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Codice Penale

Perdita del rapporto parentale, danno non patrimoniale

Risarcibilità della lesione del rapporto parentale, soggetti estranei al nucleo familiare, necessario situazione di convivenza.

Pubblicato il 25 January 2021 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di GROSSETO

Il Tribunale, nella persona del Giudice, dott.ssa ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 52/2021 pubblicata il 22/01/2021

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. /2017 tra:

XXX (C.F. ), YYY (C.F.), ZZZ (C.F.), KKK (C.F.), JJJ (C.F.), con l’avv. e l’avv. () elettivamente domiciliati presso il difensore giusta delega in atti;

-ATTORI- e

HHH (C.F.), con il patrocinio dell’avv. elettivamente domiciliato presso il difensore giusta delega in atti;

-CONVENUTO- nonchè

PPP già *** S.P.A. (C.F.), con il patrocinio dell’avv. elettivamente domiciliata presso il difensore giusta delega in atti;

-CONVENUTA-

Oggetto: risarcimento danni

Conclusioni: come da foglio di udienza depositato dalle parti a seguito di ordinanza del 30.09.2020 con la quale era disposta la trattazione scritta dell’udienza di precisazione delle conclusioni del 20.10.2020 ex art. 83 co 7 lett. h) DL 18/20 e specificamente:

per parte attrice “Voglia il Tribunale, ritenuta la responsabilità esclusiva di HHH nel sinistro verificatosi il 05.02.2010, condannare lo stesso in solido con il suo assicuratore PPP a risarcire agli attori, per i titoli di cui alla premessa dell’atto di citazione, i danni tutti patrimoniali e non patrimoniali subiti nella misura che risulterà provata nel corso del giudizio, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali, previa deduzione degli acconti a loro già corrisposti da PPP. Con vittoria di spese e compensi del giudizio, da distrarsi in favore del difensore che si dichiara antistatario”; per parte convenuta “Nel ribadire le istanze già formulate e nel precisare le conclusioni come nei precedenti atti difensivi, che qui si intendono integralmente riportati, la presente difesa insiste per le istanze istruttorie formulate e non accolte”;

per parte convenuta PPP “Piaccia all’Ill.mo Giudice adito, ogni contraria istanza respinta:a) in via preliminare, accertare e dichiarare la carenza di legittimazione attiva del sig. JJJ per i motivi illustrati nel paragrafo 1) della comparsa di costituzione e risposta e nei successivi scritti difensivi; b) nel merito, rigettare le domande attoree in quanto infondate in fatto ed in diritto, e, comunque, non provate; c) in subordine, nella denegata ipotesi di accoglimento delle avverse richieste, liquidare in favore degli attori i soli danni che dovessero essere dimostrati come conseguenza immediata e diretta del sinistro, tenendo in espressa considerazione l’importo di € 400.000,00 già versato dalla PPP, che dovrà essere rivalutato, maggiorato degli interessi ed imputato secondo legge, il tutto, comunque, entro i limiti del massimale previsto nella polizza;d) rigettare, comunque, le richieste di risarcimento del danno non patrimoniale iure hereditatis e del danno patrimoniale per i motivi illustrati in comparsa sub 2.b), 2.c) e 2.d) e nei successivi scritti difensivi; e) in ogni caso, dovrà essere respinta la richiesta di interessi e rivalutazione monetaria; f) con vittoria di spese e compensi di lite, oltre rimborso spese generali, CPA ed IVA ”.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato gli attori convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Grosseto, HHH e PPP S.p.A. Ass.ni per sentirli condannare, in solido tra loro, al risarcimento dei danni dagli stessi subiti, sia iure proprio, sia iure hereditario, a seguito della morte del loro congiunto ***. Esponevano che il 5.02.2010 ***, rispettivamente fratello e zio delle parti attrici, mentre stava attraversando a piedi via ***, in corrispondenza delle strisce pedonali, veniva investito dalla Fiat Panda condotta dal HHH ed assicurata PPP. Spiegavano che, a causa della condotta di guida imprudente e della velocità non adeguata tenuta dal convenuto, il loro congiunto veniva sbalzato sopra il cofano, sfondava il parabrezza e subiva gravissime lesioni, a causa delle quali decedeva il 24.09.2010, dopo una degenza ospedaliera di 231 giorni. Evidenziavano che il relativo procedimento penale era stato definito con rito abbreviato con sentenza di condanna del HHH per il reato ex art. 589 c.p. alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione oltre pene accessorie, confermata integralmente dalla Corte di Appello. Deducevano quindi che la morte dell’Innocenti era ascrivibile unicamente al HHH e chiedevano il risarcimento di tutti i danno subiti.

Si costituiva in giudizio il HHH non contestando l’an della responsabilità, ma solo il quantum, con particolare riferimento sia alla dedotta insufficienza dell’allegato rapporto parentale, con particolare riferimento al figlio della sorella del de cuius JJJ, sia in relazione alla non configurabilità nella fattispecie del danno iure hereditatis.

Si costituiva PPP, già PPP, che eccepiva la carenza di legittimazione di JJJ evidenziando non avere lo stesso un rapporto di parentela tale da dargli diritto al risarcimento del danno. Contestava quindi il quantum della pretesa risarcitoria, rilevando che le somme già versate dalla compagnia di assicurazione dovevano ritenersi ampiamente satisfattive.

La causa era istruita mediante produzione documentale, esame di testimoni.

Nelle more, entravano in vigore il D.L. n° 11 dell’8.03.2020 avente ad oggetto ‘misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID – 19’ e il D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostengo economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19) con cui veniva disposta la sospensione di tutti i termini processuali in un primo momento fino al 16.04.2020, quindi prorogato fino all’11.05.2020, con indicazione delle successive modalità alternative di trattazione tra cui la modalità scritta ex art. 83 comma 7 lett. h) D.L. 83/2020.

Veniva quindi disposta la trattazione scritta dell’udienza di precisazione delle conclusioni, disponendosi il trattenimento in decisione della causa all’esito del deposito del foglio sostitutivo della presenza in udienza, con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.

Le parti depositavano ‘foglio’ in cui precisava le conclusioni ed espressamente chiedeva che il giudice trattenesse la causa in decisione. Venivano quindi depositata la memoria ex art. 190 c.p.c. nei termini concessi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. L’an della responsabilità – Non è contestata tra le parti né la ricostruzione del sinistro, né l’an della esclusiva responsabilità del HHH per la morte di *** a seguito di investimento, accertata con sentenza penale di condanna emessa in sede di abbreviato dal Gup di Grosseto e confermata dalla Corte di Appello di Firenze.

La controversia concerne pertanto unicamente la sussistenza del diritto al risarcimento del danno e la relativa quantificazione.

2. L’eccezione di carenza di legittimazione attiva di JJJ – La compagnia di assicurazione convenuta ha eccepito la carenza di legittimazione attiva di JJJ per non avere lo stesso diritto al risarcimento del danno, non rientrando tra le categorie di parenti per le quali le tabelle milanesi quantificano il danno da morte del congiunto.

Va al riguardo osservato che la legittimazione attiva consiste nell’identificazione soggettiva tra la parte processuale che ha spiegato la domanda ed il soggetto titolare del diritto o autore della condotta dedotti in giudizio ed a cui l’attore ricollega la sua pretesa; tale verifica di coincidenza, tuttavia, va effettuata sulla base della semplice ricostruzione dei fatti prospettata dall’attore, nel senso che la legittimazione va affermata o negata in ragione della valutazione positiva o negativa sull’astratta titolarità del rapporto rappresentato dall’attore (cfr. Cass., sez. II, n. 6894/1999). Dunque, il controllo del giudice sulla sussistenza della legitimatio ad causam sotto il profilo attivo consiste nell’accertare se, in forza della prospettazione del rapporto controverso data dall’attore, il convenuto assuma la veste del soggetto che può subire la pronuncia giurisdizionale promossa dalla parte attrice. Il principio è ben sintetizzato nella pronuncia della Suprema Corte n. 1188/1995: “la legittimazione ad causam, che deve essere verificata, anche d’ufficio, sulla base di quanto affermato dall’attore nella domanda, si risolve nella titolarità del potere o del dovere (rispettivamente per la legittimazione attiva o passiva) di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, indipendentemente dalla questione dell’effettiva titolarità dal lato attivo o passivo del rapporto controverso, questione che, invece, attiene al merito”. Orbene, nel caso in esame è evidente che rispetto alla prospettazione effettuata da parte attrice, vi è coincidenza tra il diritto al risarcimento del danno avanzato dal JJJ per la morte dell’*** e la attribuita posizione di congiunto; di guisa che la legittimazione attiva va riconosciuta al JJJ, fermo restando che la verifica circa l’effettiva titolarità di quella posizione giuridica – nei termini di rapporto con il de cuius idoneo a determinare una pretesa risarcitoria per perdita del rapporto parentale – si risolve nel conseguente esame di merito.

3. Il diritto al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale – Tanto premesso, si osserva in proposito che, è ormai principio noto e consolidato in giurisprudenza quello secondo cui tra le sottovoci di danno, non dotate di autonoma valenza ma in funzione meramente descrittiva, vi sono i pregiudizi, diversi e ulteriori, che siano conseguenza della lesione di un interesse costituzionalmente protetto ed inviolabile, sempre purché sussista la gravità dell’offesa; tra quei pregiudizi riveste una posizione di preminenza, per la quale v’è un’ampia casistica, il danno arrecato alla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà familiare, la cui tutela discende dagli artt. 2, 29 e 30 della Costituzione, e fermo restando che nel caso concreto il diritto risarcitorio trova già diretto fondamento nell’art. 185 c.p.

In applicazione del condivisibile orientamento della Suprema Corte, consolidatosi dopo un’autorevole pronuncia a Sezioni Unite (cfr. Cass. S.U. 1.7.2002 n. 9556; 3.4.2008 n. 8546), ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta dunque il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell’art. 1223 cod. civ., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso; ne consegue che in tal caso il congiunto è legittimato ad agire “iure proprio” contro il responsabile.

Sulla questione secondo la pronuncia della Cassazione n. 4253 del 16.3.2012 “Il fatto illecito, costituito dalla uccisione del congiunto, dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nella perdita del rapporto parentale, allorché colpisce soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela, la cui estinzione lede il diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che caratterizza la vita familiare nucleare. Perché, invece, possa ritenersi risarcibile la lesione del rapporto parentale subita da soggetti estranei a tale ristretto nucleo familiare (quali i nonni, i nipoti, il genero, o la nuora) è necessario che sussista una situazione di convivenza, in quanto connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità delle relazioni di parentela, anche allargate, contraddistinte da reciproci legami affettivi, pratica della solidarietà e sostegno economico, solo in tal modo assumendo rilevanza giuridica il collegamento tra danneggiato primario e secondario, nonché la famiglia intesa come luogo in cui si esplica la personalità di ciascuno, ai sensi dell’art. 2 Cost.”

Tuttavia, si ritiene preferibile, in quanto più legato al dato concreto, al comune sentire ed alle peculiarità dei diversi casi della vita, l’opposto orientamento (cfr. Cass. Penale 4.6.2013 n. 29735) che ritiene che, anche in mancanza di un rapporto di convivenza, ricorre un danno non patrimoniale dei superstiti per la perdita del congiunto, purché sia dimostrata la sussistenza di un legame affettivo tra le parti, non necessariamente riconducibile ad un ristretto nucleo familiare. In particolare, la S.C. ha osservato che “non può ritenersi determinante il requisito della convivenza, poichè attribuire a tale situazione un rilievo decisivo porrebbe porre ingiustamente in secondo piano l’importanza di un legame affettivo e parentale la cui solidità e permanenza non possono ritenersi minori in presenza di circostanze diverse, che comunque consentano una concreta effettività del naturale vincolo nonno- nipote: ad esempio, una frequentazione agevole e regolare per prossimità della residenza o anche la sussistenza – del tutto conforme all’attuale società improntata alla continua telecomunicazione – di molteplici contatti telefonici o telematici. A ben guardare, anzi, è proprio la caratteristica suddetta di intenso livello di comunicazione in tempo reale che rende del tutto superflua la compresenza fisica nello stesso luogo per coltivare e consentire un reale rapporto parentale e ciò vale tanto per i nonni verso i nipoti quanto – il che è assai comune oggi, senza peraltro, significativamente, porre in dubbio o in una posizione di deminutio la risarcibilità – per i genitori verso figli che lavorano o studiano in altra città o addirittura all’estero”.

Occorre, pertanto, prescindere da presunzioni generali juris et de jure – che ontologicamente potrebbe imporre, d’altronde, solo il legislatore, entro i principi costituzionali e comunitari di tutela dei diritti dell’uomo – diversa essendo la modalità operativa dell’interprete, il quale non potrà che utilizzare quale parametro il concreto configurarsi delle relazioni affettive e parentali in ragione di peculiari condizioni soggettive e situazioni di fatto singolarmente valutabili, escludendo ogni carattere risolutivo della convivenza, che costituisce comunque un significativo elemento di valutazione in assenza del quale, tuttavia, può comunque dimostrarsi la sussistenza di un concreto pregiudizio derivante dalla perdita del congiunto.

Del resto, la condivisibile esigenza di certezza del diritto vivente nel senso di stornare pretese risarcitorie strumentali (o comunque dirette ad abusare del sistema assicurativo della responsabilità civile laddove è obbligatorio) da parte di soggetti di fatto distanti dalla rete affettiva familiare è già adeguatamente garantita da una corretta gestione della causa in sede di merito per pervenire all’accertamento del diritto risarcitorio, cioè dall’adempimento completo dell’onere probatorio da parte del soggetto che chiede risarcimento – non sussistendo alcuna praesumptio a suo favore – che deve essere oggetto di puntuale verifica.

Non appare convincente, infine, il riferimento, per giungere alla conclusione qui non condivisa, ad un concetto di “famiglia (anche di fatto) nucleare, incentrata su coniuge, genitori figli” che si assume delineato dalla Carta costituzionale. L’art. 29 Cost., stabilisce, nel primo comma, che “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, esprimendo così una configurazione dell’istituto familiare non coincidente con il genus sociologico della famiglia nucleare (insorto come storica contrapposizione all’ormai meramente storico genus della famiglia gerarchico-patriarcale), bensì quale società naturale, cioè estrinsecazione – giuridicamente concretizzata dal matrimonio, laddove i rapporti di fatto, si nota per inciso, sono evincibili dall’art. 2 Cost. – dei più essenziali e innati rapporti umani sul piano affettivo e biologico; ed infatti il matrimonio costituisce il presupposto giuridico della famiglia attraverso l’unione tra i coniugi ma crea anche evidenti vincoli tanto con i discendenti che con gli ascendenti dei coniugi stessi, circostanza della quale si ritiene possa trovarsi conferma nelle disposizioni civilistiche richiamate anche nella menzionata decisione (artt. 148, 155, 336, 348 c.c.), dove il ruolo dei nonni in esse delineato, ancorché rispetto a situazioni specifiche, li colloca con certezza entro l’ambito del nucleo familiare senza peraltro alcun riferimento alla condizione o meno di conviventi.

D’altronde, come già più sopra si rilevava, non si può non constatare – se si vuole mantenere quell’attenzione anche sociologica che dal riferimento alla famiglia nucleare pare emergere – come la convivenza assuma una minore incidenza anche nell’ambito del rapporto tra coniugi e tra questi ed i figli, che non perde certo consistenza in presenza di situazioni che traggono origine da fenomeni assai diffusi quali, ad esempio, l’emigrazione o l’allontanamento, anche per lunghi periodi, dalla comune residenza per ragioni di lavoro o di studio.

Le suddette argomentazioni si ritiene siano applicabili anche qualora sia il nipote a perdere lo zio, dovendosi, come detto, vagliare il tipo di rapporto sussistente a cui dunque parametrare la sussistenza e la quantificazione del danno derivante dalla perdita.

Nel caso di specie, non è contestato che JJJ sia il figlio della sorella del de cuius e, dalle risultanze degli esami testimoniali, è risultato che lo stesso fino all’età di circa 30 anni ha vissuto nell’abitazione insieme ai genitori ed allo zio ***. In proposito il teste ***, che ha premesso di essere amico e frequentatore della casa del de cuius, ha spiegato come il JJJ, fino a che non si era sposato ha vissuto in casa con i genitori e con lo zio ***, fratello della madre XXX. A tale proposito il teste esponeva di aver appreso dal de cuius delle gite alla ricerca di funghi fatte con il nipote JJJ, con il quale condivideva anche la passione per la bicicletta. Il medesimo testimone ha sottolineato il particolare rapporto affettivo che accomunava il defunto *** sia alle sorelle, sia al figlio della sorella XXX, JJJ. Ha sottolineato come il fratello e le sorelle con le loro famiglie si riunissero in tutte le occasioni festive ed ha spiegato di aver saputo da *** come questo si sentisse quasi quotidianamente anche con le sorelle con cui non conviveva. Analoghe circostanze sono state riferite anche dal teste ***, che spiegava di essere a conoscenza anche di gite e viaggi fatte dal de cuius insieme alle sorelle. Anche gli altri testi sentiti confermavano il profondo legame e la comunanza di vita ed interessi sussistenti tra il defunto *** e le sue sorelle, nonché con il nipote JJJ, figlio della sorella XXX, con cui aveva vissuto insieme.

Deve dunque ritenersi sussistente, per quanto detto sopra il diritto di ciascuna parte attrice ad ottenere il risarcimento del danno per la perdita del rapporto parentale con il defunto ***.

4. La quantificazione del danno iure proprio: la lesione del rapporto parentale – Non è contestato che XXX, YYY e ZZZ fossero le sorelle del de cuius, così come la deceduta ***, per la quale ultima agisce in rappresentazione la figlia ed unica erede KKK. Del pari risulta pacificamente che JJJ è figlio di XXX e quindi nipote del defunto ***.

Nella fattispecie non risulta che il nucleo familiare fosse travagliato da particolari divisioni o incomprensioni, essendo al contrario emerso dall’istruttoria il particolare legame affettivo e la frequentazione sussistente tra *** e le sorelle, con una delle quali aveva convissuto. Deve quindi presumersi (art. 2727 c.c.) che il dolore per la perdita del fratello e zio sia stato assai intenso, Alla luce delle considerazioni che precedono, tenuto conto di tutti i parametri sopra indicati, opportunamente adattando al caso di specie i criteri generali uniformemente adottati da questo Tribunale, si stima equo quantificare il danno non patrimoniale subito dalla sorella XXX, con lo stesso convivente, in euro 130.000; per ciascuna delle altre sorelle (quanto alla sorella già deceduta ***, la figlia ed unica erede KKK per rappresentazione) il danno subito per la morte del fratello può essere quantificato in euro 120.000 per ciascuna.

Per quanto concerne il nipote, la perdita dello zio, con il quale ha abitato insieme fino al momento del matrimonio, condividendo con lo stesso passioni e tempo libero fin da bambino, come emerso dalle dichiarazioni dei testimoni, può essere parametrato all’indicatore previsto nelle tabelle milanesi per la perdita nonno/nipote e, dunque, equitativamente quantificato in base alle circostanze emerse in euro 30.000.

Su tali somma, già rivalutate, debbono essere computati gli interessi maturati sulla somma rivalutata anno per anno, quale danno per il ritardato pagamento, giusta Cass. Sez. Un. 22.4.94-17.2.95 n. 1712.

5. Il danno non patrimoniale iure hereditario – Nel caso in esame risulta dalla documentazione in atti e non è peraltro stato oggetto di specifica contestazione, che a seguito del sinistro *** veniva trasportato presso l’ospedale di Grosseto dove era constatata la frattura cranica e disposto il suo urgente trasferimento presso il Policlinico universitario di Siena, ove rimaneva in prognosi riservata, sciolta solo il 2.03.2010. Il 30.03.2012 era quindi trasferito al centro regionale di riabilitazione, quindi trasferito per complicanze all’ospedale di Careggi in Firenze e poi di nuovo ritrasferito a Volterra. A seguito di un riaggravarsi delle sue condizioni era quindi ritrasferito a Grosseto, ove decedeva il 24.09.2010, dopo 231 giorni di degenza. Dagli atti del processo penale, definito con sentenza irrevocabile di condanna del convenuto HHH, emerge che non vi è stata alcuna interruzione dal punto di vista causale tra il sinistro de quo ed il successivo decesso dell’Innocenti.

Sul punto appare approdo fondamentale la pronuncia della Cassazione n° 1261 del 23.01.2014, che ha tracciato un chiaro confine tra il danno biologico terminale ed il danno morale terminale. Il primo, ricorre quando non solo la morte è causata dalle lesioni, ma tra esse e la morte intercorra un “apprezzabile lasso di tempo”; “in tal caso l’ammontare del danno biologico terminale va commisurato soltanto all’inabilità temporanea, ma ai fini della liquidazione il giudice deve tenere conto, nell’adeguare l’ammontare del danno alle circostanze del caso concreto, del fatto che pur se temporaneo tale danno è massimo nella sua entità ed intensità, tanto che la lesione alla salute è così elevata da non essere suscettibile di recupero ed esitare nella morte), e “per il tempo di permanenza in vita” (v. Cass., 16/5/2003, n. 7632), e a considerare il diritto di credito al relativo risarcimento trasmissibile iute hereditatis (v. Cass., l/2/2003, n. 18305; Cass., 16/6/2003, in 9620; Cass., 14/3/2003, n. 3728; Cass., 2/4/2001, n. 4783; Cass., 10/2/1999, n. 1131; Cass. 29/9/1995, n. 10271). Il danno biologico terminale, quale pregiudizio della salute che pur se temporaneo è massimo nella sua entità ed intensità (v. Cass., 23/2/2004, n. 3549) in quanto conduce a morte un soggetto in un sia pure limitato ma apprezzabile lasso di tempo (v. Cass., 23/2/2005, n. 3766), si è ravvisato come “sempre esistente”, per effetto della “percezione”, “anche non cosciente”, della gravissima lesione dell’integrità personale della vittima nella fase terminale della sua vita (v. Cass., 28/8/2007, n. 18163)”.

E’ stata esclusa la sussistenza del danno biologico laddove sia risultato non apprezzabile, ai fini risarcitori, il deterioramento della qualità della vita a cagione del pregiudizio alla salute. Si è cioè ritenuto che in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte la sofferenza non sia suscettibile di degenerare in danno biologico.

Il secondo è invece correlato alla sofferenza provata dalla vittima nel consapevolmente avvertire l’ineluttabile approssimarsi della propria fine.

Le Sezioni Unite del 2008 hanno ammesso la risarcibilità della “sofferenza psichica, di massima intensità anche se di durata contenuta, nel caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo”, quale “danno morale inteso nella sua nuova più ampia accezione”, altrimenti indicato come danno da lucida agonia o catastrofale o catastrofico (cfr. Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26772; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26773).

Pur continuando a qualificarsi a volte la lucida percezione dell’approssimarsi della propria fine in termini di danno biologico di natura psichica (cfr. Cass., 18/1/2011, n. 1072. V. altresì Cass., 13/1/2009, n. 458, di conferma della sentenza impugnata, che aveva qualificato la sofferenza della vittima come danno morale, e non già come danno biologico terminale, in ragione della ravvisata inidoneità dell’intervallo di tempo di tre giorni tra il sinistro e la morte ad integrare gli estremi di quest’ultimo), tale ricostruzione è stata prevalentemente confermata dalle Sezioni semplici della Corte Suprema di Cassazione, che considera catastrofale il danno non patrimoniale conseguente alla sofferenza patita dalla persona sopravvissuta per un lasso di tempo anche minimo, purché apprezzabile, in condizioni di lucidità tali da consentirle di percepire la gravità della propria condizione e di soffrirne (cfr. Cass., 21/3/2013, n. 7126).

Fatta tale premessa in diritto, nel caso in esame i testimoni hanno confermato che durante le molteplici visite durante il ricovero, l’*** – la gravità delle cui condizioni emerge chiaramente dalla documentazione in atti – mostrava commozione e piacere nel vedere amici e parenti. In particolare il teste *** ha sul punto specificato “io sono andato a visitarlo a Volterra e lì per lì riconobbe me ed un altro amico, mia moglie ed XXX. Ho avuto la sensazione che ci avesse riconosciuto anche se evidentemente non stava bene. L’ho visto dalle espressioni che faceva”. Il teste *** ha in proposito riferito “tutte le volte che accompagnavo loro come ho appena detto andavo anche io a trovare ***. Io ricordo in particolare che quando gli parlavo delle partite di calcio di cui eravamo tifosi lui mi guardava e sorrideva. Quando lo salutavo per uscire mi seguiva con lo sguardo fino alla porta quando scomparivo”. Anche la teste *** ha confermato che l’Innocenti durante la degenza mostrava commozione e piacere di fronte alle visite di amici e parenti, specificando “si rendeva conto che c’erano persone. Ricordo che girava la testa e muoveva gli occhi”.

Dunque, nel caso di specie, considerato il lungo lasso di tempo di sopravvivenza dopo il sinistro si deve senz’altro riconoscere il danno biologico terminale da commisurare, come indica la giurisprudenza di legittimità, all’inabilità temporanea nel suo importo massimo, avendo le lesioni infatti portato alla morte. Dunque tale danno, tenendo conto del valore massimo di ogni giorno di invalidità totale temporanea (euro 98 aumentato del 50% per ogni giorno) ammonta a complessive euro 33.957,00.

La circostanza, emersa in sede di testimonianze, che l’*** durante tale lunga degenza, sia rimasto reattivo e consapevole di quello che gli stava accadendo, seppure gravemente menomato, fa ritenere che lo stesso si sia reso conto non solo della gravità della sua condizione, ma altresì dell’approssimarsi della sua fine, con conseguente risarcibilità anche del danno morale c.d. da lucida agonia o catastrofale.

Tale danno, che non può che essere determinato in via equitativa, nel caso di specie dev’essere quantificato nella somma di euro 40.000.

Tale credito si è trasferito, in pari misura, alle tre sorelle del de cuius ed alla figlia della sorella già deceduta KKK che vantano, quindi, un credito a tale titolo di euro 10.000,00 ciascuna.

6. Il danno patrimoniale – Il danno richiesto dall’attrice Innocenti XXX per il contributo economico ricevuto da fratello deceduto non può essere riconosciuto. Le prove testimoniali, rimaste sul punto piuttosto generiche, non hanno infatti permesso di ritenere adeguatamente provato che XXX ricevesse dal fratello una somma assimilabile ad un incremento patrimoniale per la stessa, apparendo piuttosto che il de cuius versasse alla sorella con cui conviveva il contributo relativo alle spese proprie nonché alle necessità comuni della casa. Nè contenuto patrimoniale può essere attribuito alla fornitura di prodotti dell’orto dallo stesso coltivati, aspetto piuttosto assorbito nel danno morale conseguente al venir meno del congiunto e quindi di tutto ciò che lo stesso significava nella vita delle persone che gli vivevano accanto, nonché di tutto quello che faceva per rendere la loro esistenza migliore (non a caso, infatti tutti questi aspetti, espressione della presenza del de cuius, legati alla convivenza della sorella XXX con il fratello, hanno portato ad una quantificazione maggiore del danno da perdita parentale dalla stessa subito, rispetto a quello delle altre sorelle).

Del pari non può essere ritenuto sostenuto da alcuna adeguata prova il richiesto danno patrimoniale corrispondente alle spese di viaggio per andare a visitare l’Innocenti mentre si trovava degente nei vari ospedali in cui è stato ricoverato dopo il sinistro. Infatti dalle testimonianze è emerso che le attrici erano accompagnate da parenti e amici, dunque senza che possa essere in proposito quantificata una spesa e dunque un danno patrimoniale.

Neppure risultano adeguatamente documentate le spese per badanti e infermiere durante il periodo del ricovero.

Quanto alle spese sostenute dalle attrici nell’ambito del processo penale, le stesse non avendo natura stragiudiziale e non ricorrendo la peculiare fattispecie della definizione con c.d. patteggiamento, le stesse ineriscono la sentenza penale e le parti processuali ivi presenti.

Alle attrici Innocenti XXX, YYY, ZZZ e KKK per rappresentazione di Innocenti Velleda, spetta invece, in pari misura tra loro, la refusione delle spese funerarie per il fratello, come documentate in atti e non oggetto di contestazione, per euro 8.200,00.

Trattandosi di debito di valore, tale somma dev’essere rivalutata tenendo conto della svalutazione intervenuta dalla data degli esborsi ad oggi e sulla somma mediamente rivalutata debbono computarsi gli interessi legali.

7. Il computo del danno alla luce degli acconti già versati – Alla luce di quanto detto, a Innocenti XXX spetta un risarcimento del danno pari complessivamente ad euro 150.539,25; a YYY, ZZZ e KKK spetta, a ciascuna, il risarcimento del danno di euro 140.539,25; a JJJ spetta il risarcimento del danno di euro 30.000.

Considerato che risulta pacificamente che l’assicurazione convenuta ha, in vari momenti, corrisposto a Innocenti XXX, ZZZ, YYY e KKK (quest’ultima in rappresentazione della sorella deceduta del de cuius ***) l’importo di euro 100.000 ciascuna, tali somme vanno decurtate dal credito come sopra quantificato (per ogni attore in ragione della parte percepita). Dunque, detratte le suddette somme, le parti convenute devono essere condannate, in solido tra loro, a corrispondere a Innocenti XXX L’importo di euro 50.539,25, a YYY, ZZZ e KKK l’importo di euro 40.539,25 per ciascuna ed a JJJ l’importo di euro 30.000. Tutte con gli interessi come sopra specificati, tenendo conto nel relativo computo delle somme anteriormente versate ed accettate come acconti. In particolare, onde rendere omogenei i valori, si dovrà determinare a quanto ammontasse il credito dei suddetti danneggiati alla data del pagamento, comprensivo di interessi e rivalutazione maturati sino a quel momento e, una volta sottratto l’importo del pagamento, sul residuo credito dovranno nuovamente computarsi gli accessori.

8. La rivalsa nei confronti dell’assicurazione – Parte convenuta HHH ha in subordine spiegato, per l’ipotesi di sua condanna, domanda di manleva nei confronti della compagnia di assicurazione (già convenuta dalle parti attrici in solido).

Non avendo PPP contestato la sussistenza della copertura assicurativa da circolazione stradale, sussistono tutti i presupposti per ritenere il diritto del HHH di essere manlevato da PPP con riferimento a quanto sia condannato a corrispondere alle odierne attrici, ovviamente nei limiti di polizza e tenuto conto delle clausole contrattuali ed in particolare del massimale, da considerarsi unitariamente per singolo sinistro (quindi unico da suddividere tra tutti i soggetti da risarcire),

9. Spese di lite – Le spese di lite seguono la soccombenza delle parti convenute e sono liquidate come in dispositivo in base al DM 55/14 tenendo conto del quantum decisum. Con distrazione in favore del procuratore dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta tra le parti come in epigrafe emarginate, ogni diversa eccezione e deduzione disattesa e respinta, così provvede:

– condanna le parti convenute, in solido tra loro a corrispondere a Innocenti XXX l’importo di euro 50.539,25, a YYY, ZZZ, KKK l’importo di euro 40.539,25 per ciascuna, a JJJ l’importo di euro 30.000, per i titoli e con gli interessi di cui in parte motiva;

– condanna PPP a manlevare il HHH di quanto questo è stato condannato a corrispondere alle attrici a titolo di risarcimento danni e refusione spese di lite, nei limiti di massimale e condizioni di polizza, come specificato in parte motiva;

– rigetta nel resto;

– condanna le parti convenute, in solido tra loro a rifondere alle parti attrici le spese di lite che si liquidano in euro 13.400,00 per compenso professionale, euro 1.530,96 per spese, oltre rimb. forf., IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore dei procuratori dichiaratisi antistatari.

 Così deciso in Grosseto, il 22.01.2021

Il Giudice

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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