Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9065 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 9065 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/04/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 31097/2018 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COGNOME RAGIONE_SOCIALE NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentate e difese dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti-
nonchè
COGNOME NOME, in qualità di erede di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, difeso da se medesimo (CODICE_FISCALE) ed elettivamente domiciliati in INDIRIZZO,
-controricorrenti-
nonchè contro
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonchè
contro
RIZZO ROSA, RIZZO TERESA, COGNOME NOME, RIZZO GABRIELLA, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 3503/2018 depositata il 12/07/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/02/2024 dal Consigliere COGNOME NOME.
FATTI DI CAUSA
Il giudizio trae origine dalla domanda che NOME COGNOME ha proposto innanzi al Tribunale di Napoli nei confronti di NOME e NOME COGNOME, con la quale egli chiese il riconoscimento della sua qualità di erede di NOME COGNOME, deceduto in data 27/04/1999, sulla base
di un testamento olografo del 6.4.1978, pubblicato il 14.5.1999, che gli attribuiva la nuda proprietà dell’appartamento sito in INDIRIZZO, piano secondo, interno 12. L’attore dedusse che nella stessa data era stato pubblicato un altro testamento olografo, datato 21.5.1997, di cui chiese dichiararsi la nullità, domandando l’immediata consegna dell’appartamento attribuitogli dal de cuius , detenuto da NOME COGNOME e dal figlio NOME COGNOME, oltre al risarcimento dei danni per illegittima detenzione e alla dichiarazione di illegittimità della trascrizione di tale testamento olografo.
Altro giudizio venne introdotto nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME da NOME COGNOME, nella qualità di usufruttuaria dei beni del defunto fratello, ivi compreso l’appartamento al Parco Margherita, in forza del testamento olografo del 6.4.1978. L’attrice lamentava che NOME COGNOME, dopo aver accettato l’eredità, aveva venduto lo stesso appartamento, con atto trascritto il 10/09/99, a NOME COGNOME; chiese, pertanto , il rilascio dell’immobile ed il risarcimento dei danni.
Si costituiva in entrambi i giudizi NOME COGNOME, deducendo la sua qualità di erede sulla base di altro testamento redatto in data 26 luglio 1988. Il convenuto espose che, in occasione della sua laurea, il de cuius NOME COGNOME gli aveva consegnato un biglietto chiuso datato e sottoscritto in cui lo nominava erede dell’appartamento in questione. Espose che tale scheda testamentaria, da lui lasciata nello stesso appartamento in cui vivevano i genitori, era stata oggetto di furto (regolarmente denunciato) insieme ad altri oggetti e preziosi, e chiese, quindi, la ricostruzione di tale testamento.
Con altro atto di citazione, COGNOME NOME convenne in giudizio COGNOME NOME, reiterando nei suoi confronti la domanda di
riconoscimento della sua qualità di erede e per ottenere il rilascio dell’appartamento sito in INDIRIZZO.
Il Tribunale di Napoli riunì i giudizi e, in corso di causa, NOME COGNOME, deducendo di aver rinvenuto un’altra scheda testamentaria olografa riportante la data del 12/11/1979, pubblicata con atto per AVV_NOTAIO COGNOME in data 21/06/2010, chiese il riconoscimento della sua qualità di erede non più in virtù del testamento del 06/03/1978, ma sulla base dell’ultima scheda testamentaria rinvenuta.
Il Tribunale di Napoli dichiarò la nullità del testamento del 27.5.1997 per assenza di olografia e dichiarò: che NOME COGNOME aveva ereditato la piena proprietà dell’appartamento di INDIRIZZO, in forza del testamento del 26.7.1988; che NOME COGNOME, e per lui le sue eredi NOME e NOME COGNOME, in virtù del testamento del 6.3.1978 aveva ereditato la nuda proprietà della casa e delle terre in Padula; che NOME COGNOME era erede universale e che in tale qualità aveva acquistato la proprietà di tutti i beni mobili di NOME COGNOME e l’usufrutto di tutti gli immobili dello stesso, ad eccezione dell’appartamento di INDIRIZZO.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME propose appello, resistito da NOME COGNOME, NOME COGNOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME.
La Corte dichiarò l’appello inammissibile per difetto di specificità; osservò che il gravame non aveva in alcun modo preso in esame le argomentazioni sviluppate nella sentenza di primo grado, poiché l’appellante aveva riproposto in modo acritico le argomentazioni a sostegno della propria tesi.
Avverso la sentenza della Corte d’appello ricorre per cassazione NOME COGNOME sulla base di sette motivi.
Resistono con separati controricorsi: NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La Sostituta Procuratrice Generale, in persona della dott.ssa NOME COGNOME, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Le parti hanno depositato memorie illustrative in prossimità dell’udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità della memoria depositata dal difensore del ricorrente perché tardivamente depositata in data 13.2.2024, oltre il termine di dieci giorni prima dell’udienza fissata in data 22.2.2022.
Il ricorrente ha giustificato la tardività del deposito a causa di un ‘inedito problema tecnico’, che avrebbe impedito la trasmissione della memoria nel giorno precedente, ed ha allegato uno screenshot da cui emerge l’ultimo tentativo effettuato alle h.23.08, dal quale risulta un ‘errore durante la firma di un file’.
La richiesta di rimessione in termini non può essere accolta .
L’art. 153, comma 2, c.p.c., che è di stretta interpretazione, in considerazione delle conseguenze che un uso improprio della rimessione in termini potrebbe determinare sul piano della imperatività e della stessa vigenza della legge, il quale inerisce alle attribuzioni proprie del (e riservate al) legislatore. (così fra le altre Cass. Sez. Unite N. 4135/2019).
Il rimedio, dunque, presuppone che l’errore in cui sia incorsa la parte, e che abbia causato la decadenza, non le sia affatto imputabile, perché cagionato da un fatto impeditivo estraneo alla sua volontà, che presenti il carattere dell’assolutezza e non della mera difficoltà, in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza (Cass. n.17729/2018; Cass. 21794/ 2015; Cass. 8216/2013).
Alla nozione di causa non imputabile è estraneo, invece, il dedotto malfunzionamento della casella di posta elettrica certificata, rientrante nella sfera di dominio dell’interessato ovvero della sua sfera di organizzazione professionale, sicché l’istante avrebbe potuto evitare di incorrere nella suddetta decadenza usando l’ordinaria diligenza (v. Cass. n. 1393/2018, secondo cui affinché sia possibile concedere la rimessione in termini a causa di problemi informatici relativi alla notificazione della sentenza tramite EMAIL, non è sufficiente presentare una generica documentazione di un tecnico privato che affermi la mera presenza di problemi di ricezione).
Più di recente (Cassazione civile sez. III, 07/07/2023, n.19384 non massimata) questa Corte ha affermato che in caso di tardiva proposizione dell’impugnazione, la parte non può invocare la rimessione in termini allegando il malfunzionamento della rete informatica dello studio professionale, a causa di un virus informatico, che avrebbe criptato tutti i dati ed impedito l’accesso all’account di posta elettronica, non consentendo di visionare la notifica della sentenza impugnata, ben potendo il difensore effettuare le consultazioni tramite l’utilizzo di altro computer, non collegato alla rete informatica dello studio professionale.
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 342 c.p.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., per avere la Corte distrettuale dichiarato inammissibile l’appello per difetto di specificità, nonostante l’atto d’appello censurasse dettagliatamente il percorso argomentativo svolto dal primo giudice, indicandone l’erroneità con dovizia di argomenti in fatto e in diritto.
Il ricorso è inammissibile.
La statuizione della Corte d’ appello richiama il principio secondo cui gli artt.342 c.p.c. e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n.83 del
2012, convertito con modificazioni dalla L. n.134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.
In particolare, la Corte d’appello ha fatto applicazione dei principi stabiliti dalla sentenza delle Sezioni Unite del 16 novembre 2017, n. 27199, con la quale è stato affermato che “in nome del criterio della razionalizzazione del processo civile, che è in funzione del rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata”, si richiede “che la parte appellante ponga il giudice superiore in condizione di comprendere con chiarezza qual è il contenuto della censura proposta, dimostrando di aver compreso le ragioni del primo giudice e indicando il perché queste siano censurabili” (in motivazione, par. 5.1). Affinché un capo di sentenza possa ritenersi validamente impugnato è, dunque, necessario che l’atto di gravame esponga compiute argomentazioni che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, mirino ad incrinarne il fondamento logicogiuridico.
Ciò posto, il ricorrente censura la decisione in punto di inammissibilità ponendosi su di un piano di totale astrattezza, senza misurarsi affatto con i rilievi svolti dalla Corte di appello per spiegare come ciascuno dei motivi non soddisfacesse quanto richiesto dall’art.342 c.p.c.
Il ricorso per cassazione non si cura di trascrivere le parti della sentenza di primo grado e del proprio atto di appello e di operarne il raffronto, così da fornire a questa Corte utili indicazioni per vagliare la fondatezza della doglianza articolata col primo motivo di ricorso.
Deve evidenziarsi che l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo , presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche puntualmente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, dovendo tale specificazione essere contenuta, a pena d’inammissibilità, nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di specificità dello stesso. Pertanto, il ricorrente che censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello ha l’onere di precisare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto al giudice d’appello, riportandone il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità, non potendo limitarsi a rinviare all’atto di appello (Cass. 6.9.2021, n.24048; Cass. 13.3.2018, n. 6014; Cass. 29.9.2017, n. 22880; Cass. 8.6.2016, n. 11738; Cass. 30.9.2015, n. 19410).
Anche secondo il diritto sovranazionale la garanzia dell’accesso all’istanza di giustizia non implica che la Corte di legittimità, ove pure investita dell’esame di un error in precedendo , debba abdicare al proprio ruolo facendosi carico della ricerca dei vizi del provvedimento che la parte ricorrente manchi di individuare. Si è di recente osservato, al riguardo, che il principio di specificità del motivo di ricorso, ai sensi dell’art.366 c.p.c., n. 4 e 6, deve essere modulato, in
conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa Succi ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (Cass. 4.2.2022, n. 3612).
Il primo motivo è dunque inammissibile.
I motivi dal secondo al settimo sono parimenti inammissibili.
Tali mezzi di censura entrano, infatti, nel merito di questioni di diritto che la Corte di appello non ha affrontato, in quanto assorbite dalla statuizione di inammissibilità dei motivi di gravame.
Infatti, nel giudizio di legittimità non possono trovare ingresso, e perciò non sono esaminabili, le questioni sulle quali, per qualunque ragione, il giudice inferiore non si sia pronunciato per averle ritenute assorbite in virtù dell’accoglimento di un’eccezione pregiudiziale (cfr. Cass. nn. 19442/22 e 23558/14).
Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del DPR 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, se dovuto.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 5.400,00 per compensi in favore di ciascun controricorrente, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione