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Doni tra fidanzati, non equiparabili alle liberalità

La sorte delle attribuzioni gratuite tra fidanzati è stata oggetto di un’apposita regolamentazione solo con il codice civile del 1942, all’articolo 80. Non si comprende allora per qual ragione, una volta appurato che tale è una delle possibilità che il costume sociale offre alle parti, codesto tipo di donazione prenuziale non possa dirsi uniformabile al diritto sancito dall’articolo 80 di ottenere – entro il termine di decadenza – la restituzione del bene (o la revoca dell’atto) nei casi di rottura del fidanzamento.

Pubblicato il 07 November 2021 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

La sorte delle attribuzioni gratuite tra fidanzati è stata oggetto di un’apposita regolamentazione solo con il codice civile del 1942, all’articolo 80.

La formulazione della norma, genericamente riferita ai doni, ha determinato nel tempo un vasto dibattito dottrinale.

L’oggetto di tale dibattito è stato di volta in volta ancorato alla questione della natura giuridica delle suddette liberalità, in funzione della possibile assimilazione alle donazioni obnuziali e alle liberalità d’uso.

Basta ricordare che, come da più parti fondatamente osservato, l’accostamento tra i doni di cui all’articolo 80 e la disciplina della donazione obnuziale è in contrasto col dato normativo desunto dall’articolo 785 c.c., che rispetto all’efficacia immediata dei doni stabilisce invece che la donazione obnunziale non produce effetto finché non segua il matrimonio; e inoltre che l’accostamento dell’articolo 80 alla liberalità d’uso si basa si un’esegesi ingiustificatamente restrittiva dell’ambito della citata norma.

Invero, un altro più convincente indirizzo interpretativo si è attestato sul rilievo che i doni prenuziali di cui all’articolo 80 sono vere e proprie donazioni, con conseguente possibile concorrenza di previsioni regolative secondo i casi individuate nella suddetta norma e negli articoli 769 c.c. e ss..

Simile orientamento è stato accolto dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale ha riconosciuto che i doni tra fidanzati non sono equiparabili né alle liberalità in occasione di servizi, né alle donazioni fatte in segno tangibile di speciale riconoscenza per i servizi resi in precedenza dal donatario, né alle liberalità d’uso, ma costituiscono appunto – vere e proprie donazioni, come tali soggette ai requisiti di sostanza e di forma previsti dal codice (Cass. n. 1260-94).

Fermo restando, naturalmente, che la eventuale modicità del donativo, da apprezzare oggettivamente in relazione alla capacità economica del donante (v. pure Cass. n. 7913-01), fa sì che, in taluni specifici casi, il trasferimento possa perfezionarsi legittimamente, tra soggetti capaci, in base alla mera traditio.

L’orientamento va confermato perché aderente all’agire e al sentimento sociale.

Considerare, infatti, semplici liberalità d’uso le donazioni tra fidanzati comporterebbe – come già sottolineato – un’interpretazione estremamente riduttiva del diritto alla restituzione dei doni sancita dall’articolo 80 c.c., a fronte invece dell’essere la ratio della restituzione non correlata, in detta norma, al semplice valore dei beni donati, quanto piuttosto alla eliminazione di tutti i possibili segni di un rapporto che non è giunto a compimento, e che è opportuno rimuovere per quanto possibile.

Questa considerazione è essenziale nell’ambito dell’interpretazione.

La norma, invero, non può intendersi secondo la mera intenzione storica del legislatore del tempo (cd. originalismo), sebbene mediante un flessibile adeguamento al mutato contesto sociale.

Ed è appunto conforme alla realtà sociale constatare che una delle frequenti ipotesi di dono effettuato in vista del futuro matrimonio è – oggi – proprio quella in cui persone vicine ai fidanzati (o anche a uno di essi), come per esempio i genitori, acquistino o ristrutturino immobili da destinare alla famiglia che nascerà.

Sempre il costume sociale ben conosce la prospettiva in cui uno dei nubendi impieghi somme per acquistare o ristrutturare l’appartamento dell’altro, in vista del matrimonio.

Non si comprende allora per qual ragione, una volta appurato che tale è una delle possibilità che il costume sociale offre alle parti, codesto tipo di donazione prenuziale non possa dirsi uniformabile al diritto sancito dall’articolo 80 di ottenere – entro il termine di decadenza – la restituzione del bene (o la revoca dell’atto) nei casi di rottura del fidanzamento.

Proprio il mancato verificarsi del matrimonio rende, invece, restituibili tutti i beni donati dalle parti durante il fidanzamento quale presupposto in vista di un matrimonio che poi non è stato contratto.

La dottrina classica ha, condivisibilmente, messo in luce come la ratio della norma consista nella tutela di una presupposizione, tale essendo quella incentrata sul futuro matrimonio che imprime la specifica destinazione ai beni donati a causa della promessa.

Quel che dunque rileva, ai fini dell’azione restitutoria, è in casi simili sempre e soltanto che i doni siano stati fatti a causa della promessa di matrimonio, e che si giustifichino per il sol fatto che tra le parti è intercorsa una promessa in tal senso, al punto da non trovare altra plausibile giustificazione al di fuori di questa.

E’ opportuno chiarire in tale prospettiva che la sorte della donazione indiretta – seppur collegabile a un accordo trilaterale – non coinvolge altri che le parti da essa donazione direttamente interessate.

Di tanto costituisce base il tradizionale indirizzo di questa Corte formatosi sul tema del preliminare di vendita immobiliare in previsione di un futuro matrimonio poi non celebrato.

Per il contratto preliminare è stato affermato che qualora in esso la qualità di promissario acquirente e di possessore in via anticipata del bene da trasferire venga assunta da persona diversa da quella che provvede al versamento del corrispettivo, e qualora il patto sia ricollegabile a un accordo trilaterale rivolto a conseguire, con la partecipazione del promittente venditore, una donazione indiretta in favore di detto promissario da parte di chi esegue il pagamento, il sopravvenuto venir meno della causa donandi (tipica della donazione fatta in previsione di un futuro matrimonio poi non celebrato) determina la caducazione della suddetta attribuzione patrimoniale, e quindi anche del diritto di godere il bene in vista della stipulanda compravendita definitiva, ma non incide sull’efficacia del rapporto fra il promittente venditore ed il donante, il quale viene a porsi nella qualità di effettivo promissario (così Cass. n. 171-86).

Traslato nell’ambito della compravendita definitiva, l’insegnamento sta a indicare che il venir meno della causa donandi comporta l’inefficacia solo nel rapporto interno che lega il donante al donatario, non anche invece in quello tra il venditore e l’acquirente sostanziale del bene.

La conclusione rileva nel senso che, in termini effettuali, la restituzione di cui parla l’articolo 80 c.c. dovrà essere attuata, in questa prospettiva, mediante retrocessione dell’immobile in capo al donante, da identificare quale parte acquirente in senso sostanziale.

Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, Ordinanza n. 29980 del 25 ottobre 2021

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