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Codice Civile
Codice Penale

Facoltà di modificare la domanda ex art. 1453/2 C.C.

La facoltà di modificare la domanda ai sensi dell’art. 1453/2 CC è esercitabile solo quando la domanda di risoluzione resti nell’ambito degli stessi fatti

Pubblicato il 23 June 2021 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Repubblica Italiana
Tribunale di Firenze
Sezione Imprese 

In Nome del Popolo Italiano
il YYYgio nella seguente composizione:

ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 1710/2021 pubblicata il 21/06/2021
nella causa n. /2016 tra le parti:

ATTORE

XXX, cf

CONVENUTO

YYY, cf

OGGETTO: Cause in materia di rapporti societari

Decisa nella camera di consiglio del 7/6/2021 sulle seguenti conclusioni:

Attore: Piaccia all’Ill.mo Tribunale di Firenze, Sezione Specializzata in materia di imprese, contrariis reiectis, in via istruttoria, accogliere tutte le richieste istruttorie formulate da parte attrice nella memoria autorizzata del 29/06/2018; nel merito, dichiarare la risoluzione per inadempimento del Sig. YYY del contratto preliminare di cessione di quota pari al 50% del capitale sociale della G.R. Immobiliare s.r.l. sottoscritto dai Sigg.ri XXX e YYY in data 29/05/08 e, per l’effetto, condannare il medesimo YYY alle refusione delle spese, anche generali, e dei compensi del presente giudizio di merito, del procedimento di sequestro, della relativa fase esecutiva e del procedimento di reclamo avverso il provvedimento cautelare.

Spese di custodia da porre definitivamente a carico di parte convenuta.

Con riserva di agire in separata sede per il risarcimento del danno conseguente al detto inadempimento.

Convenuto: A) Dato atto della rinuncia alla domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare di cessione della quota della *** S.r.l., dichiarare risolto tale contratto preliminare e, per l’effetto, revocare il provvedimento di sequestro giudiziario della quota, con ogni provvedimento di legge;

b) dichiarare inammissibile, e comunque manifestamente infondata in fatto e in diritto, e così rigettare, la domanda di risoluzione del contratto preliminare di cessione della partecipazione sociale in *** S.r.l. formulata all’udienza in data 11 aprile 2018 e precisata ed ampliata in sede di memoria autorizzata del 29 giugno 2018;

c) condannare il signor XXX, per aver agito nel presente giudizio con colpa grave ed in mala fede, per aver eseguito un provvedimento di sequestro giudiziario senza la normale prudenza, nonché per aver ingiustificatamente rifiutato di accettare la proposta conciliativa formulata dal Giudice, al risarcimento del danno subito dal signor YYY ai sensi dell’art. 96, commi 1 e 2, c.p.c., da quantificarsi secondo il prudente apprezzamento di codesto Ecc.mo Tribunale, tenendo conto anche del pregiudizio subito dal signor YYY per effetto dell’iscrizione della domanda di esecuzione in forma specifica del preliminare, nel registro delle imprese;

d) condannare il signor XXX al rimborso integrale delle spese del presente giudizio, comprensive di tutte le fasi (anche cautelare e di reclamo), nonché al rimborso integrale delle spese di custodia cautelare della partecipazione sociale già saldate per l’intero dal signor YYY (doc. i); in ipotesi subordinata, condannare il signor XXX al rimborso delle spese di custodia maturate, in favore del custode giudiziario, quantomeno a far data dal 27 febbraio 2018 (data dell’udienza dinnanzi al codesto Tribunale, nella quale si ha certezza circa la conoscenza, da parte del signor XXX, della manifestata volontà del signor YYY di dare esecuzione al contratto preliminare, in funzione conciliativa) o, al più tardi, a far data dall’11 aprile 2018 (data di formalizzazione della cessata volontà di dare esecuzione al contratto preliminare).

In via istruttoria, come da foglio di conclusioni inviato il 12/3/2021.

Fatto e processo

Riassumendo avanti a questo giudice una causa originariamente introdotta avanti al Tribunale di Genova, e lì definita in rito per incompetenza territoriale, XXX riferisce di aver costituito con YYY, nel corso del 2006, la società *** Srl (di seguito: GR, o la Società), paritariamente partecipata, finalizzata alla gestione di una operazione immobiliare consistente nell’acquisto di un’area fabbricabile posta in territorio di al prezzo di € 1.500.000; per concludere l’acquisto e finanziare le opere di edificazione, GR stipulava un mutuo fondiario con la CR di, garantito da fideiussioni personali rilasciate da XXX e dalla di lui moglie.

Successivamente (28/5/2008), per rendere non aggredibile dai creditori personali la quota da lui detenuta in GR, XXX trasferiva a YYY la sua partecipazione alla Società, con l’intesa che egli la avrebbe riacquistata non appena avesse risolto ogni questione con i suoi creditori; a tal fine, il 29/5/2008 le parti stipulavano un contratto preliminare con il quale YYY si impegnava a rivendere le stesse quote a XXX al prezzo di € 100.000 entro il termine del 30/7/2008.

Nel novembre 2015 e poi nell’aprile 2016 XXX, risolta ormai ogni sua pendenza, invitava la controparte alla stipula del contratto definitivo, ma YYY si rifiutava affermando che il termine del luglio 2008 sarebbe stato essenziale, talché il suo decorso avrebbe determinato la risoluzione del preliminare.

Ciò esposto l’attore, assumendo l’inadempimento del convenuto agli obblighi contratti con il preliminare, ha chiesto pronunciarsi sentenza sostitutiva dell’atto di trasferimento, ai sensi dell’art. 2932 CC. Prima della costituzione del convenuto, l’attore ha altresì depositato un ricorso per sequestro giudiziario della quota contesa, accolto dal giudice con ordinanza del 21/1/2017 confermata a seguito del reclamo.

Si è costituito YYY chiedendo il rigetto della domanda. Espone che, nel 2008, egli acquistò da XXX (al prezzo di € 104.000) la sua quota di partecipazione a GR, avente valore nominale di € 1250, proprio su richiesta del socio che necessitava di quella somma per evitare il protesto di un assegno, a ciò determinandosi conscio delle conseguenze che GR e l’intera operazione immobiliare avrebbero subito in caso di protesto a carico del socio; nella speranza che le difficoltà finanziarie del XXX fossero transitorie, le parti stipularono il preliminare del 29/5/2008 per la retrocessione della quota trasferita, da trasfondere in un definitivo da stipulare “entro non oltre il 30/7/2008”; per tale data, infatti, fu fissato un appuntamento avanti al notaio ***, al quale però XXX non si presentò – né ha più chiesto di addivenire alla suddetta retrocessione, se non a distanza di sette anni, comunicando anzi alla CR di Carrara la revoca della fideiussione prestata.

La mancata esecuzione del preliminare, pertanto, sarebbe dovuta unicamente all’inadempimento proprio del XXX, che ne avrebbe determinato la risoluzione.

In via riconvenzionale, YYY chiede che sia dichiarato risolto il preliminare:

a) ai sensi dell’art. 1457 CC per decorso del termine, da ritenersi essenziale sia per come indicato nel contratto, sia per la natura ed oggetto del contratto, sia per la condotta successiva delle parti;

b) ai sensi degli art. 14531455 CC per inadempimento di XXX, che senza alcuna giustificazione non si presentò alla stipula del contratto definitivo fissata per il 30/7/2008.

In subordine, YYY ha chiesto che il trasferimento della quota avvenga al valore che essa ha alla attualità – quindi, non più € 100.000 ma € 1.250.000, essendo ravvisabile un obbligo della controparte, discendente da quello generale di buona fede, di rinegoziare il prezzo della partecipazione.

Ancora in via riconvenzionale, il convenuto ha poi chiesto la condanna dell’attore al risarcimento ai sensi dell’art. 96 CPC e, alla prima udienza (marzo 2017), ha eccepito la risoluzione del contratto per mutuo consenso.

In corso di causa (febbraio – marzo 2018) YYY ha ripetutamente invitato XXX a presentarsi avanti ad uno studio notarile per sottoscrivere il contratto definitivo di rivendita delle quote di GR, “alle condizioni di cui al preliminare di cessione quote del 29 maggio 2008”; anche il GI ha sottoposto alle parti una proposta conciliativa, strutturata sulla cessione delle quote di GR, così come previsto nel preliminare, ed il pagamento da parte di YYY di un contributo per le spese di lite.

XXX, tuttavia, non si è mai presentato alla firma del contratto e anzi, all’udienza del 11/4/2018, ha dichiarato a verbale di modificare ex art. 1453 CC la sua domanda di adempimento in forma specifica in domanda di risoluzione del contratto per inadempimento della controparte, con riserva di azione separata per il risarcimento del danno – con ciò vanificando anche la proposta conciliativa avanzata dal GI.

A seguito del mutamento della domanda, il sequestro giudiziario è stato revocato su istanza di YYY.

Acquisita la documentazione prodotta e respinta ogni ulteriore istanza istruttoria, il GI ha invitato le parti a precisare le conclusioni, concesso termini per lo scambio di comparse conclusionali e repliche e rimesso la causa al YYYgio per la sentenza. Nelle sue conclusioni finali, YYY si è limitato a chiedere la risoluzione del contratto – senza imputazione di responsabilità – e ad eccepire l’inammissibilità e infondatezza della domanda di risoluzione dell’attore, con condanna di quest’ultimo ai sensi dell’art. 96 CPC; XXX ha concluso come in epigrafe.

Motivi della decisione

Posto che ambedue le parti chiedono che il contratto preliminare del 29/5/2008 sia dichiarato risolto, ancorché per differenti ragioni, la domanda demolitiva dell’accordo non può che essere accolta (Cass. 19706/2020).

YYY – come detto – ha rinunciato alla domanda riconvenzionale inizialmente proposta, volta a far dichiarare risolto il preliminare fin dal 2008 per decorrenza del termine essenziale, o per mutuo consenso, o per inadempimento di XXX, limitandosi a chiedere, al termine della causa, l’accertamento della risoluzione ma senza imputazione di responsabilità.

Permane invece la domanda di risoluzione imputabile a YYY, proposta dall’attore, dovendosi a questo punto partire dal presupposto che il preliminare era da ritenersi ancora valido allorché XXX, nel 2015, ne chiese l’adempimento.

Poiché è pacifico che, in quel momento, YYY ha rifiutato di stipulare il definitivo, la domanda di adempimento in forma specifica avanzata da XXX doveva considerarsi inizialmente fondata, tanto da giustificare l’adozione della misura cautelare del sequestro giudiziario delle quote.

Sennonché, nel febbraio 2018, il convenuto ha smesso ogni opposizione ed offerto ripetutamente l’adempimento; lo stesso GI ha formulato una proposta conciliativa ex art. 185 bis CC che, in sostanza, corrispondeva ad un accoglimento pieno della domanda attorea, accompagnato pure dal pagamento delle spese di lite – solo limitate ai parametri minimi per la fase processuale istruttoria non ancora svolta: la causa, a distanza di appena un anno e mezzo dalla sua introduzione avanti a questo giudice, era praticamente già finita, con il pieno riconoscimento del diritto azionato da XXX.

Proprio a quel punto, però, XXX si è avvalso della facoltà offerta dall’art. 1453/2 CC, convertendo la sua richiesta di adempimento in domanda di risoluzione.

Afferma la Corte di legittimità che la facoltà di modificare la domanda ai sensi dell’art. 1453/2 CC è “esercitabile solo quando la domanda di risoluzione resti nell’ambito degli stessi fatti posti a base dell’inadempimento, mentre, ove siano prospettati fatti nuovi idonei a configurare una diversa “causa petendi”, il mutamento deve ritenersi inammissibile” (Cass. 1003/2008, conforme la giurisprudenza successiva compresa, per obiter dictum, Cass. SU 8510/2014).

La nuova domanda di risoluzione avanzata da XXX poteva dunque considerarsi ammissibile solo se fondata sullo stesso fatto – l’inadempimento di YYY – posto fin dall’inizio a base dell’azione; sennonché, a quel punto, l’iniziale inadempimento di YYY era già stato sostituito da ben due inviti avanti a notaio per la retrocessione delle quote “alle condizioni di cui al preliminare di cessione quote del 29 maggio 2008”. In altre parole, non vi era più un inadempimento o, per lo meno, non vi era più alcuna opposizione all’esecuzione del preliminare, e la controversia doveva ritenersi non più sussistente.

È stato XXX, in quel momento antecedente alla trasformazione della sua domanda, a rendersi inadempiente rifiutando gli inviti avanti al notaio. Per giustificare questa sua integrale inversione di rotta, l’attore ha motivato la sua condotta con i seguenti argomenti:

1. poiché YYY era stato convenuto in giudizio per inadempimento, non avrebbe potuto adempiere in corso di causa;

à argomento francamente incomprensibile: l’unico adempimento impossibile è quello offerto dopo la domanda di risoluzione del contratto (art. 1453 CC), non certo quello offerto a seguito di azione promossa proprio per ottenere l’adempimento stesso;

2. l’offerta di adempimento di YYY sarebbe stata condizionata alla definizione della lite ma non era estesa al riconoscimento delle relative spese; à argomento errato: l’invito davanti al notaio non era per formalizzare un accordo transattivo ma per stipulare il contratto definitivo previsto dal preliminare; esso non conteneva alcuna condizione di abbandono della causa, limitandosi a sottolineare come la stipula del contratto sarebbe risultata utile anche alla definizione della controversia giudiziale (“al fine del componimento bonario del contenzioso”); le spese del processo, pertanto, se non regolate negli accordi notarili, avrebbero continuato a rappresentare oggetto (unico) di lite, da risolvere in sede processuale; peraltro, le spese di lite erano invece espressamente previste nella proposta conciliativa avanzata dal GI, ugualmente vanificata dall’attore con la modifica della sua domanda;

3. essendo le quote sottoposte a sequestro giudiziario, non avrebbe potuto YYY trasferirle a XXX;

à argomento formalmente corretto ma speso in modo del tutto strumentale: è ovvio che il contratto definitivo avrebbe potuto essere concluso solo previa revoca del sequestro, ma se le parti avessero concordato sul definitivo la revoca della misura sarebbe stata altrettanto scontata: bastava una istanza congiunta; seguendo il ragionamento dell’attore, si dovrebbe concludere che la stessa proposta ex art. 185-bis CPC del GI non avrebbe mai potuto essere accettata dalle parti siccome impossibile, perché le quote erano sottoposte a sequestro.

Successivamente, XXX ha aggiunto altre motivazioni:

4. l’interesse a riacquistare le quote di GR sarebbe venuto meno perché YYY è stato sottoposto a procedimento penale in ragione di condotte tenute in veste di AU di GR, emerse da una querela presentata da terzi;

à la querela risale però al maggio 2017, prima che le parti depositassero le loro memorie ai sensi dell’art. 183 CPC, con le quali XXX ha invece insistito nella domanda di adempimento specifico; la presentazione di una querela, peraltro, non è certo prova della verità di quanto con essa denunciato; in ogni caso, i fatti affermati dal terzo querelante nulla hanno a che vedere con l’adempimento o l’inadempimento del contratto preliminare, dunque non giustificano la modifica della domanda;

5. altro motivo del sopraggiunto disinteresse, l’emersione (nonostante tentativi di YYY di tenerla celata) di una situazione economico-finanziaria di GR del tutto diversa da quella riferita dal convenuto all’inizio della causa;

à anche questo è argomento inconferente, non foss’altro perché indimostrato: esso troverebbe infatti conferma in un appunto scritto a mano, non si sa da chi né in che data, che dovrebbe contenere indicazione di “pagamenti non eseguiti da GR” ma non contabilizzati, altra circostanza tutta da verificare e non direttamente attinente all’adempimento del preliminare.

In conclusione, i primi tre motivi spesi dall’attore per spiegare il mutamento della sua domanda sono inaccettabili e non incidono sul fatto che, con l’offerta di adempimento spontaneo, non poteva più essere ravvisato un inadempimento imputabile – tanto meno grave – a carico di YYY, tale da giustificare una risoluzione del preliminare; gli ultimi due motivi sono invece sforniti di prova, e non potrebbero comunque essere isolatamente considerati come fondamento della domanda di risoluzione, secondo il principio enunciato dalla massima Corte e già sopra riferito.

Ne segue che, dichiarato risolto il contratto preliminare – che nessuna delle parti vuole più eseguire – dev’essere respinta ogni ulteriore domanda di addebito di responsabilità in ordine alla risoluzione stessa.

Le spese del processo, ivi comprese quelle per i procedimenti cautelari, devono essere compensate: se l’introduzione della causa poteva presentare profili di fondatezza, la sua prosecuzione è interamente da ascrivere alla condotta non giustificabile dell’attore. La medesima iniziale fondatezza della domanda impedisce di accogliere la domanda di condanna dell’attore ai sensi dell’art. 96 CPC.

P. Q. M.

Il Tribunale di Firenze, Sezione imprese, così provvede in via definitiva:

dichiara risolto il contratto preliminare stipulato dalle parti in data 29/5/2008; rigetta le domande di imputazione della risoluzione a responsabilità del convenuto e di condanna dell’attore ai sensi dell’art. 96 CPC;

compensa tra le parti le spese del giudizio, ivi comprese quelle relative ai procedimenti cautelari.

Firenze, 7 giugno 2021

Il presidente estensore

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