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Appello, richiamo agli scritti difensivi di primo grado

Generico richiamo agli scritti difensivi di primo grado, onere di specifica riproposizione in appello di quelle domande, a pena di rinuncia alle stesse.

Pubblicato il 26 October 2020 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO di ROMA

Sezione controversie lavoro, previdenza e assistenza obbligatorie La Corte composta dai signori magistrati:

All’udienza del 16 ottobre 2020 nella causa civile in grado di appello iscritta al n. R.G. dell’anno 2019, vertente

tra

INPS – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – , in persona del legale rappresentante pro tempore, con l’avv., come da procura in atti

appellante

e

XXX, YYY e ZZZ nella loro qualità di eredi di ***, tutti rappresentati e difesi dall’avv., giusta procura in atti,

appellati

ha pronunziato la presente

SENTENZA n. 2156/2020 pubbl. il 23/10/2020

Oggetto: appello avverso la sentenza del Tribunale di Rieti n. del 12/3/2019.

Conclusioni delle parti: come da atti introduttivi e da note conclusionali.

Fatto e diritto.

L’Inps ha impugnato la sentenza di cui all’oggetto con la quale il tribunale di Rieti, in accoglimento della opposizione proposta da ***, aveva annullato l’avviso di addebito n., notificato il 16 gennaio 2017 ed avente ad oggetto l’intimazione di pagare € 4.406,85 a titolo di contributi evasi, sanzioni ed accessori.

Il Tribunale ha accolto l’opposizione avendo ritenuto maturata la prescrizione estintiva, il cui termine è stato fatto decorrere dalla data di scadenza del termine di pagamento del saldo Irpef riferito ai redditi maturati nell’anno precedente ed ha ritenuto insussistente il dolo dell’assicurato per non avere compilato il quadro RR della dichiarazione dei redditi.

Col primo motivo l’Inps ha censurato la sentenza impugnata per avere ritenuto che la prescrizione decorresse dalla data di scadenza del termine per pagare il saldo Irpef relativo ai redditi maturati nell’anno precedente e non viceversa dalla data di presentazione della relativa dichiarazione. Col secondo motivo l’Inps ha lamentato l’erroneità della sentenza impugnata per avere ritenuto il giudice insussistente il dolo dell’assicurato, ravvisabile nella mancata compilazione del quadro RR.

Ha concluso chiedendo, in riforma della sentenza impugnata, il rigetto dell’opposizione, con conferma dell’avviso di addebito e vittoria di spese.

Si sono costituiti gli odierni appellati, in sostituzione dell’originale opponente, deceduto in corso di causa, i quali hanno resistito all’appello chiedendone il rigetto sulla base delle medesime motivazioni indicate nella sentenza impugnata.

Autorizzata la trattazione scritta dall’art. 221, comma 4, del d.l. N. 34/2020, depositate note conclusionali autorizzate, la causa è stata decisa con separato dispositivo. Il primo motivo di appello è infondato. Difatti la S.C., con la sentenza n. del 31/10/2018 (il cui indirizzo è stato confermato dalla più recente ordinanza n. 19.403 /2019), ha affermato che <<In materia previdenziale, la prescrizione dei contributi dovuti alla gestione separata decorre dal momento in cui scadono i termini per il pagamento dei predetti contributi e non dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi ad opera del titolare della posizione assicurativa, in quanto la dichiarazione in questione, quale esternazione di scienza, non costituisce presupposto del credito contributivo>>. Ciò perché il fatto costitutivo dell’obbligazione contributiva è costituito dall’avvenuta produzione, da parte del lavoratore autonomo, di un determinato reddito (Cass. 29 maggio 2017, n. 13463).

Deve però aggiungersi che, pur sorgendo il credito sulla base della produzione del reddito, la decorrenza del termine di prescrizione dipende dall’ulteriore momento in cui la corrispondente contribuzione è dovuta e quindi dal momento in cui scadono i termini di pagamento di essa, in armonia del resto con il principio generale in ambito di assicurazioni obbligatorie secondo cui la prescrizione corre appunto dal momento in cui «in cui i singoli contributi dovevano essere versati» (art. 55 r.d.l. 1827/1935).

In proposito vale la regola, fissata dall’art. 18, co. 4, d Igs. 9 luglio 1997, n. 241, secondo cui «i versamenti a saldo e in acconto dei contributi dovuti agli enti previdenziali da titolari di posizione assicurativa in una delle gestioni amministrate da enti previdenziali sono effettuati entro gli stessi termini previsti per il versamento delle somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi».

La dichiarazione dei redditi, quale dichiarazione di scienza (tra le molte, Cass. 4 febbraio 2011, n. 2725), non è presupposto del credito contributivo, così come non lo è rispetto all’obbligazione tributaria, in quanto il fatto costitutivo resta, come detto, la produzione di redditi rilevante ai sensi di legge.

Semmai ad essa, quale atto giuridico successivo all’esigibilità del credito, può riconoscersi effetto interruttivo della prescrizione, se ed in quanto dalla medesima consti la ricognizione dell’esistenza del debito contributivo (per i principi, pur se in diversa fattispecie contributiva, v. Cass. 22 febbraio 2012, n. 2620; Cass. 12 maggio 2004, n. 9054).

Pertanto tra il momento di esigibilità del credito ed il successivo momento in cui intervenga la dichiarazione dei redditi, quella che si determina è una difficoltà di mero fatto rispetto all’accertamento dei diritti contributivi.

Vale dunque la consolidata regola secondo cui «l’impossibilità di far valere il diritto, alla quale l’art. 2935 c. c. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l’esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 c.c. prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione, tra le quali, salva l’ipotesi di dolo prevista dal n. 8 del citato articolo, non rientra l’ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto, il dubbio soggettivo sull’esistenza di tale diritto, né il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento» (Cass. 26 maggio 2015, n. 10828; Cass. 6 ottobre 2014, n. 21026).

Rispetto al caso di specie non può quindi essere condivisa l’opinione dell’ appellante secondo cui il termine avrebbe avuto corso solo dal momento della presentazione delle dichiarazione dei redditi.

È viceversa fondato il secondo motivo di appello.

Pronunciandosi su analoga questione la S.C., con ordinanza n. 6677 del 7/3/2019, cui questa Corte si adegua in ossequio al principio di nomofilachia, ha affermato che <<In tema di sospensione della prescrizione, costituisce doloso occultamento del debito contributivo verso l’ente previdenziale, ai fini dell’applicabilità dell’art. 2941, n. 8 c.c., la condotta del professionista che ometta di compilare la dichiarazione dei redditi nella parte relativa ai proventi della propria attività, utile al calcolo dei contributi per la gestione separata (quadro RR del modello)>>.

Occorre premettere che è pacifico tra le parti che il *** non abbia compilato il riquadro RR della dichiarazione dei redditi dell’anno 2010, presentato il 7 settembre 2010

Muovendo dunque dalla descritta premessa fattuale, deve essere applicato il principio più volte espresso dalla Corte di Cassazione, ossia che l’operatività della causa di sospensione della prescrizione di cui all’art. 2941, n.8 cod. civ. («tra il debitore che ha dolosamente occultato l’esistenza del debito e il creditore, finché il dolo non sia stato scoperto») ricorre quando sia posta in essere, dal debitore, una condotta tale da comportare, per il creditore, una vera e propria impossibilità di agire, e non una mera difficoltà di accertamento del credito, e dunque quando sia posto in essere dal debitore un comportamento intenzionalmente diretto ad occultare, al creditore, l’esistenza dell’obbligazione (cfr., tra le tante, Cass. 18 ottobre 2018, n.26269; Cass. 11 settembre 2018, n. 22072; Cass. 7 marzo 2012, n.3584).

Nella fattispecie la compilazione del quadro RR della dichiarazione dei redditi costituiva l’unico ed esclusivo documento che avrebbe consentito all’INPS di verificare la produzione di un reddito da lavoro autonomo, da parte del professionista, non assoggettato ad altre obbligazioni contributive, e suscettibile dell’obbligo di iscrizione alla gestione separata e dell’obbligazione contributiva in proporzione matematica predeterminata rispetto al reddito prodotto.

La omessa compilazione del riquadro “RR” del modello di dichiarazione IRPEF integra gli estremi di una condotta dolosa della professionista, volta all’occultamento del credito; inoltre l’omessa dichiarazione dei relativi proventi costituisce violazione dell’art.1, d.lgs. n.462 del 1997 e art.10, d.lgs. n.241 del 1997.

Pertanto si versa nella fattispecie prevista dall’art. 2941, n. 8 c.c., ossia del doloso occultamento da parte del debitore dell’esistenza del debito, cosicché il decorso del termine di prescrizione rimane sospeso fino a quando il dolo non sia stato scoperto.

Ne consegue quindi che il termine di prescrizione non è iniziato a decorrere neppure al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi, ossia al 7 settembre 2010. Ma anche a voler ritenere che a causa del dolo del debitore il termine inizia a decorrere dalla data di presentazione della dichiarazione, l’Inps ha adeguatamente interrotto la prescrizione con la comunicazione del 30 giugno 2015 (all. n. 3 alla produzione di primo grado) quindi entro il quinquennio previsto dalla legge.

Quanto al merito, parte appellata si è limitata ad un generico richiamo al ricorso introduttivo: Nel merito si riporta a tutto quanto contenuto del ricorso di primo grado. Nelle conclusioni gli appellati hanno formulato le seguenti conclusioni: <<Piaccia alla Ecc.ma Corte di Appello di Roma, Sezione Lavoro e Previdenza, rigettare il Ricorso in Appello così come proposto perché infondato in fatto ed in diritto; chiedendo la conferma della Sentenza 93/2019 emessa dal Tribunale di Rieti, Sezione Lavoro.

Nel merito, chiede che vengano respinte tutte le eccezioni e considerazioni poste in essere dalla parte appellante, ritenendo, comunque, non dovuta l’iscrizione d’Ufficio alla gestione Separata INPS. Vittoria di spese, competenze ed onorario oltre agli accessori di Legge>>.

La S.C. con ordinanza n. 20520 del 3/08/2018, ha affermato che il generico richiamo al contenuto degli scritti difensivi di primo grado non è idoneo a manifestare la volontà della parte di sottoporre nuovamente al giudice del gravame tutte le domande non accolte in primo grado e, quindi, a ritenere assolto l’onere previsto dall’art. 346 c.p.c. di specifica riproposizione in appello di quelle domande, a pena di rinuncia alle stesse.

Nello stesso senso le SS.UU. della S.C., con la sentenza n. 7940 del 21.3.2019, hanno affermato:

Va premesso che per consolidato orientamento di questa Corte, la disciplina dettata dall’art. 346 c.p.c. fa sì che in appello viga un effetto devolutivo limitato e non automatico, con la conseguenza che la mancata riproposizione delle domande o delle eccezioni respinte o ritenute assorbite comporta che in capo alle parti si verifichi una vera e propria decadenza, con formazione di giudicato implicito sul punto. Del resto detta norma costituisce applicazione rigorosa del principio della domanda, di cui all’art. 112 c.p.c., e la rinuncia di cui parla la disposizione opera solo all’interno del processo, ma non chiarisce con quale modalità e in quali tempi debba avvenire la riproposizione. L’onere della riproposizione posto dall’art. 346 c.p.c. di certo non opera per le questioni rilevabili d’ufficio dal giudice in sede di gravame, ove non oggetto di esame e decisione in primo grado.

Quanto alla riproposizione, per orientamento consolidato di questa Corte, la stessa può avvenire in qualsiasi forma idonea ad evidenziare in modo non equivoco la chiara e precisa volontà della parte di sottoporre la questione alla decisione del giudice di appello (Cass. n. 12345 del 2003), sebbene non sia sufficiente, a tal fine, il richiamo alle conclusioni e deduzioni operate nel giudizio di primo grado, dovendo la riproposizione avvenire in maniera specifica (Cass. n. 16360 del 2004). Proprio in detto ordine di ricostruzione della disciplina del giudizio di appello questo giudice della nomofilachia ha identificato con chiarezza la parte che ha l’onere di proporre l’appello incidentale e quella che invece può limitarsi a riproporre le domande e le eccezioni ai sensi dell’art. 346 c.p.c.: la parte totalmente vittoriosa in primo grado non deve, perché non ne ha l’interesse, proporre appello incidentale e può riproporre le domande (anche riconvenzionali) o le eccezioni non accolte o non esaminate perché assorbite nella sentenza di primo grado nella comparsa di costituzione (Cass. Sez. Un. n. 12067 del 2007; Cass. n. 24989 del 2013; Cass. n. 13411 del 2014). Per domanda subordinata che può essere riproposta ai sensi dell’art. 346 c.p.c. va intesa anche la chiamata in garanzia, svolta in primo grado dal convenuto totalmente vittorioso nel merito, visto il rigetto della domanda dell’attore (Cass. Sez. Un. n. 7700 del 2016).

Gli appellati non hanno formulato alcuno specifico richiamo alle difese ed eccezioni contenute nel ricorso in opposizione, con la conseguenza che nella fattispecie non può essere invocato l’art. 346 c.p.c. e le relative domande di merito debbono intendersi come rinunciate.

L’appello pertanto deve essere accolto, con la riforma della sentenza impugnata e rigetto dell’opposizione presentata da *** e proseguita dai suoi eredi.

Le spese del proprio grado seguono la soccombenza. P.Q.M.

In accoglimento dell’appello, in riforma della sentenza appellata, respinge l’ opposizione proposta da *** con ricorso del 27/2/2017 e condanna gli appellati, nella loro qualità di eredi ed in solido tra loro, al pagamento delle spese del doppio grado, liquidate, quanto al primo, in € 844,00 e, quanto al secondo, in complessivi € 1.600,00, oltre a spese generali al 15%, iva e cpa se dovute, oltre al rimborso di ulteriori € 64,50 per spese esenti.

Roma, 16 ottobre 2020.

Il Consigliere est.

Il Presidente

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