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Accertamento subordinazione: non si prescrive l’azione

Una lavoratrice ottiene il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato dopo 34 anni di collaborazioni fittizie. Il datore di lavoro ricorre in Cassazione eccependo la prescrizione dell’azione di accertamento subordinazione. La Suprema Corte rigetta il ricorso, stabilendo che l’azione per qualificare un rapporto è imprescrittibile, mentre i diritti economici che ne derivano si prescrivono a partire dalla cessazione del rapporto stesso, confermando la condanna al pagamento di tutte le indennità dovute.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Accertamento Subordinazione: L’Azione Non Va in Prescrizione

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale a tutela dei lavoratori: l’azione volta a ottenere l’accertamento subordinazione di un rapporto di lavoro non è soggetta a prescrizione. Questa decisione chiarisce che il diritto a vedere riconosciuta la vera natura del proprio impiego non si perde con il passare del tempo, con importanti conseguenze sul calcolo delle spettanze di fine rapporto.

I Fatti del Caso: 34 Anni di Lavoro Fittiziamente Autonomo

Il caso esaminato riguarda una lavoratrice che per ben 34 anni, dal 1981 al 2015, ha prestato la sua attività lavorativa alle dipendenze di un Ordine professionale. Formalmente, il rapporto era stato inquadrato come una collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.), ma di fatto presentava tutte le caratteristiche del lavoro subordinato.

Al termine del rapporto, la lavoratrice si è rivolta al Tribunale, che ha accolto la sua domanda. I giudici di primo grado hanno dichiarato la natura subordinata del rapporto di lavoro per l’intero periodo e hanno condannato l’Ordine professionale al pagamento di significative somme a titolo di indennità di anzianità, ferie non godute e preavviso. Inoltre, è stata disposta la costituzione di una rendita vitalizia presso l’INPS per sanare l’omissione contributiva. La decisione è stata integralmente confermata dalla Corte di Appello.

Il Ricorso in Cassazione e l’Eccezione di Prescrizione

L’Ordine professionale non si è arreso e ha presentato ricorso in Cassazione, basando la propria difesa su due motivi principali, entrambi incentrati sulla prescrizione.

In primo luogo, sosteneva che la Corte d’Appello avesse omesso di pronunciarsi sull’eccezione di prescrizione decennale relativa all’azione di accertamento subordinazione. Secondo la tesi del ricorrente, la lavoratrice avrebbe dovuto agire entro dieci anni per far riconoscere la natura subordinata del rapporto.

In secondo luogo, l’Ordine lamentava che l’azione di accertamento fosse autonomamente prescrittibile e, di conseguenza, le somme riconosciute alla lavoratrice avrebbero dovuto essere calcolate solo con riferimento all’ultimo decennio di lavoro.

Le Motivazioni della Suprema Corte sull’Accertamento Subordinazione

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi, ritenendoli infondati, e ha fornito chiarimenti cruciali sulla distinzione tra l’azione di accertamento e i diritti patrimoniali che ne conseguono.

Sul primo punto, la Corte ha escluso il vizio di omessa pronuncia. Ha osservato che la lavoratrice non aveva chiesto in via principale l’accertamento della subordinazione, ma aveva domandato la condanna al pagamento delle differenze retributive, ponendo la qualificazione del rapporto come questione preliminare e incidentale. La Corte d’Appello, decidendo nel merito e rigettando l’eccezione di prescrizione sui crediti, ha implicitamente respinto anche l’argomentazione sulla prescrittibilità dell’azione di accertamento.

Sul secondo e più sostanziale punto, la Suprema Corte ha richiamato il suo consolidato orientamento giurisprudenziale: l’azione volta a ottenere il mero accertamento della qualificazione giuridica di una situazione, come la natura subordinata di un rapporto, non è soggetta a prescrizione. Ciò che si estingue per prescrizione sono i singoli diritti patrimoniali (come le differenze retributive o le indennità) che da tale qualificazione derivano.

Nel caso specifico, i crediti richiesti dalla lavoratrice (indennità di anzianità, TFR, etc.) erano esigibili solo al momento della cessazione del rapporto. Pertanto, il termine di prescrizione per tali diritti non poteva iniziare a decorrere durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, ma solo dalla sua conclusione. Poiché l’azione era stata intrapresa dopo la fine del rapporto, la prescrizione non era maturata.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza rafforza in modo significativo la tutela dei lavoratori i cui rapporti vengono mascherati da contratti di lavoro autonomo o di collaborazione. La decisione conferma che il diritto a far emergere la verità sostanziale del rapporto di lavoro è imprescrittibile. Un lavoratore può quindi agire in qualsiasi momento per ottenere la corretta qualificazione giuridica del proprio impiego, senza temere decadenze legate al trascorrere del tempo.

Le implicazioni pratiche sono notevoli: una volta accertata la natura subordinata, tutti i diritti connessi, specialmente quelli di fine rapporto e quelli previdenziali, devono essere calcolati sull’intera durata del rapporto lavorativo, e non solo sugli ultimi 5 o 10 anni. Questo principio garantisce una protezione completa al lavoratore, assicurando che non perda diritti fondamentali a causa di una qualificazione formale non corrispondente alla realtà dei fatti.

L’azione per far dichiarare che un rapporto di lavoro è subordinato si prescrive?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’azione di mero accertamento della natura giuridica di un rapporto non è soggetta a prescrizione. Si prescrivono solo i singoli diritti patrimoniali che ne derivano.

Da quando inizia a decorrere la prescrizione per i crediti di fine rapporto (es. indennità di anzianità)?
La prescrizione per i crediti che maturano alla cessazione del rapporto di lavoro, come l’indennità di anzianità, inizia a decorrere solo dal momento della cessazione stessa, non durante lo svolgimento del rapporto.

Se il giudice non risponde esplicitamente a un’eccezione, si tratta sempre di omessa pronuncia?
Non necessariamente. Secondo la Corte, se la decisione adottata è incompatibile con l’accoglimento dell’eccezione, si ha un rigetto implicito e non un vizio di omessa pronuncia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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