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Addebito separazione per abbandono del tetto coniugale

Un marito richiede l’addebito della separazione alla moglie per aver abbandonato la casa. La Cassazione rigetta il ricorso, stabilendo che se l’abbandono è conseguenza di una preesistente e provata intollerabilità della convivenza, non costituisce colpa. La volontà di separarsi, comunicata in precedenza, e la successiva stipula di accordi tra le parti sono state considerate prove decisive.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto di Famiglia, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Abbandono del tetto coniugale: non sempre scatta l’addebito della separazione

L’abbandono della casa familiare è uno degli eventi più traumatici nella crisi di un matrimonio e spesso viene invocato per fondare una richiesta di addebito della separazione. Tuttavia, non sempre chi si allontana ha torto. Con la recente ordinanza n. 11032/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: se l’allontanamento è la conseguenza di una crisi già esistente che ha reso la convivenza intollerabile, non può essere considerato la causa della rottura e, pertanto, non giustifica l’addebito. Analizziamo insieme questo interessante caso.

I Fatti di Causa: una separazione complessa

La vicenda trae origine dalla separazione di due coniugi. Dopo la decisione della moglie di lasciare l’abitazione coniugale, il marito avviava il giudizio di separazione, chiedendo che la responsabilità della fine del matrimonio fosse addebitata esclusivamente alla consorte proprio a causa di tale abbandono. Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello respingevano la domanda del marito, rigettando la richiesta di addebito e ponendo a suo carico un assegno di mantenimento in favore della moglie. Secondo i giudici di merito, la decisione della donna di andarsene non era stata un fulmine a ciel sereno, ma la conseguenza di una crisi coniugale già in atto e conclamata.

I motivi del ricorso del marito e l’addebito della separazione

Insoddisfatto della decisione, il marito ricorreva in Cassazione, basando le sue doglianze su quattro motivi principali. Sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nel:
1. Ritenere provata una “pregressa disaffezione” di entrambi i coniugi, andando oltre le richieste e le allegazioni delle parti (vizio di ultrapetita).
2. Desumere la sua stessa disaffezione da comportamenti successivi all’abbandono della moglie, come l’aver atteso oltre un anno per avviare il giudizio e aver sottoscritto un accordo di separazione.
3. Negare l’efficacia causale dell’abbandono rispetto alla rottura, valorizzando la lettera con cui la moglie, un mese prima, aveva manifestato la sua volontà di separarsi.
4. Invertire l’onere della prova, pretendendo che fosse lui a dimostrare la preesistenza di un buon rapporto, anziché la moglie a provare che il suo allontanamento fosse giustificato.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto integralmente il ricorso, chiarendo in modo definitivo la dinamica tra abbandono del tetto coniugale e addebito della separazione.

La crisi preesistente esclude la colpa

Il punto centrale della decisione è il nesso di causalità. Per addebitare la separazione, non basta che un coniuge violi un dovere matrimoniale (come quello della coabitazione); è necessario che tale violazione sia stata la causa effettiva della crisi che ha reso intollerabile la prosecuzione della convivenza.
Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la crisi fosse ampiamente preesistente all’abbandono. La moglie aveva manifestato la sua volontà di separarsi tramite una lettera del proprio legale prima di andarsene. Questo, secondo i giudici, è un fatto oggettivo che dimostra come la convivenza fosse per lei già diventata intollerabile. L’allontanamento, quindi, non è stata la causa della crisi, ma una sua diretta conseguenza.

L’onere della prova e la valutazione del giudice

La Cassazione ha chiarito che spetta al coniuge che si allontana dimostrare che la sua decisione è stata determinata da una situazione di intollerabilità preesistente. Tuttavia, una volta che tale circostanza è allegata e provata (anche tramite elementi come la corrispondenza tra legali o la successiva stipula di accordi), il nesso causale tra l’abbandono e la fine del matrimonio viene meno.
Inoltre, i giudici hanno dato peso anche al comportamento del marito. Il fatto che egli avesse sottoscritto, mesi dopo l’abbandono, una scrittura privata che regolava la separazione e prevedeva un contributo al mantenimento per la moglie, e avesse atteso oltre un anno prima di agire in giudizio, è stato interpretato come un’accettazione della fine del rapporto, incompatibile con la tesi di un abbandono improvviso e causa della rottura.

Le conclusioni della Suprema Corte

L’ordinanza in commento conferma un orientamento consolidato: l’abbandono della casa familiare, di per sé, non è sufficiente per l’addebito della separazione. È un atto che deve essere valutato nel contesto complessivo della relazione coniugale. Se emerge che la convivenza era già compromessa e intollerabile per chi si allontana, quest’ultimo non può essere considerato responsabile della fine del matrimonio. La decisione sottolinea l’importanza di elementi di prova oggettivi che possano dimostrare lo stato di crisi della coppia prima degli atti che ne determinano la rottura formale.

L’abbandono della casa coniugale comporta sempre l’addebito della separazione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’abbandono non comporta l’addebito se è la conseguenza di una preesistente crisi matrimoniale che ha reso la convivenza intollerabile, e non la causa scatenante della rottura.

Chi deve provare che la crisi matrimoniale esisteva già prima dell’abbandono?
L’onere di provare che l’allontanamento è stato causato da una preesistente intollerabilità della convivenza spetta, in linea di principio, al coniuge che ha lasciato la casa. Tuttavia, il giudice può rilevare d’ufficio tale circostanza se i fatti a supporto sono stati allegati e provati nel corso del processo.

Quali elementi possono dimostrare l’esistenza di una crisi prima dell’abbandono?
Nel caso esaminato, sono stati considerati rilevanti: la comunicazione formale della volontà di separarsi inviata dal legale della moglie prima dell’allontanamento, la successiva sottoscrizione di un accordo di separazione da parte di entrambi i coniugi e il fatto che il marito avesse atteso oltre un anno prima di avviare l’azione giudiziale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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