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Fondo patrimoniale, può essere dichiarato inefficace

La costituzione del fondo patrimoniale può essere dichiarata inefficace nei confronti dei creditoria mezzo di azione revocatoria ordinaria.

Pubblicato il 29 November 2021 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

Tribunale di Brindisi
Sezione civile
Repubblica Italiana
In Nome del Popolo Italiano

Il Tribunale di Brindisi, in composizione monocratica, in persona del Giudice, ha emesso la seguente

SENTENZA n. 1546/2021 pubblicata il 24/11/2021

nella causa iscritta al n.5828/2016 R.G., avente ad oggetto “azione revocatoria ordinaria”

tra

XXX S.p.A. (P.Iva), in persona del suo legale rappresentante p.t.,; attrice

YYY (C.F.), ZZZ (C.F.), KKK (C.F.),, JJJ (C.F.),

convenuti

PPP s.r.l. convenuta contumace nonché

QQQ s.r.l. (P.Iva) in persona del suo legale rappresentante p.t.,

interveniente volontaria

*******

Motivi della decisione

Con atto di citazione notificato il 19 dicembre 2016, XXX S.p.A. ha proposto azione revocatoria nei confronti di KKK e JJJ, nonchè dei terzi YYY, ZZZ e PPP S.r.l. ed ha chiesto al Tribunale adito di dichiarare inefficace nei propri confronti l’atto di cessione di diritti immobiliari, posto in essere in data 30.04.2014 per Notar , Rep. n., Racc. n., con cui KKK e JJJ hanno intestato alle loro due figlie YYY e ZZZ la proprietà della villa, sita in, composta da abitazione e garage, con circostante terreno di mq. 5228, conservando per se il diritto di abitazione sui fabbricati ed il diritto di uso sul terreno; l’atto di compravendita del 09.07.2014 per Notar, Rep. n., Racc. n., con cui JJJ ha trasferito alle proprie figlie YYY e ZZZ la proprietà di un terreno in esteso mq. 2747, riportato nel Catasto Terreni al foglio, particella; l’atto di destinazione posto in essere in data 16.09.2015 per Notar, Rep. n., Racc. n., con cui KKK, JJJ, YYY e ZZZ, ciascuno per i diritti di propria spettanza ed in solido tra loro, hanno destinato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2645-ter c.c., a favore della società PPP S.r.l., al fine di garantire la proposta d’acquisto, gli immobili sopraindicati.

Ha chiesto altresì la condanna dei convenuti al pagamento di tutte le spese e competenze processuali, con ordine al Conservatore dei RR.II. di Brindisi di provvedere alla trascrizione dell’emananda sentenza. L’istituto di credito ha infatti ritenuto sussistere i presupposti per l’accoglimento dell’azione proposta, in considerazione del credito vantato nei confronti di KKK e JJJ, fideiussori della debitrice *** S.r.l. Unipersonale che aveva aperto un rapporto di conto corrente (n.) il 23.12.1997, ponendo in essere anche alcune operazioni di anticipo su fatture, eseguite in data 15.01.2013, 16.01.2013 e 15.04.2013, con scadenza al 30.11.2013; ha rilevato la sussistenza altresì del requisito dell’eventus damni, nonché della scienza fraudis, ovvero del dolo generico, consistente nella consapevolezza da parte dei soggetti autori degli atti in parola del pregiudizio che essi avrebbero arrecato alla garanzia del credito.

Con comparsa di costituzione e risposta del 6 aprile 2017, si sono costituiti in giudizio KKK, JJJ, YYY e ZZZ, mentre la PPP S.r.l., non costituitasi, è stata dichiarata contumace. I convenuti costituitisi hanno eccepito l’insussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda di revocatoria proposta dalla Banca attrice ed hanno concluso chiedendo al Tribunale il rigetto della domanda attorea, con ordine al Conservatore dei RR.II. di Brindisi di cancellare la trascrizione della domanda giudiziale e con condanna del XXX al risarcimento dei danni in favore delle convenute per responsabilità processuale aggravata, da liquidarsi in complessivi 20.000,00 euro o in quel diverso importo (maggiore o minore) da accertarsi in corso di causa o da determinarsi con valutazione equitativa ex art. 1226 c.c.; il tutto oltre interessi e rivalutazione monetaria e con vittoria delle spese di lite.

Nel corso del giudizio è stata acquisita la documentazione prodotta dalle parti ed è intervenuta in giudizio QQQ s.r.l., cessionaria dei crediti vantati dal XXX S.p.A. nei confronti della *** S.r.l. e, quindi, di KKK e JJJ, subentrata in tutti i diritti della cedente; nel costituirsi in giudizio, la società interveniente si è riportata alle difese dell’attrice ed ha chiesto la sua estromissione.

Ritenuta la causa matura per la decisione già in forza dei documenti prodotti, è stata fissata l’udienza per la precisazione delle conclusioni e all’udienza del 24 settembre 2020 e, precisate le conclusioni, la causa è stata trattenuta in decisione con assegnazione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c..

La domanda è fondata e merita di essere accolta.

Risultano infatti sussistenti gli elementi costitutivi dell’azione revocatoria. A tal proposito, giova richiamare la giurisprudenza di legittimità, secondo cui le condizioni per l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria consistono nell’esistenza di un valido rapporto di credito tra il creditore che agisce in revocatoria e il debitore disponente; nell’effettività del danno, inteso come lesione della garanzia patrimoniale a seguito del compimento da parte del debitore dell’atto traslativo; nella ricorrenza, in capo al debitore, ed eventualmente in capo al terzo, della consapevolezza che, con l’atto di disposizione venga a diminuire la consistenza delle garanzie spettanti ai creditori. L’actio pauliana ha la funzione non solo di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, al fine di permettergli il soddisfacimento coattivo del suo credito (sicché la relativa sentenza ha efficacia retroattiva, in quanto l’atto dispositivo è viziato sin dall’origine: v. Cass., 23/9/2004, n. 19131), ma anche di assicurare uno stato di maggiore fruttuosità e speditezza dell’azione esecutiva diretta a far valere la detta garanzia (v. Cass., 9 marzo 2006, n. 5105 e 7 ottobre 2008 n. 24757).

Con particolare riferimento all’esistenza del credito, è pacifico che la società *** s.r.l. Unipersonale aveva infatti un rapporto di conto corrente (n.) con il XXX S.p.A. aperto in data 23 dicembre 1997 ed aveva anche posto in essere alcune operazioni di anticipo su fatture, eseguite in data 15.01.2013, 16.01.2013 e 15.04.2013, con scadenza al 30.11.2013. In forza di tali operazioni, la banca vanta infatti un credito nei confronti della società correntista parti a 171.802,88 euro, oltre interessi, credito non contestato dai convenuti nell’an e neppure nel quantum; come pure non è contestato che obbligati nei confronti del XXX S.p.A. fossero anche KKK e JJJ che, con atti sottoscritti in data 30 dicembre 1997 e successivamente modificati ed integrati, si sono costituiti fideiussori. L’istituto di credito ha chiesto ed ottenuto dal Tribunale di Brindisi il D.I. n. 38/2016, avverso il quale non risulta dagli atti sia stata proposta opposizione. Il credito, pertanto, non può ritenersi litigioso.

Altresì provato è l’“eventus damni”, costituito dagli atti posti in essere dagli attori; in primo luogo, si rammenta l’atto del 30 aprile 2014, con cui KKK e JJJ hanno intestato alle loro due figlie YYY e ZZZ la proprietà della loro villa, di, conservando per loro il diritto di abitazione sui fabbricati ed il diritto di uso sul terreno; inoltre, l’atto del 9 luglio 2014, con cui JJJ ha trasferito alle proprie figlie YYY e ZZZ la proprietà di un suolo edificatorio a, in contrada. Nel dicembre dello stesso anno, *** S.r.l. Unipersonale ha presentato al Tribunale di Brindisi ricorso ex art. 161 della Legge Fallimentare, chiedendo di essere ammessa alla procedura di concordato preventivo e in aprile 2015 la PPP s.r.l., debitrice del XXX, ha formulato proposta irrevocabile d’acquisto del complesso aziendale della società *** S.r.l. Unipersonale. Con atto del 16 settembre 2015 per Notar, gli attori KKK, JJJ, YYY e ZZZ, ciascuno per i diritti di propria spettanza ed in solido tra loro, hanno destinato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2645-ter c.c., a favore della società PPP S.r.l., al fine di garantire la proposta d’acquisto, gli immobili indicati in citazione.

Ebbene, si deve ritenere che tali atti siano stati senz’altro pregiudizievoli della garanzia del credito di XXX, impossibilitata ad agire esecutivamente nei confronti dei fideiussori, suoi debitori. In particolare, l’atto di destinazione, nella sua funzione fisiologica, non è preordinato a sottrarre beni ai creditori, bensì a metterli a loro disposizione; può tuttavia essere patologicamente e abusivamente utilizzato per sottrarre i beni ai creditori del conferente, violando la garanzia patrimoniale di cui all’ art. 2740 c.c.: in queste ipotesi, non sussistono ragioni per escludere che l’azione revocatoria ordinaria possa essere utilizzata dal creditore, nei confronti di negozi di destinazione ex art. 2645 ter c.c., anche quando abbiano superato preliminarmente il vaglio di meritevolezza. La giurisprudenza ha, infatti, ricondotto all’art. 2901 c.c. qualsiasi atto di disposizione che sia idoneo ad incidere sul patrimonio del debitore, sia dal punto di vista quantitativo, sia dal punto di vista qualitativo, pregiudicando in tutto o in parte la garanzia del credito e quindi la soddisfazione delle ragioni del creditore; l’atto di disposizione del patrimonio pregiudizievole per il creditore, nel senso indicato dal primo comma dell’art. 2901 c.c., è individuato dalla giurisprudenza in qualsiasi atto, anche non riconducibile alla alienazione o al trasferimento in senso stretto, che attui o modifichi la situazione patrimoniale del debitore, pregiudicando o semplicemente rendendo più difficoltoso il soddisfacimento del credito; è quindi qualsiasi atto che incida sulla consistenza del patrimonio del debitore, anche solo in senso qualitativo, convertendolo ad esempio in beni facilmente occultabili, e così riduca o annulli la garanzia del credito (cfr., ex multis, Cass. 9 febbraio 2012, n. 1893). Benchè infatti con tale atto non sia trasferita la proprietà dei beni oggetto dello stesso e non siano costituiti su di essi diritti reali in senso proprio, detto vincolo è comunque idoneo a sottrarre i beni vincolati all’azione esecutiva dei creditori, ha quindi effetti connotati dal carattere della “realità” in senso ampio e, di conseguenza, è idoneo a pregiudicare le loro ragioni, come accade con la costituzione del fondo patrimoniale ai sensi dell’art. 167 c.c. e con la costituzione e dotazione di beni in “trust”; vale richiamare, sul punto, Cass. n. 29727/2019, secondo cui “le questioni relative alla meritevolezza di tutela della finalità perseguita con la costituzione del vincolo ed alla ragionevole durata dello stesso sono poi del tutto irrilevanti ai fini della revocabilità dell’atto di destinazione: si tratta infatti di considerazioni relative alla validità (della causa) di quest’ultimo, laddove l’azione revocatoria non ha affatto riguardo alla validità dell’atto da revocare, anzi, presuppone un atto valido, e richiede esclusivamente l’accertamento della sua idoneità a determinare un pregiudizio per i diritti dei creditori, pregiudizio che nella specie è innegabile”: resta quindi del tutto irrilevante il fatto che con l’atto di destinazione gli attori abbiano inteso ricostruire la garanzia del credito di tutti i terzi creditori della società ammessa al concordato preventivo: ciò non toglie, infatti, che quello stesso atto, pure meritevole di tutela giuridica per altre ragioni, abbia ridotto se non compromesso la garanzia dei fideiussori di KKK e JJJ, creditori del XXX. Si richiama anche, sul punto Cass., 17/1/2007, n. 966, secondo cui la costituzione del fondo patrimoniale può essere dichiarata inefficace nei confronti dei creditori a mezzo di azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. (si vedano anche Cass., 7/3/2005, n. 4933; Cass., 2/8/2002, n. 11537; Cass., 21/5/1997, n. 4524; Cass., 2/9/1996, n. 8013; Cass., 18/3/1994, n. 2604), volta a tutelare il creditore rispetto agli atti del debitore di disposizione del proprio patrimonio, senza alcun discrimine circa lo scopo ulteriore da quest’ultimo avuto di mira nel compimento dell’atto dispositivo.

Pertanto, l’atto di destinazione posto in essere da ultimo, inserito nel quadro globale delle operazioni svolte dagli attori dal 2014 sino a settembre 2015, deve ritenersi suscettibile di arrecare un danno alla garanzia del credito. Deve poi ritenersi infondata l’eccezione di carenza di interesse ex art. 100 c.p.c. sollevata da parte convenuta, in considerazione del fatto che la domanda giudiziale introduttiva del presente giudizio è stata trascritta dopo la trascrizione dell’atto di destinazione dei beni immobili ex art. 2645 ter c.c.; invero l’interesse ad agire risiede proprio nel fatto che la domanda giudiziale ex art. 2901 c.c. sia stata trascritta successivamente alla trascrizione degli atti di disposizione che si è chiesto al Tribunale di dichiarare inefficaci.

Quanto al requisito soggettivo della scientia damni, è preliminare la qualificazione dell’atto in questione come gratuito o oneroso atteso che, nel primo caso, sul proponente azione revocatoria grava un più leggero onere probatorio, bastando la sola dimostrazione della consapevolezza del disponente di arrecare pregiudizi o agli interessi dei creditori e diventando irrilevante lo stato soggettivo del terzo.

In generale può affermarsi che un atto è gratuito quando è compiuto senza corrispettivo, sicché nel patrimonio del soggetto si verifica una modifica quantitativa o qualitativa (ad es. prestando una fideiussione) che non è compensata in alcun modo; un atto è, invece, oneroso quando, a fronte del suo compimento, il disponente riceve in cambio una controprestazione: la diminuzione patrimoniale è dunque correlata all’assunzione di un corrispondente vantaggio, anche non strettamente economico. Per valutare la sussistenza o meno della gratuità dell’atto di disposizione ex art. 2645 ter c.c. è necessaria una verifica in concreto del contenuto del negozio e del suo scopo: invero, si dovrà far riferimento all’intero assetto degli interessi in gioco, valutando i rapporti sottostanti tra disponente e beneficiario, a prescindere dalla qualificazione formale dei rapporti. In tal senso, infatti, la Corte di Cassazione – in tema di dichiarazione di inefficacia degli atti a titolo gratuito ai sensi dell’art. 64 l.f. – ha statuito che tale valutazione dovrà essere compiuta con esclusivo riguardo alla causa concreta, costituita dalla sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello astratto utilizzato, e non può quindi fondarsi sull’esistenza, o meno, di un rapporto sinallagmatico e corrispettivo tra le prestazioni sul piano tipico ed astratto (Cass. 12 marzo 2008, n. 6739). Sono atti a titolo gratuito non solo dunque gli atti posti in essere per spirito di liberalità, ma anche quelli caratterizzati semplicemente da una prestazione in assenza di corrispettivo (Cass. civ., 24 giugno 2015, n. 13087).

Anche nel caso di specie, quindi, è necessario esaminare gli atti impugnati tenendo conto della causa in concreto da essi perseguita; si rammenta che, secondo la giurisprudenza di legittimità ormai unanime, la causa concreta del contratto è lo scopo pratico del negozio, la sintesi, cioè, degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare, quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato (cfr., ex plurimis, Cass. 10490/2006). La stessa giurisprudenza è incline a ritenere che la costituzione di un patrimonio segregato e separato, se non accompagnata da una trasparente informazione di quantità e qualità di prestazioni collegate al funzionamento del fondo, non può che apparire, nel mondo dei traffici giuridici ed al ceto creditorio, quale segregazione di informazioni sulla consistenza del patrimonio del debitore, da cui deriva la inevitabile presunzione di gratuità degli atti di apporto al fondo e di destinazione di essi a null’altro che a sottrarre beni dei debitori dalla garanzia patrimoniale dei creditori di cui all’art. 2740 c.c.; si propende, dunque, per la natura tendenzialmente gratuita dell’atto di separazione ex art. 2645 ter c.c.: nel caso di specie, il vincolo di destinazione è apposto in assenza di controprestazione, bensì principalmente per assicurare il buon esito del concordato: tanto consente di ritenere la natura gratuita dell’atto di disposizione. Da ultimo, la Suprema Corte ha ribadito tale principio, affermando che l’atto di destinazione di un bene alla soddisfazione di determinate esigenze “… Comporta un sacrificio per la parte che lo pone in essere, che non trova contropartita in una attribuzione in favore del disponente” (Cass. n. 3697 del 13.02.2020, come già ord. n. 29298 del 06/12/2017, sent. n. 19029 del 08/08/2013, n. 16760 del 16/07/2010, n. 2327 del 02/02/2006, n. 6267 del 23/03/2005, n. 18065 del 08/09/2004, anche in materia di trust: Cass., ord., n. 9320 del 04/04/2019, n. 19376 del 03/08/2017, n. 29727 del 15/11/2019). Con particolare riferimento all’atto di destinazione di un bene, ai sensi dell’art. 2645 ter c.c., si può affermar che esso costituisce, di regola, un negozio unilaterale – in quanto esso non si perfeziona con l’incontro delle volontà di due o più soggetti, ma è sufficiente la sola dichiarazione di volontà del disponente – e a titolo gratuito, in quanto di per sè determina un sacrificio patrimoniale da parte del disponente, senza per quest’ultimo alcuna corrispettiva attribuzione; “esso resta tale – si è aggiunto – anche se operato nel medesimo contesto documentale da più soggetti, che ne traggono reciproco beneficio, salvo che risulti diversamente, sulla base della ricostruzione del contenuto effettivo della volontà delle parti e della causa concreta del negozio dalle stesse posto in essere” (Cass. n. 3697 del 13 febbraio 2020).

Atteso che anche nel caso di specie l’atto di destinazione deve ritenersi a tutolo gratuito, ai fini della prova dell’elemento soggettivo, deve ritenersi sufficiente la semplice consapevolezza del debitore di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, ovvero la previsione di un mero danno potenziale (dolo c.d. generico), rimanendo, invece, irrilevanti tanto l’intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore (dolo c.d. specifico), quanto la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo (Cass. 30 giugno 2015, n. 13343).

E nel senso della sussistenza della scientia damni milita in primo luogo il fatto che gli atti di cui si invoca l’inefficacia siano stati posti in essere successivamente al sorgere del credito.

Inoltre, lo stretto rapporto di parentela esistente tra KKK, JJJ, YYY e ZZZ (tutti membri della medesima famiglia, essendo le due ultime attrici figlie dei primi due, coniugi fideiussori) consente di ritenere che YYY ed Emanuela, una volta divenute proprietarie della villa e del terreno, fossero a conoscenza del fatto che quegli atti di alienazione avrebbero inciso sulla garanzia del credito della banca, data la qualità di fideiussori dei loro genitori: e che questi ultimi rivestissero questo ruolo YYY ed ZZZ non potevano ignorarlo sia perché figlie dei loro danti causa ma anche e soprattutto perché socie della PPP S.r.l., la società per la quale, al fine di garantire la proposta irrevocabile d’acquisto del complesso aziendale della società *** S.r.l. Unipersonale, gli immobili sopraindicati, dopo essere stati ceduti, sono stati sottoposti a vincolo di destinazione. La stessa scansione temporale degli eventi induce a ritenere che presumibilmente gli atti siano stati posti in essere in esecuzione di un unico disegno, mirante ad escludere quei beni dall’azione esecutiva della Banca: dapprima i genitori hanno trasferito la proprietà dei loro beni, divenuti quindi non aggredibili esecutivamente; in seguito le uniche socie della PPP s.r.l. hanno formulato dapprima una proposta irrevocabile di acquisto della ***, in concordato preventivo, e successivamente, per garantire tale proposta, insieme ai propri genitori, ciascuno in relazione ai relativi diritti su quei beni, hanno apposto un vincolo di destinazione: in tal senso, se gli attori hanno perseguito e realizzato l’obiettivo di contribuire al fruttuoso esperimento della procedura di concordato preventivo, in ogni caso hanno parimenti tentato di sottrarre quei beni all’azione esecutiva della creditrice di KKK e JJJ.

Tanto determina l’accoglimento della domanda attorea.

Per le medesime ragioni la domanda di risarcimento danni da responsabilità processuale aggravata, formulata dai convenuti ex art. 96 c.p.c., non merita di essere accolta; si precisa tuttavia, in rigetto dell’eccezione formulata dalla banca attrice, che essa deve ritenersi ammissibile, sebbene formulata dai convenuti nella comparsa di costituzione e risposta depositata tardivamente; come ha chiarito al Suprema Corte, infatti (cfr. sent. n. 15964 del 07/07/2009) “la domanda di risarcimento dei danni per responsabilità aggravata in conseguenza della trascrizione della domanda giudiziale prevista dall’art. 96, secondo comma, c.p.c. non attenendo al merito della controversia (i cui termini, con riferimento all’oggetto e alle “causae petendi” delle domande rispettivamente proposte dalle parti, restano immutati secondo la fissazione che deriva dagli atti iniziali), può essere formulata per la prima volta anche all’udienza di precisazione delle conclusioni, in quanto la parte istante è in grado al termine dell’istruttoria di valutarne la fondatezza e di offrire al giudice gli elementi per la quantificazione del danno subito; ne consegue che, a maggior ragione, la sua proposizione deve ritenersi ammissibile con l’istanza di sequestro conservativo, avanzata in corso di causa anteriormente alla precisazione delle conclusioni (ancorché successivamente alla costituzione in giudizio dell’istante medesimo, quando la domanda giudiziale della controparte sia stata già trascritta) e poi reiterata in sede di conclusioni” (nello stesso senso, ord. n. 14911 del 08/06/2018).

p.q.m.

Il Tribunale, in composizione monocratica, in persona del Giudice, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 5828/2016 R.G., ogni contraria domanda, istanza, eccezione e deduzione reietta o assorbita, così provvede:

accoglie la domanda attorea e, per l’effetto, dichiara inefficaci nei confronti di XXX S.p.A., i seguenti atti di destinazione:

– l’atto di cessione di diritti immobiliari del 30 aprile 2014 per Notar, Rep. n., Racc. n., con cui KKK e JJJ hanno intestato alle loro due figlie YYY e ZZZ la proprietà della loro villa, sita in, composta da abitazione e garage, con circostante terreno di mq. 5228, conservando per se il diritto di abitazione sui fabbricati ed il diritto di uso sul terreno; l’immobile è riportato nel NCEU al foglio, particella, subalterno, l’abitazione, al foglio, particella, subalterno, il garage e nel Catasto Terreni al foglio, particella, il terreno;

– l’atto di compravendita del 9 luglio 2014 per Notar, Rep. n., Racc. n., con cui JJJ ha trasferito alle proprie figlie YYY e ZZZ la proprietà di un terreno in alla contrada esteso mq. 2747, riportato nel Catasto Terreni al foglio, particella;

– l’atto di destinazione del 16 settembre 2015 per Notar, Rep. n., Racc. n., con cui KKK, JJJ, YYY e ZZZ, ciascuno per i diritti di propria spettanza ed in solido tra loro, hanno destinato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2645-ter c.c., a favore della società PPP S.r.l., al fine di garantire la proposta d’acquisto, gli immobili supra indicati;

condanna i convenuti in solido alla rifusione in favore di XXX S.p.A. delle spese di lite, che liquida nell’importo complessivo di, oltre spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge;

ordina al Conservatore dei Registri Immobiliari di Brindisi, di provvedere alla trascrizione del presente provvedimento.

Così deciso in Brindisi in data 24 novembre 2021.

Il Giudice

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