere, del pregiudizio arrecato ai creditori.
Le ragioni sottese al primo motivo, per quanto sopra detto, non appaiono fondate, posto che la RAGIONE_SOCIALE ben poteva agire in revocatoria a tutela di un credito risarcitorio in relazione al quale non aveva ancora promosso un giudizio di accertamento, ma di cui aveva
comunque compiutamente allegato nell’atto di citazione i fatti costitutivi.
Con il secondo motivo la ricorrente principale e le ricorrenti incidentali adesive censurano la decisione gravata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per ‹‹omesso esame di un fatto decisivo nel giudizio, consistente nell’accertamento della coincidenza tra i fatti posti ad oggetto della pretesa azionata dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della NOME COGNOME nell’azione di responsabilità ed i fatti oggetto degli ‘illeciti amministrativi’ contestati alla medesima DrNOME COGNOME››.
Assumono che ‹COGNOMEper utilizzare gli illeciti amministrativi quali elementi che attesterebbero la ‘probabilità’ della pretesa creditoria azionata da RAGIONE_SOCIALE nei confronti della NOME in sede di azione di responsabilità -e così ha fatto la Corte d’appello, limitando a ciò il suo esame sul punto -bisognava, infatti, anche accertare che i ‘fatti’ da cui sono scaturiti i procedimenti amministrativi siano i medesimi che originano la domanda risarcitoria, altrimenti manca proprio ‘l’esame circa un fatto decisivo’ ai fini della controversia››.
3.1. La censura è inammissibile.
3.2. Oltre al rilievo della genericità delle deduzioni indicate, che rende l’omissione comunque priva di decisività, va osservato che la doglianza non concerne l’omesso esame di un fatto storico, da intendersi principale o secondario, bensì la valutazione di deduzioni difensive, non inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (Cass., sez. U, 07/04/2014, n. 8053; Cass., sez. 2, 14/06/2017, n. 14802; Cass., sez. 2, 26/04/2022, n. 13024).
Con il terzo motivo la ricorrente principale e le ricorrenti incidentali adesive denunziano , in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., ‹‹violazione o falsa applicazione dell’art. 295 cod. proc. civ. e dell’art. 2901 cod. civ., nonché degli artt. 91 e 92 c.p.c., dell’art. 100 c.p.c. e dell’art. 111, second o comma, Cost. (principio di economia processuale) in relazione alla sussistenza dei presupposti per la sospensione del processo in attesa della definizione del processo avente ad oggetto l’accertamento del preteso (ed insussistente) credito di RAGIONE_SOCIALE nei confronti della Dr.ssa NOME›› e censurano la sentenza nella parte in cui ha ritenuto infondata l’istanza di sospensione.
Sostengono , al riguardo, che la pronuncia sull’azione revocatoria, quand’anche ‹‹ slegata ›› completamente dall’accertamento giudiziale del credito a tutela del quale si invoca la revocatoria degli atti dispositivi, contiene comunque una pronuncia sulle spese del giudizio che, se poste a carico del debitore, costituirebbero un vulnus irrimediabile, ove poi non venisse accertato il credito, a garanzia del quale l’azione ex art. 2901 cod. civ. era stata promossa.
4.1. La censura è inammissibile ai sensi dell’art. 360 -bis., n. 1, cod. proc. civ., in quanto la decisione della Corte d’appello non si discosta dall’interpretazione fornita da questa Corte.
4.2. Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 9440 del 2004, pronunciandosi proprio sull’applicabilità o meno dell’art. 295 cod. proc. civ all’ipotesi di un’azione revocatoria promossa a fronte di un credito sub iudice , hanno accolto la tesi che nega la necessità della sospensione ex art. 295 cod. proc. civ.
Ciò sul presupposto che, quando oggetto dell’azione revocatoria ordinaria sia una res litigiosa, la definizione dell’eventuale controversia sull’accertamento del credito non costituisce l’antecedente logico-giuridico indispensabile della pronuncia sulla domanda revocatoria, sicché il giudizio relativo a tale domanda non è soggetto a sospensione necessaria, neppure in generale ponendosi il
conflitto pratico tra giudicati che tale norma intende evitare, in quanto l’accertamento svolto incidenter tantum dal giudice dell’azione revocatoria in ordine al credito contestato è esclusivamente finalizzato ad ottenere l’inefficacia dell’atto pregiudizievole alle ragioni del creditore, ma non costituisce titolo sufficiente per procedere ad esecuzione nei confronti del terzo acquirente (Cass., sez. 1, 12/07/2013, n. 17257; Cass., sez. 3, 10/02/2016, n. 2673; Cass., sez. 6 -3, 05/02/2019, n. 3369).
Tali principi, che sono volti a tutelare valori costituzionali, come quello della ragionevole durata del processo, non sono minimamente scalfiti dal riferimento di parte ricorrente alle spese di lite inerenti l’azione revocatoria, dovendosi sottolineare che la ragione fondante della sospensione necessaria del processo ex art. 295 cod. proc. civ. è evitare il rischio di conflitto tra giudicati, per cui essa fa esclusivo riferimento all’ipotesi in cui tra due cause pendenti esista un nesso di pregiudizialità in senso tecnicogiuridico, e non già in senso meramente logico (Cass., sez. U, 26/07/2004, n. 14060; Cass., sez. L, 03/05/2007, n. 10185).
La sentenza impugnata si sottrae, pertanto, alla censura ad essa rivolta.
5. Con il quarto motivo la ricorrente principale e le ricorrenti incidentali adesive deducono , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ‹‹violazione o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. in relazione al criterio per la verifica della sussistenza dell’elemento soggettivo dell’azione revocatoria››, per avere i giudici d’appello accertato la sussistenza dell’elemento soggettivo sul presupposto che, ai fini dell’art. 2901 cod. civ., non fosse ‹‹ necessario provare l’effettiva conoscenza da parte del debitore circa la sussistenza del fatto generatore di responsabilità, ma sufficiente che tale fatto fosse conoscibile esercitando un’ordinaria diligenza›› .
Contestano, da un lato, alla Corte territoriale di avere verificato l’elemento soggettivo adottando ‹‹l’equazione conoscenza = conoscibilità secondo l’ordinaria diligenza›› , non rinvenibile nel dato normativo e nella giurisprudenza di questa Corte, e, dall’altro, di avere poggiato l’accertamento sulla ‹‹ conoscibilità circa la sussistenza del fatto generatore di responsabilità ››, dovendo, invece, l’elemento soggettivo riguardare ‹‹ la conoscenza/conoscibilità del pregiudizio ›› .
Il motivo è inammissibile, perché non si correla alla ratio decidendi della pronuncia, là dove, a pag. 14 della motivazione, la Corte d’appello chiaramente afferma, in esito alla valutazione degli elementi presuntivi richiamati, che ‹‹ AVV_NOTAIO COGNOME, nel momento in cui aveva disposto delle sue partecipazioni sociali conferendole nelle società in nome collettivo costituite con i RAGIONE_SOCIALE il 16 maggio 2016, fosse ‘conscia’ del fatto che, entro breve tempo, i debiti risarcitori sorti a suo carico in relazione ai possibili illeciti commessi nella veste di consigliere d’amministrazione della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE avrebbero potuto essere reclamati e posti a fondamento di un’azione giudiziale volta al loro accertamento e alla conseguente condanna risarcitoria per importi assai consistenti, nonché del fatto che, con tali disposizioni patrimoniali, le ragioni dei propri creditori sarebbero state danneggiate›› ; il percorso argomentativo seguito dai giudici di merito ben evidenzia che sia stata ritenuta raggiunta la prova della conoscenza, e non della mera conoscibilità, in capo alla RAGIONE_SOCIALE.
Per addivenire a tale convincimento la Corte ha valorizzato i seguenti fatti: a) alla data dei conferimenti era già stato approvato il bilancio di esercizio della RAGIONE_SOCIALE, che era stato chiuso con perdite pari a 1.407 milioni di euro; b) nella assemblea dei soci che aveva approvato il bilancio, il Presidente aveva proposto, ai sensi dell’art. 2393, secondo comma, cod. civ., di autorizzare l’azione di
responsabilità nei confronti ‹‹ di coloro che hanno (avevano) ricoperto il ruolo di amministratore, direttore generale o sindaco in carica al momento in cui sono (erano) stati realizzati eventuali fatti illeciti riflessi nel bilancio al 31.12.2015 ›› , proposta che, sebbene respinta, non poteva avere fatto sorgere nella COGNOME la convinzione che tale azione non sarebbe stata in futuro promossa; c) i consiglieri di amministrazione, tra cui la RAGIONE_SOCIALE, sin dal mese di maggio 2015, avevano appreso, in esito ad un’ispezione condotta da lla BCE, che erano state rilevate numerose mancanze nelle quali il consiglio di amministrazione era incorso.
La ricostruzione operata prende le mosse da una attenta disamina di tutti gli elementi probatori offerti, sulla scorta dei quali la Corte d’appello ha, del tutto correttamente, concluso per la configurabilità dell’elemento soggettivo , ritenendo che la condotta tenuta dalla COGNOME fosse stata consapevolmente assunta in danno dei creditori.
Le ricorrenti , sotto l’apparente deduzione di un vizio di violazione di legge, tendono surrettiziamente a sollecitare un riesame delle risultanze istruttorie e del convincimento del giudice di merito, che è precluso in sede di legittimità.
Con il quinto motivo si prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. e degli artt. 2727 e 2729 c.c. in relazione alla illegittima applicazione della prova presuntiva.
Sostengono le parti ricorrenti che il giudice d’appello, nell’accertare l’elemento soggettivo, avrebbe violato il divieto della praesumptio de praesumpto, in quanto ha affermato, in via presuntiva, la responsabilità della ricorrente come componente del consiglio di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE e, sulla base di tale presunzione, avrebbe poi ritenuto fornita la prova della conoscenza del pregiudizio; addebita pure alla Corte territoriale di non avere fatto
buon governo delle regole in punto di presunzioni.
6.1. Anche tale censura non si sottrae alla declaratoria d’inammissibilità.
6.2. Va, in primo luogo, rilevato che nel sistema processuale non esiste il divieto delle presunzioni di secondo grado, in quanto lo stesso non è riconducibile né agli artt. 2729 e 2727 cod. civ., né a qualsiasi altra norma e ben potendo il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituire la premessa di un’ulteriore presunzione idonea -in quanto a sua volta adeguata -a fondare l’accertamento del fatto ignoto (Cass., sez. 5, n. 20748 del 01/08/2019; Cass., sez. 5, 29/10/2020, n. 23860).
6.3. Sotto altro profilo, la doglianza per come illustrata non è stata idoneamente dedotta in conformità ai criteri dettati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 1785 del 2018, perché, in tema di prova presuntiva, la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione dei citati artt. 2727 e 2729 cod. civ. può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass., sez. 2, 21/03/2022, n. 9054).
Alla stregua di tali considerazioni la deduzione del vizio di falsa applicazione dell’art. 2729, primo comma, cod. civ. suppone un’attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito – assunto, però, come tale
e, quindi, in facto per come è stato enunciato – risulti irrispettoso del paradigma della gravità, o di quello della precisione o di quello della concordanza. Di contro, la critica al ragionamento presuntivo svolto dal giudice di merito sfugge al concetto di falsa applicazione quando si concreta o in un’attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali, in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito, avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo (sicché il giudice di merito è partito in definitiva da un presupposto fattuale erroneo nell’applicare il ragionamento presuntivo), o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perché quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell’art. 2729, primo comma, cod. civ. (e ciò tanto se questa prospettazione sia basata sulle stesse circostanze fattuali su cui si è basato il giudice di merito, quanto se basata altresì su altre circostanze fattuali). In questi casi la critica si risolve, in realtà, in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti , e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio e si pone su un terreno che non è quello del n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ. (falsa applicazione dell’art. 2729, primo comma, cod. civ.), ma è quello che sollecita un controllo sulla motivazione del giudice, che, come le Sezioni Unite (Cass., sez. U, nn. 8053 e 8054 del 2014) hanno avuto modo di precisare, vigente il nuovo n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., è percorribile solo qualora si denunci che il giudice di merito abbia omesso l’esame di un fatto principale o secondario, che avrebbe avuto carattere decisivo.
Nella specie la censura, per come formulata, si risolve, come detto, solo nella prospettazione di pretese inferenze probabilistiche diverse, così che non presenta le caratteristiche della denuncia di un
vizio di falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ.
Il ricorso principale ed il ricorso incidentale adesivo devono, pertanto, essere rigettati.
Le spese del giudizio di legittimità, nel rapporto tra la ricorrente principale, le ricorrenti incidentali adesive e la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo; devono invece essere integralmente compensate tra la ricorrente principale e le ricorrenti incidentali, in ragione della convergenza di interessi desumibile dalle condotte processuali e difensive svolte.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale adesivo. Condanna la ricorrente principale e le ricorrenti incidentali adesive al pagamento, in solido, in favore di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 18.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge. Compensa interamente le spese di lite tra la ricorrente principale e le ricorrenti incidentali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e delle ricorrenti incidentali, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale adesivo, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 11 aprile 2024.
IL PRESIDENTE NOME COGNOME