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Codice Penale

Responsabilità degli amministratori di società

Responsabilità degli amministratori di società, esclusa la possibilità d’invocare genericamente il compimento di atti di mala gestio.

Pubblicato il 08 May 2021 in Diritto Societario, Giurisprudenza Civile

 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO

QUINDICESIMA – TRIBUNALE DELLE IMPRESE -SPECIALIZZATA IMPRESA “B” CIVILE

Il Tribunale in composizione collegiale nelle persone dei magistrati

All’esito della camera di consiglio del 25 marzo 2021 pronuncia la seguente

SENTENZA n. 3642/2021 pubblicata il 30/04/2021

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. /2018 promossa da:

FARMACIA XXX S.r.l. (P.I.), in persona del liquidatore p.t., con il patrocinio dell’avv., elettivamente domiciliata in presso lo studio del difensore

 ATTRICE contro

YYY (C.F.), con il patrocinio dell’avv., elettivamente domiciliato in via presso il difensore avv.,

 CONVENUTO

CONCLUSIONI

Le parti hanno precisato le conclusioni come da fogli telematicamente depositati il 7 gennaio 2021, conclusioni qui integralmente richiamate e ritrascritte.

CONCLUSIONI DELL’ATTRICE FARMACIA XXX S.r.l.

Piaccia al Tribunale illustrissimo, rigettata ogni contraria azione, domanda, istanza, eccezione e opposizione, e comunque contrariis rejectis, In via principale,

– accertare la responsabilità gestoria del Signor YYY in relazione all’amministrazione della Società Farmacia XXX S.r.l. per i motivi meglio descritti in premessa ed in particolare per i fatti inerenti il licenziamento delle Signore *** e ***, nonché l’accertamento condotto dall’Agenzia delle Entrate relativamente al periodo d’imposta 2010 e, per l’effetto;

– condannare il Signor YYY a risarcire alla Società attrice la somma di € 61.658,46 a titolo di rimborso dovuto al Comune XXX, che ha già provveduto ad effettuare tale pagamento a causa della vicenda inerente il licenziamento delle dipendenti dell’azienda, oltre che la somma di € 26.808,59 a titolo di ricavi percepiti ma mai contabilizzati e quindi mai ricevuti dalla Società, nonché di sanzioni ed interessi conseguenti l’accertamento, per un totale così di € 88.467,05, o quella diversa somma che risulterà di giustizia, oltre ad interessi legali dalla domanda al saldo; In via subordinata,

– condannare, in relazione al secondo pregiudizio, il Signor YYY a risarcire alla Società attrice la somma di € 5.614,59 a titolo di imposte, sanzioni ed interessi illegittimamente versati all’Agenzia delle Entrate o comunque quella diversa somma che risulterà di giustizia;

In via istruttoria, − ammettere la prova per interrogatorio formale del convenuto e per testi sui seguenti capitoli: 1) “vero che il Signor YYY, amministratore unico e poi liquidatore della Società Farmacia XXX S.r.l. dal 2010 al 2013, chiedeva al socio unico, Comune XXX, di ripianare in continuazione le perdite della Società mediante finanziamenti soci, omettendo di contabilizzarli come tali ed in assenza di remissione del debito da parte del Comune, tanto da attrarre le attenzioni della Corte dei Conti”;

2) “vero che, durante gli esercizi in cui era amministratore il Signor YYY, la Società ha sempre subito delle perdite”; 3) “vero che il Signor YYY si recava ogni settimana presso la Farmacia XXX ed in quelle occasioni assumeva informazioni dai dipendenti circa le vendite, gli incassi e le problematiche che si verificavano volta per volta”;

4) “vero che, dopo l’acquisizione dell’azienda da parte del Dott. ***, avvenuta nel 2013, la Farmacia del Castello ha sempre registrato utili”;

5) “vero che, in occasione della verifica contabile dell’Agenzia delle Entrate del 2013 relativa al periodo d’imposta 2010, il Signor YYY, allora liquidatore della Società, forniva spiegazioni ai funzionari intervenuti e contestava il metodo di calcolo induttivo”;

6) “vero che, durante la verifica e precisamente il 10 giugno 2013, tre giorni prima dell’incontro con i funzionari dell’Agenzia delle Entrate finalizzato alla redazione del processo verbale di contraddittorio, il Signor YYY rassegnava le proprie dimissioni dalla carica di liquidatore”;

7) “vero che comunque il Signor YYY incaricava lo Studio *** di partecipare alla redazione del PVC, cosa che poi avveniva nella persona della Dott.ssa ***, e presenziava lui stesso di persona seppure informalmente”;

8) “vero che, in occasione della redazione del PVC, il Signor YYY contestava il metodo di calcolo applicato dall’Agenzia delle Entrate e formulava riserve, dando altresì spiegazioni circa le pretese dei funzionari”; 9) “vero che il Signor YYY dava indicazioni al nuovo liquidatore, ***, su come contestare l’operato dell’Agenzia delle Entrate, fornendo altresì specifiche giustificazioni degli ammanchi scoperti dai funzionari e documenti a supporto dell’inconsistenza della tesi dell’ente accertatore”;

10) “vero che il Signor YYY riscontrava le richieste di chiarimenti circa la verifica contabile relativa all’anno 2010 rivoltegli dal Comune XXX e dalla Dott.ssa ***, come ad esempio quella che si rammostra sub doc. 16”;

11) “vero che il Signor YYY avviava con il Dott. *** una trattativa volta a ricomprendere nella cessione aziendale altresì i contratti di lavoro con le due dipendenti, Sig.re *** e ***, o comunque volta a tenere in considerazione il costo del loro licenziamento”;

12) “vero che, nel momento in cui doveva procedere con il licenziamento delle dipendenti, il Signor YYY tentava di concordare con costoro una tempistica e delle modalità soddisfacenti per entrambe le parti ed in particolare per la Società Farmacia XXX S.r.l.”;

13) “vero che, al fine di poter regolarmente procedere con il licenziamento delle dipendenti, il Signor YYY si informava circa modalità e penalità con un consulente del lavoro”;

14) “vero che il Dott. ***, all’atto di presentare la propria offerta per l’acquisto dell’azienda della Società Farmacia XXX S.r.l., condizionava formalmente la stessa alla previa interruzione dei rapporti di lavoro con le Signore *** e ***, allora dipendenti della Società”;

15) “vero che, dopo le dimissioni del Signor YYY dalla carica di liquidatore della Società Farmacia XXX S.r.l. e la nomina del nuovo liquidatore, ***, quest’ultima chiedeva al Signor YYY come procedere per le controdeduzioni da fornire all’Agenzia delle Entrate relativamente alla verifica contabile effettuata sull’esercizio 2010”;

16) “vero che il Signor YYY rispondeva al nuovo liquidatore invitandolo a chiedere informazioni allo Studio ***”;

17) “vero che lo Studio *** suggeriva che cosa riferire all’Agenzia delle Entrate per evitare l’irrogazione di sanzioni conseguenti l’accertamento relativo all’esercizio 2010”;

18) “vero che lo Studio *** riferiva che non vi era nulla da fare e che la cosa migliore era di cancellare al più presto la Società dal Registro delle Imprese, onde evitare che venisse raggiunta nei mesi successivi da avvisi di pagamento o altri provvedimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate conseguenti l’accertamento sull’anno 2010”. Si indicano a testi i Signori:

− Dott. *** ***, domiciliato presso la Farmacia del, sul cap. 4.

Con vittoria di spese e compensi professionali, oltre 15% di spese generali, IVA e CPA

*°*°*

CONCLUSIONI DEL CONVENUTO YYY

 Voglia l’Ill.mo Tribunale respingere le domande attrici, perché infondate in fatto e diritto. Con vittoria di spese e competenze.

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione

La presente motivazione viene redatta in conformità al criterio di sinteticità che deve caratterizzare gli atti e i provvedimenti del giudice depositati telematicamente ai sensi dell’art. 16 bis comma 9-octies D.L. 179/2012, convertito in L. 221/2012, come modificato dall’art. 19 comma 1 lett. a), n. 2-ter D.L. 27 giugno 2015 n. 83 conv. in L. 132/2015.

Con atto di citazione notificato in data 22 dicembre 2017, la società Farmacia XXX S.r.l. (d’ora in avanti, per brevità, anche la “Società”) ha evocato in giudizio avanti al Tribunale di Milano il dott. YYY chiedendo l’accertamento della sua responsabilità per mala gestio ai sensi dell’art. 1476 cod. civ. per due fatti specifici uno inerente il licenziamento delle dott.sse *** e *** – dipendenti della Società –

l’altro per l’accertamento condotto dall’Agenzia delle Entrate relativamente al periodo d’imposta 2010 ad esito del quale sono emersi ricavi non contabilizzati per un ammontare di € 24.897,00.

L’attrice, per l’asserito illegittimo licenziamento delle sig.re *** e *** ha chiesto la condanna del convenuto al risarcimento della somma di € 61.658,46 a titolo di rimborso asseritamente dovuto al Comune XXX.

La Società ha – in particolare – dedotto che il Comune XXX avrebbe già provveduto ad effettuare il pagamento di tale somma a causa della vicenda inerente il licenziamento delle dipendenti dell’azienda per € 61.658,46.

 Quanto al danno patito in seguito alla verifica da parte dell’Agenza delle Entrate, l’attrice ha chiesto la condanna della convenuta a risarcire la somma di € 26.808,59 corrispondete ai ricavi stimati da Agenzia come percepiti ma mai contabilizzati, nonché a titolo di sanzioni ed interessi conseguenti l’accertamento;

In totale l’attrice ha quindi chiesto la condanna del dott. YYY al pagamento di € 88.467,05 ovvero a risarcire quella diversa somma che risulterà di giustizia, oltre ad interessi legali dalla domanda al saldo.

In via subordinata, la Società ha chiesto di condannare il convenuto al risarcimento della minor somma di € 5.614,59 a titolo di imposte, sanzioni ed interessi versati all’Agenzia delle Entrate o, comunque, della diversa somma che risulterà di giustizia oltre ad € 61.658,46 per la vicenda dei licenziamenti .

Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 31.10.2018 per la prima udienza del 20.11.2018, si è costituito in giudizio il dott. YYY contestando in fatto e in diritto le deduzioni e le domande proposte da parte attrice in quanto – a suo dire – infondate in fatto e in diritto.

Assegnati alle parti i termini ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., all’udienza del 7.05.2019 non sono stati ammessi i capitoli di prova per testimoni dedotti dalla difesa dell’attrice in quanto irrilevanti o relativi a circostanze non contestate e desumibili dai documenti agli atti e la causa è stata rinviata per precisazione delle conclusioni all’udienza del 6.10.2020.

In considerazione del periodo di forzata sospensione dei termini processuali dal 9.03.2020 al 12.05.2020, il giudice istruttore ha rinviato all’udienza del 12.01.2020 poi sostituita, con ordinanza del 18.12.2020, dallo scambio di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni ai sensi dell’art. 221, quarto comma, del DL 34/2020 conv. In L. 77/2020.

Con provvedimento di trattazione scritta dell’udienza sono stati concessi i termini ex art. 190 c.p.c., decorsi i quali la causa è stata assunta in decisione dinnanzi al Collegio.

Nel merito

La controversia trae origine dal fatto che, secondo la prospettazione attorea, il dott. YYY – quale amministratore unico della Società – avrebbe posto in essere condotte che denoterebbero in generale una sua mala gestio.

 A sostegno della suddetta prospettazione l’attrice ha richiamato una serie di documenti dai quali, a suo dire, si evincerebbe che sino al 2014 la Società avrebbe subito perdite conseguenti alla cattiva amministrazione del dott. YYY.

Orbene Il Tribunale osserva in primo luogo che molte delle asserite condotte di mala gestio rispetto alle quali invero la Farmacia non avanza domande risarcitorie oltre ad essere descritte in termini del tutto generici, non sono attribuibili all’operato del dott. YYY.

 La delibera della Corte dei Conti n. /2011/PRSE (cfr. doc. 2 attoreo) richiamata da parte attrice quale prova del mancato rispetto, da parte del convenuto, “dei più basilari principi di sana gestione” (cfr. pag. 2 dell’atto di citazione) è irrilevante ai fini del decidere nella parte in cui analizza la ricostruzione dei rapporti finanziari intercorsi tra il Comune XXX e la società Farmacia XXX S.r.l. “nell’ultimo triennio precedente al consuntivo 2009” (cfr. pag 6 del doc. 2 attoreo); si tratta, infatti, di un arco temporale in cui il dott. YYY non era ancora stato investito della carica di amministratore unico della Società in quanto lo stesso è stato nominato il 15 aprile 2010 (cfr. Visura storica società di capitale sub doc. 1 attoreo).

 Nella delibera in oggetto si legge che il Comune XXX ha effettuato – in conformità alla delibera per il riconoscimento di debito fuori bilancio assunta dal Consiglio comunale in data 24 maggio 2010 – in favore della Società che gestisce la farmacia una serie di erogazioni per ripianare le perdite dalla stessa generate; tra tali erogazioni (molte delle quali relative agli anni 2002-2007) se ne menziona una di € 166.917 in data 24 maggio 2010, così suddivisa: € 10.000 a titolo di ricapitalizzazione, di € 96.242 per copertura perdite 2009, di € 14.675 per copertura perdite periodo 1°gennaio/15 aprile 2010, di € 46.000 in conto copertura perdita esercizio 16 aprile/31 dicembre 2010 (cfr. pag. 10 del doc. 2 attoreo).

 È evidente che trattandosi di perdite riguardanti periodi di esercizio in cui il dott. YYY non era stato ancora investito della carica di amministratore unico della Società, le stesse sono irrilevanti ai fini del thema decidendum.

 Per quanto concerne, in particolare, l’erogazione “in conto copertura perdita esercizio 16 aprile/31 dicembre 2010”, si tratta di una somma finalizzata alla creazione di una riserva per la copertura di perdite future (e non di un debito certo), necessaria – come dichiarato dal dott. YYY nel corso dell’assemblea della Società convocata il 3 giugno 2010 (cfr. doc. 3 di parte convenuta) – per garantire l’operatività e il raggiungimento degli obiettivi programmati (rinegoziazione condizioni di acquisto delle merci, estinzione anticipata dei debiti onerosi).

 Non trova, peraltro, conferma l’affermazione dell’attrice in base alla quale dalla delibera in oggetto si evincerebbe che “l’attività del Signor YYY era caratterizzata dal mancato rispetto dei più basilari principi di sana”gestione, come veniva anche rilevato dalla Corte dei Conti” (cfr. pag. 2 del doc. 2 attoreo).

 Dalla delibera della Corte dei Conti n. /PRSE del 21 dicembre 2016 (cfr. doc. 21 attoreo) emerge che le perdite subite dalla Società sono riferibili – per la maggior parte – a periodi di esercizio in cui il dott. YYY non era stato ancora investito della carica di amministratore unico della Società.

Non può, peraltro, essere condivisa la tesi dell’attrice in base alla quale sarebbe possibile ravvisare una responsabilità “da posizione” del dott. YYY per la mala gestio della Società “sino al 2014” (cfr. pag. 10 dell’ atto di citazione) in quanto in base all’art. 2476 cod. civ. gli amministratori sono responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società.

Nel caso di specie, al contrario, l’attrice non ha allegato quali sarebbero le condotte del dott. YYY – violative dei doveri imposti dalla legge e/o dall’atto costitutivo – che potrebbero essere assunte quale presupposto della responsabilità ex art. 1476 cod. civ..

Né l’attrice ha fornito la prova della violazione, da parte del dott. YYY, dei doveri di lealtà e diligenza.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, ove i comportamenti degli amministratori che si assumono illeciti non siano in sè vietati dalla legge o dallo statuto e l’obbligo di astenersi dal porli in essere discenda dal dovere di lealtà, coincidente col precetto di non agire in conflitto di interessi con la società amministrata, o dal dovere di diligenza, consistente nell’adottare tutte le misure necessarie alla cura degli interessi sociali a lui affidati, “l’illecito è integrato dal compimento dell’atto in violazione di uno dei menzionati doveri: per modo che in tal caso l’onere della prova dell’attore non si esaurisce nella dimostrazione dell’atto compiuto dall’amministratore, ma investe anche quegli elementi di contesto dai quali è possibile dedurre che lo stesso implica violazione del dovere di lealtà o di diligenza. Si tratta di un principio che è conforme all’insegnamento della dottrina, per la quale il contenuto di siffatti obblighi di carattere generale può specificarsi solo con riferimento alle circostanze del caso concreto, onde l’attore ha l’onere di fornire la prova del fatto che la condotta da lui tenuta ne costituisca, avendo riguardo alle dette circostanze, inadempimento. Pertanto, in relazione alla mancata osservanza, da parte dell’amministratore, dell’obbligo di diligenza, chi agisce in giudizio deve dare dimostrazione di quegli elementi di contesto dai quali è possibile inferire la violazione del predetto dovere […]” (Cass. Civ., 9 novembre 2020, n. 25056).

 Dunque non solo non vi è prova della negligenza del dott. YYY ma, al contrario, come è stato messo in luce durante l’assemblea per l’approvazione del bilancio dell’esercizio chiuso al 31 dicembre 2011 tenutasi il 1° marzo 2012, dal 2011- anno successivo all’assunzione della carica di amministratore unico da parte del convenuto – si è registrato “un consistente incremento dei ricavi e delle vendite […]”; ciò significa che dalla nomina del dott. YYY quale amministratore unico della Società, la situazione patrimoniale e finanziaria della stessa era migliorata rispetto agli esercizi precedenti. Vanno ora esaminati i due addebiti di responsabilità specificamente contestati dall’attrice al dr YYY (cfr. pag. 10 dell’atto di citazione) e fonti del credito risarcitorio petitum della domanda proposta si osserva quanto segue.

Si tratta, in primo luogo, del licenziamento intimato dalla Farmacia XXX S.r.l. in persona dell’allora amministratore unico – dott. YYY – in data 27 dicembre 2012 alle due dipendenti della Società per cessazione dell’attività sociale.

Il licenziamento delle dipendenti era stato intimato successivamente alla deliberazione del Consiglio Comunale n. 16 del 22.07.2011 con la quale il Comune XXX aveva deciso di vendere mediante pubblico incanto l’intero capitale sociale della Farmacia XXX S.r.l. (Cfr. Contratto di cessione sub doc. 6 di parte convenuta) e la titolarità del diritto all’esercizio dell’attività di farmacia.

In attuazione della suddetta delibera erano state indette tre aste pubbliche, poi andate deserte; in conseguenza di ciò era stata avviata una procedura negoziata in esito alla quale era pervenuta la sola offerta (accettata dal Comune) del dott. *** che, in data 25 gennaio 2013, aveva stipulato con la Società e con il Comune XXX il “Contratto di cessione del diritto all’esercizio farmaceutico ed azienda commerciale” (cfr. doc. 6 di parte convenuta).

Secondo la prospettazione attorea, sussisterebbe la responsabilità del convenuto ai sensi dell’art. 2476 cod. civ. per “cattiva gestione della Società Farmacia XXX S.r.l.” (cfr. pag. 8 dell’atto di citazione) in quanto i licenziamenti erano illegittimi per essere stati intimati “in maniera assai leggera “ e “in assenza dei pur minimi requisiti di legge” (cfr. pag. 15 dell’atto di citazione), tanto che le due lavoratrici avevano agito contro la farmacia e il cessionario di azienda che poi aveva chiamato in causa il Comune di *** per far valere la nullità dei licenziamenti anche per violazione di quanto disposto dall’art 2112 c.c..

 L’attrice ha, in particolare, contestato al dott. YYY che “avrebbe dovuto gestire la questione circa i licenziamenti sia con le dipendenti sia con l’acquirente del ramo aziendale, addivenendo ad una transazione […] con le dipendenti e […] concordare con il Dott. *** un prezzo diverso […] per la cessione aziendale” (cfr. pag. 3 della memoria ex art. 183, sesto comma, n. 1 c.p.c.)

 E ancora, secondo l’attrice, “Cedere il ramo d’azienda ad un prezzo prestabilito, senza considerare il costo dei licenziamenti e soprattutto senza prevederlo […] è una condotta certamente negligente degna della sanzione risarcitoria che la legge impone in questi casi” (cfr. pag. 3 della memoria ex art. 183, sesto comma, n. 1 c.p.c.).

 L’attrice ha inoltre contestato al dr YYY – a supporto della sua “mala fede” nella gestione societaria (cfr. pag. 16 dell’atto di citazione) – la verifica contabile svolta dall’Agenzia delle Entrate all’esito della quale erano stati accertati “maggiori ricavi non contabilizzati” pari ad € 24.897,00, così insinuando che potrebbero essere somme anche distratte dall’ex amministratore.

 Il convenuto ha contestato tutte le circostanze dedotte dall’attrice e ha affermato che l’attrice non avrebbe allegato “la colpa” né “il nesso di causalità” e che “nulla in concreto è scritto sulla responsabilità” (cfr. pag. 7 della comparsa di costituzione e risposta).

 Come è noto, in tema di azioni di responsabilità promosse dalla società nei confronti dei propri amministratori, in base consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità -trattandosi di un’azione contrattuale – l’attore deve provare ex art. 2697 cod. civ. “la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, mentre sul convenuto incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti” (cfr. Cass. civ., 7 febbraio 2020, n. 2975).

 Ancora, la Suprema Corte ha chiarito – con specifico riferimento alla responsabilità degli amministratori di società – che è essenziale l’[…]”individuazione della causa petendi, al fine di consentire alla controparte l’approntamento di un’adeguata difesa, nel rispetto del principio del contraddittorio, […] escludendosi pertanto la possibilità d’invocare genericamente il compimento di atti di mala gestio, con riserva di descriverli più specificamente nel corso del processo” (cfr. Cass. Civ., 18 settembre 2017, n. 21566).

Occorre, ora, soffermarsi sulle violazioni che l’attrice deduce essere “direttamente riconducibili all’operato del Signor YYY, pregiudizi […] di cui si domanda in questa sede il legittimo ristoro” (cfr. pag. 10 dell’atto di citazione).

*La contestazione circa il licenziamento delle due dipendenti   In primo luogo, in memoria n. 1 l’attrice, quanto alla colpa del convenuto circa i licenziamenti ha contestato che egli avrebbe licenziato indebitamente le due dipendenti della Società in quanto “avrebbe dovuto gestire la questione… sia con le dipendenti sia con l’acquirente del ramo aziendale, addivenendo ad una transazione […] con le dipendenti”.

 Nella memoria ex art. 183, sesto comma, n. 3 c.p.c., poi, l’attrice ha affermato che “la condotta del Signor YYY di aver licenziato le dipendenti non può che ritenersi illegittima, non ricorrendo nel caso concreto alcuna giusta causa né alcun giustificato motivo che potessero giustificare i licenziamenti” (cfr. pag. 2 della memoria ex art. 183, sesto comma, n. 3 c.p.c.).

 Nella comparsa conclusionale l’attrice ha introdotto, invece, una questione nuova, affermando che “la cessione aziendale comporta necessariamente, ex art. 2112 c.c., la trasmissione dei rapporti di lavoro dalla cedente alla cessionaria. Non si capisce allora come avrebbe fatto il Comune, in qualità di socio unico della società, a concordare con il Signor *** che l’azienda ceduta sarebbe stata prova delle dipendenti” (cfr. Pag. 9 della comparsa conclusionale).

 In base a quanto affermato dal convenuto, invece, il licenziamento sarebbe stato intimato “per addivenire al contratto di cessione d’azienda” (cfr. pag. 6 della comparsa di costituzione e risposta). Secondo parte convenuta, infatti, il contratto di cessione di azienda prevedeva unicamente “la cessione del diritto d’esercizio della farmacia, dei beni strumentali e delle scorte” con l’accollo, da parte della parte venditrice, di “qualsiasi obbligo di pagare somme di denaro, comprese quelle derivanti da eventuali oneri giuslavoristici” (cfr. pag. 6 della comparsa di costituzione e risposta).

 Orbene, il Tribunale osserva in primo luogo che, come costantemente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, “Con le memorie di cui all’art. 190 c.p.c. le parti possono solo replicare alle deduzioni avversarie ed illustrare ulteriormente le tesi difensive già enunciate nelle comparse conclusionali e non anche esporre questioni nuove o formulare nuove conclusioni, sulle quali, pertanto, il giudice non può e non deve pronunciarsi” (Cass. Civ., 7 gennaio 2016, n. 98).

Ne discende che la questione – dedotta dall’attrice in comparsa conclusionale – relativa alla prosecuzione, in caso di cessione d’azienda ex art. 2112 cod. civ., dei rapporti di lavoro con il cessionario e quindi della colpa dell’amministratore per aver licenziato le lavoratrici pur nella prospettiva della cessione dell’azienda, non può essere tenuta in considerazione ai fini del decidere posto che l’addebito di colpa mosso all’ex amministratore nella memoria n.1 ad integrazione di una carente allegazione sul punto della citazione con riferimento ai licenziamenti è stato quello, diverso, di non aver concordato, coinvolgendo anche il cessionario d’azienda, con le lavoratrici la cessazione dei loro rapporti di lavoro addivenendo sostanzialmente ad un accordo[1].

Sotto il profilo dell’asserita illegittimità del licenziamento intimato alle due dipendenti della Società – sig.ra *** e sig.ra *** – si rileva che lo stesso è stato reso necessario per dare attuazione alla decisione del Comune XXX, con delibera del Consiglio comunale n. del 22 luglio 2011, di vendere mediante pubblico incanto l’”intero capitale sociale della costituita società Farmacia XXX s.r.l.” (Cfr. delibera Giunta comunale 23 dicembre 2013 sub doc. 5 di parte convenuta).

 Nella delibera della Giunta comunale del 23 dicembre 2013 (cfr. doc. 5 di parte convenuta) si legge, in particolare, che dopo tre aste pubbliche indette e andate deserte, è pervenuta la sola offerta del dott. *** che ha manifestato la volontà di acquistare “la sola titolarità della farmacia XXX s.r.l. rectius l’azienda commerciale connessa alla farmacia (autorizzazione all’esercizio del servizio farmaceutico e beni strumentali per l’esercizio dello stesso) al prezzo di 500.000,00 euro […] oltre merci in giacenza già pagate al momento dell’alienazione effettiva)”.

Come si legge nel documento de quo, tale offerta “il Comune ha ritenuto di potere accettare la proposta del dott. ***” e, pertanto, “con determina n. 95 del 3.10.2012 il Comune provvedeva ad aggiudicare al Dott. *** definitivamente la vendita della titolarità della Farmacia Comunale, dell’intero capitale sociale e della relativa azienda commerciale della costituita società di capitali FARMACIA XXX S.R.L. al prezzo di € 500.000,00 compresi gli arredi e le attrezzature, oltre alle merci in giacenza al momento dell’alienazione effettiva”.

 Anche nel “Premesso che” del contratto di “Cessione del diritto all’esercizio farmaceutico ed azienda commerciale” stipulato il 25 gennaio 2013 tra il Comune XXX, in qualità di venditore del diritto di esercizio della farmacia, la società Farmacia XXX S.r.l., in qualità di venditrice dell’azienda commerciale e il dott. Massimo ***, in qualità di acquirente, si legge che con delibera del Consiglio si è stabilita “la vendita della sola titolarità d’esercizio e connessa azienda commerciale della Farmacia XXX S.r.l., al dott. ***, unico offerente, al prezzo di € 500.000,00, compreso arredi ed attrezzature, oltre alle merci in giacenza al momento del Decreto di trasferimento di titolarità da parte dell’ASL” (cfr. Contratto di cessione sub doc. 6 di parte convenuta).

ramo d’azienda ad un prezzo prestabilito, senza considerare il costo dei licenziamenti e soprattutto senza prevederlo, procedendo brutalmente con i due licenziamenti nella speranza che le Signore *** e *** non facessero valere le proprie ragioni, è una condotta certamente negligente, degna della sanzione risarcitoria che la legge impone in questi casi.

Un buon amministratore (di fronte all’impossibilità di trasferire i contratti di lavoro):

1) avrebbe concordato preventivamente con le dipendenti in via transattiva il risarcimento per il loro licenziamento, senza attendere che al riguardo si pronunciasse il Tribunale o si concordasse un importo dopo l’avvio di un giudizio (quando sarebbe stato più arduo per il datore di lavoro ottenere una transazione vantaggiosa);

2) quindi, nelle trattative con l’acquirente del ramo aziendale, avrebbe caricato tale costo (o parte di esso) su costui, aumentando il prezzo della cessione.”

Ancora, nel contratto di cessione si legge, altresì, che “la parte venditrice dichiara si assumere a proprio carico sin d’ora ogni e qualsiasi obbligo di pagare somme di denaro, ivi comprese quelle derivanti da eventuali oneri giuslavorisitici […]”.

 La lettera del contratto in oggetto, pertanto, rivela con chiarezza ed univocità che le parti – con la stipula del contratto de quo – hanno inteso cedere la sola titolarità d’esercizio e connessa azienda commerciale della Farmacia XXX S.r.l., senza alcun passaggio dei lavoratori.

La sottesa intenzione del Comune è confermata dalla circostanza che i licenziamenti sono stati intimati dopo la proposta del dr *** di acquistare la sola titolarità dell’esercizio farmacia e alcune componenti dell’azienda di farmacia (arredi magazzino etc) (agosto 2012) ma prima della stipulazione del contratto di cessione (gennaio 2013).

 Tutto ciò lascia presumere che se il dott. YYY – conformemente alla volontà espressa dal Comune XXX – non avesse proceduto a licenziare le dipendenti, l’accordo di cessione dell’azienda e del diritto all’esercizio farmaceutico non si sarebbe verosimilmente concluso.

Per quanto concerne, poi, il prezzo di cessione dell’azienda che, a dire dell’attrice, avrebbe dovuto essere superiore a quello pattuito in quanto avrebbe dovuto tenere conto del “costo dei licenziamenti” (cfr. Pag. 3 della memoria ex art. 183, sesto comma, n. 1 c.p.c. attorea), si rileva che lo stesso è stato determinato dal Comune XXX con delibera del Consiglio comunale e non certo da dr YYY.

L’intero processo di vendita della Società – infatti -, considerato che si tratta di una Società costituita dal Comune XXX, è stato gestito da quest’ultimo che, dopo tre aste pubbliche andate deserte ha “ritenuto di potere accettare la proposta del Dott. *** […]” (cfr. delibera Giunta comunale 23 dicembre 2013 sub doc. 5 di parte convenuta).

 In considerazione di ciò, è evidente che il dott. YYY – pur nella sua qualità di amministratore unico della Società – non avrebbe potuto pattuire arbitrariamente il prezzo di cessione.

 Si tenga presente, in ogni caso, che – come emerge dalla delibera del 22 dicembre 2012 (cfr. Doc. 9 di parte convenuta) – il dott. YYY aveva evidenziato le proprie perplessità “in merito alla pattuizione relativa alla determinazione del valore del magazzino che appare particolarmente penalizzante per la società” e concluso evidenziando altresì che “la somma prevista a favore della Società, non sarà sufficiente per provvedere al pagamento dei debiti aziendali”, mentre il sindaco presente in assemblea per il socio unico Comune XXX faceva presente che “ …senza tale pattuizione in merito alla valutazione delle scorte l’acquirente non era disponibile a chiudere l’operazione e, considerate le oggettive difficoltà incontrate per vendere la farmacia, si è ritenuto assolutamente necessario accogliere la richiesta .”.

Ancora, in base alla prospettazione attorea, la condotta del dott. YYY dovrebbe essere ritenuta negligente in quanto lo stesso “avrebbe dovuto gestire la questione circa i licenziamenti sia con le dipendenti sia con l’acquirente del ramo aziendale, addivenendo ad una transazione […]” (cfr. pag. 3 della memoria ex art. 183, sesto comma, n. 1 c.p.c.). Ebbene rispetto a tale contestazione il danno lamentato non sussiste atteso che la vicenda dei licenziamenti si è esattamente conclusa con due transazioni, con un risultato nella sostanza non dissimile da quello che secondo la Farmacia XXX srl in liq. l’amministratore avrebbe dovuto conseguire .

 Infatti non può non rilevarsi, come risulta dai documenti depositati agli atti (cfr. Verbali di conciliazione sub doc. 9 attoreo), che le due dipendenti licenziate hanno stipulato – in sede sindacale – un accordo conciliativo ex art. 411 c.p.c. con la Società, alla presenza del dott. *** e del Comune XXX; quest’ultimo, in tale sede, ha offerto “a saldo e stralcio di ogni e qualsivoglia pretesa […] comunque relativa, connessa e conseguente il progresso rapporto di lavoro con la FARMACIA XXX S.R.L. e la risoluzione dello stesso, nei confronti di qualsivoglia soggetto e comunque dello stesso COMUNE, della FARMACIA DI S.R.L. e del dott. *** […]” la somma di € 27.797,26 per la sig.ra *** e la somma di € 16.000,00 per la signora ***, oltre le spese legali.

L’attrice non è stata in grado di provare l’esistenza di un danno attuale e concreto, da intendersi quale deterioramento effettivo e materiale della situazione patrimoniale della società: non è affatto certo che se il dott. YYY avesse raggiunto un accordo transattivo con le dipendenti della Farmacia di XXX S.r.l. prima dell’instaurazione – da parte di queste ultime – del procedimento volto ad accertare la nullità del licenziamento, vi sarebbe stato per la Società un minore esborso di denaro. *La contestazione relativa all’accertamento di Agenzia delle Entrate.

In base alla prospettazione attorea, la Società avrebbe patito un ulteriore danno dalla condotta negligente del dr YYY ossia “quello emerso dall’accertamento effettuato dall’Agenzia delle Entrate in relazione al periodo d’imposta 2010. […] i funzionari hanno accertato l’esistenza di ricavi non dichiarati della Società per € 24.897,00 e, da tale fatto, hanno fatto derivare l’applicazione di imposte non versate (e relative sanzioni e interessi) per € 5.519,84 a titolo di IRAP e IVA ed € 94,75 a titolo di IRES […] per un totale quindi di € 5.614,59” (cfr. pag. 16 dell’atto di citazione).

 L’attrice, poi, insinua la distrazione di somme di denaro da parte del dr YYY allegando l’”[…] estrema malafede (del dott. YYY) nella gestione societaria […] ha comportato […] quantomeno la sparizione della sopra citata somma di € 24.897,00”.

Il convenuto, sul punto, ha contestato ogni distrazione e dedotto “l’arbitrarietà” della metodologia di accertamento fiscale utilizzata dall’Agenzia delle Entrate (cfr. Pag. 12 della comparsa conclusionale di parte convenuta) e, in ogni caso, ha affermato che l’”accertamento non ha nulla a che vedere con comportamenti esigibili dall’amministratore e che questi non abbia tenuto” (cfr. Pag. 13 della comparsa conclusionale di parte convenuta).

Orbene, nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate, in seguito ad una verifica contabile eseguita nella primavera dell’anno 2012 relativamente all’anno d’imposta 2010, ha riscontrato che “i ricavi dichiarati dalla società per l’anno d’imposta 2010 non sono risultati congrui con quelli puntali previsti dallo studio di settore presentato per il codice di attività dichiarato […]” (cfr. pag. 9 del doc. 11 attoreo).

 I verbalizzanti hanno, in particolare, dichiarato di aver provveduto ad acquisire “elementi utili alla ricostruzione indiretta dei ricavi realizzati dall’impresa verificata nel corso dell’anno 2010” (cfr. pag. 10 del doc. 11 attoreo); i maggiori ricavi non contabilizzati che sono emersi “sono pari ad € 24.897,00” (cfr. pag. 15 del doc. 11 attoreo).

Deve in primo luogo premettersi che gli accertamenti tributari per il diverso regime probatorio rispetto a quello civile possono non costituire in sé prova ai fini dell’accertamento di responsabilità nel giudizio civile. Come già ritenuto da questo Tribunale “affinché gli accertamenti posti alla base di una sentenza emessa all’esito di un processo svoltosi nell’ambito di un determinato plesso della giurisdizione – qui la giurisdizione tributaria (art. 2 D.Lgs. n. 546 del 1992) – possano acquisire efficacia di prova legale in un processo svolto nell’ambito di diverso plesso giurisdizionale – ad esempio la giurisdizione civile – è necessaria una specifica previsione di legge in tal senso.

 Si deve tuttavia constatare che nessuna specifica norma prevede che il giudicato tributario abbia effetto nel giudizio civile.

Tale omissione non è causale in quanto è dovuta alla profonda differenza dei regimi probatori che vige nei due diversi tipi di processo.

 In conclusione, è pacifico che il giudicato tributario non può essere ritenuto produttivo di alcun vincolo per il giudice civile.

Nondimeno, è pacifico in giurisprudenza che il giudice civile, in assenza di specifici divieti di legge, possa formare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche, come quelle raccolte in altro giudizio, al fine non solo di trarne semplici indizi o elementi di convincimento ex art. 116 c.p.c., ma anche di attribuire loro valore di prova esclusiva, a condizione che tali risultanze siano acquisite al giudizio della cui cognizione egli è investito.

Ferma dunque l’utilizzabilità, in sede civile, di elementi di prova acquisiti in sede tributaria, nondimeno deve constatarsi una evidente e forte differenziazione tra il regime di valutazione che rispettivamente la normativa tributaria e la legge civile attribuiscono agli elementi indiziari.” (sentenza in RGn. 6069/2017 est. Pres.)

Quanto all’ordinamento tributario, infatti, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, “[…] l’accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, si sostanzia in un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente” (Cass. Civ., 18 settembre 2019, n. 23252).

Per il processo civile, di contro, l’articolo 2729, primo comma, cod. civ. prevede che “Le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti”.

Nel caso di specie il risultato dell’accertamento fiscale che costituisce – a dire dell’attore – il fondamento dell’asserito danno patito dalla Società per mala gestio del dott. YYY, si basa su elementi indiziari che sono utilizzabili ex lege in ambito tributario ma nel processo civile prescindono da quei necessari requisiti di gravità, precisione e concordanza che il codice civile richiede affinché le presunzioni semplici possano assurgere a strumento di convincimento del giudice. Quindi, la circostanza che Agenzia delle Entrate all’esito del suo accertamento abbia ritenuto con una ricostruzione induttiva che la Farmacia XXX nell’esercizio 2010 abbia conseguito maggiori ricavi per € 24.896,00 non dichiarati non è prova da un punto di vista civilistico della negligenza dell’amministratore nella tenuta della contabilità e nella omessa denuncia di quei ricavi, che appunto sono il risultato di un accertamento che si fonda su dati meramente statistici[2].

Quanto all’asserita mancata collaborazione da parte del dott. YYY, dalla documentazione depositata agli atti risulta – al contrario – che lo stesso ha sempre provveduto a fornire in quel frangente e fino a che è rimasto in carica quale liquidatore la documentazione richiestagli (cfr. pag. 3 del “Processo verbale acquisizione documenti” del 29.05.2013 allegato sub doc. 11 attoreo e pag. 6 del

“Processo verbale di constatazione” del 19.06.2013 allegato sub doc. 11 attoreo).

Né può essere ritenuta fondata la prospettazione dell’attrice in base alla quale l’”estrema malafede nella gestione societaria” del dott. YYY avrebbe comportato “quantomeno la sparizione della […] somma di € 24.897,00, ufficialmente incassata nel 2010 ma mai contabilizzata” (cfr. pag. 14 della comparsa conclusionale attorea).

Come si è detto, infatti, non si trattata di ricavi certi di cui vi sia la prova dell’effettivo incasso ma si ha riguardo a somme determinate in seguito ad un mero calcolo induttivo effettuato dall’Agenzia delle Entrate.

Ritiene, pertanto, il Tribunale che dagli esiti della verifica contabile effettuata dall’Agenzia delle Entrate non possono essere tratti elementi che siano idonei a costituire indizi gravi, precisi e univoci in ordine alla responsabilità del dott. YYY per aver negligentemente omesso di computare nei ricavi la somma accertata da Agenzia delle Entrate.

Alla stregua delle suddette considerazioni, le domande formulate dalla Farmacia XXX S.r.l. devono essere rigettate.

*Le spese processuali

Le spese processuali vengono regolate secondo il principio della soccombenza e quindi la società Farmacia XXX S.r.l. deve essere condannata al pagamento in favore del dott. YYY delle spese di lite, che sono liquidate secondo il DM 55/2014, considerati la non particolare complessità del processo, il valore della causa, in € 13.300,00 per onorari di avvocato, oltre spese forfettarie (15%), IVA e CPA come per legge.

P.Q.M.

Il Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di impresa B, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando nella causa civile di cui in epigrafe, respinta o assorbita ogni ulteriore o l’irragionevolezza della difformità tra la percentuale di ricarico applicata dal contribuente e la media di settore, incidente sull’attendibilità complessiva della dichiarazione contraria domanda, eccezione, istanza e deduzione, così provvede:

I) RIGETTA tutte le domande proposte da parte attrice FARMACIA XXX S.R.L. in liquidazione.

II) CONDANNA parte attrice FARMACIA XXX S.R.L. in liquidazione al pagamento delle spese di lite in favore di parte convenuta YYY spese liquidate in € 13.300,00 per compensi, oltre spese forfettarie (15%), IVA e CPA come per legge. Milano, 25 marzo 2021.

Il Giudice

Il Presidente

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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