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Scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione

Cassa integrazione, comunicazione alle organizzazioni sindacali dei criteri specifici di individuazione dei lavoratori che debbono essere sospesi.

Pubblicato il 13 July 2019 in Diritto del Lavoro

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI BARI
SEZIONE LAVORO

Il Tribunale di BARI, in persona del dott. in funzione di giudice del lavoro, all’udienza del 11.7.2019 ha pronunziato la seguente:

SENTENZA n. 3267/2019 pubblicata il 11/07/2019

nella causa iscritta al n. Ruolo Gen. Affari Lavoro e Previdenza anno 2014

tra

XXX, rappresentato e difeso in virtù di mandato a margine del ricorso introduttivo dall’avv.

RICORRENTE

e

YYY s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti, giusta procura a margine della memoria difensiva

RESISTENTE

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 14.11.2014, l’istante di cui in epigrafe ha contestato la legittimità della procedura di collocazione in cassa di integrazione guadagni deducendo in prima battuta l’inosservanza dell’obbligo di comunicazione ai sindacati dei criteri di scelta utilizzati al fine di individuare i lavoratori interessati dal provvedimento.

In particolare, l’instante osserva che nella specie la società non ha mai fornito alle organizzazioni sindacali l’elenco dei lavoratori interessati alla richiesta di CIGS, né tanto meno i criteri di scelta dei lavoratori medesimi. Egli deduce che in tutti gli accordi sindacali sottoscritti dalla società convenuta non risultano specificati i criteri da adottare per l’individuazione dei lavoratori da sospendere e che, in ogni caso, la società non ha rispettato il criterio della rotazione.

Ritualmente notificato l’atto introduttivo, si costituiva la resistente contestando, con articolate argomentazioni in fatto ed in diritto, la domanda e concludevano per il rigetto della stessa.

All’udienza odierna la causa veniva decisa.

Motivazione Il ricorso deve essere accolto.

Com’è noto, la legge 23 luglio 1991, n. 223, prevede che, dopo l’accertamento dello stato di crisi e l’approvazione dei programmi di superamento della stessa, ed all’esito di un’articolata procedura, il Ministero del Lavoro con proprio decreto conceda il trattamento straordinario di integrazione salariale. Il datore di lavoro deve individuare i lavoratori da collocare in CIGS adottando meccanismi di rotazione tra i dipendenti che svolgono le stesse mansioni e sono occupati nell’unità produttiva interessata.

I “criteri di individuazione dei lavoratori” e “le modalità della rotazione” sono oggetto di consultazione sindacale, per cui devono formare oggetto di comunicazione ai sindacati. L’art. 1, comma 7, della legge n. 223 del 1991, infatti, impone la loro comunicazione alle organizzazioni sindacali e l’esame congiunto ai sensi dell’art. 5 della legge n. 164 del 1975. Il successivo comma 8 prevede altresì che qualora il datore, per ragioni di carattere tecnico-organizzativo connesse al mantenimento dei normali livelli di efficienza, non intenda attuare meccanismi di rotazione, deve indicarne i motivi nel programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale. Tuttavia il Ministro del lavoro, pur approvando il programma e concedendo la cassa integrazione, può ritenere non giustificata la mancata adozione della rotazione e promuovere un incontro tra le parti sociali sul punto. Ove non si pervenga ad un accordo, il Ministro stesso stabilisce l’adozione di meccanismi di rotazione sulla base delle proposte formulate dalle parti stesse.

Su tale assetto normativo è intervenuto il d.P.R. 10 giugno 2000, n. 218 («Regolamento recante norme per la semplificazione del procedimento per la concessione del trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria e di integrazione salariale a seguito della stipula di contratti di solidarietà»). L’art. 2 del citato d.P.R. disciplina analiticamente l’esame congiunto della situazione aziendale. Esso tra l’altro prevede che oggetto dell’esame congiunto sia il programma che l’impresa intende attuare, comprensivo della durata e del numero dei lavoratori interessati alla sospensione, nonché delle misure previste per la gestione di eventuali eccedenze di personale, i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e le modalità della rotazione tra i lavoratori occupati nelle unità produttive interessate dalla sospensione. L’impresa è altresì tenuta ad indicare le ragioni tecnico-organizzative della mancata adozione di meccanismi di rotazione (v. in particolare il comma 5 dell’art. 2 cit.).

La giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato che la disciplina del d.P.R. n. 218 del 2000 non abroga la legge n. 223 del 1991 e lascia, quindi, intatti gli obblighi di comunicazione stabiliti dall’art. 1 di quest’ultima. Si è in particolare esclusa ogni incompatibilità tra la normativa regolamentare introdotta con il d.P.R. n. 218 cit. e le disposizioni della legge n. 223, giacché la disciplina regolamentare, che si limita a imporre all’imprenditore che intenda chiedere l’intervento straordinario di integrazione salariale l’obbligo di dare tempestiva comunicazione alle organizzazioni sindacali, attiene unicamente alla fase amministrativa di concessione dell’integrazione stessa, ma nulla dice sul contenuto concreto della comunicazione, né detta alcuna disciplina in ordine ai criteri di scelta. Essa, pertanto, non ha in alcun modo inciso sugli obblighi di rilevanza collettiva di cui all’art. 1, commi 7 e 8, della legge n. 223 del 1991. Si è altresì escluso che la normativa regolamentare abbia spostato l’informazione circa i criteri di scelta e le modalità della rotazione dal momento iniziale della comunicazione datoriale di avvio della procedura di integrazione salariale a quello, immediatamente successivo, dell’esame congiunto. Così ragionando, difatti, l’art. 2 del d.P.R. n. 218 del 2000 sarebbe estraneo all’esigenza di semplificazione del procedimento amministrativo e avrebbe come conseguenza solo l’alleggerimento degli oneri della parte datoriale con la compressione dei diritti d’informazione spettanti al sindacato (v. in questo senso Cass. sez. VI-L ord. 26587/11, che ha affermato detto principio a norma dell’art. 360bis, primo comma, cod. proc. civ., cui ha fatto seguito Cass. 193/16; in senso conforme v. anche tra le tante Cass. 28464/08, 13240/09, 12056/11 e 18628/13).

Questo orientamento è stato peraltro ribadito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 10844 del 04/05/2017, emessa nell’ambito di una controversia promossa nei confronti dell’odierna resistente in relazione ad una fattispecie che – da quanto è possibile evincere dalla lettura della pronuncia in questione – appare perfettamente sovrapponibile alla presente.

In linea con il citato indirizzo deve dunque ribadirsi che per la scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione l’art. 1, comma 7, della legge n. 223 del 1991, continua a prescrivere che il datore di lavoro comunichi alle organizzazioni sindacali i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere. Tale disposizione ha infatti lo scopo di tutelare, nella gestione della cassa integrazione, i diritti dei singoli lavoratori e le prerogative delle organizzazioni sindacali anche dopo l’entrata in vigore del d.P.R. n. 218 del 2000. La disciplina introdotta da tale decreto, in sostanza, non incide con effetto abrogativo o modificativo sulle suddette disposizioni legislative, ma è volta unicamente a regolamentare in modo diverso il procedimento amministrativo, di rilevanza pubblica, di concessione dell’integrazione salariale.

La Corte di Cassazione ha altresì affermato – con orientamento che, anche in questo caso, può definirsi costante – che in caso di intervento straordinario di integrazione salariale per l’attuazione di un programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale che implichi una temporanea eccedenza di personale, il provvedimento di sospensione dall’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro, sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione sia nel caso contrario, ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell’esame congiunto, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che debbono essere sospesi, così da permettere la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri stessi, in base al combinato disposto degli artt. 1, comma 7, della legge n. 223 del 1991, e 5, commi 4 e 5, della legge n. 164 del 1975. Tale illegittimità può essere fatta valere dai lavoratori interessati davanti al giudice ordinario, in via incidentale, per ottenere il pagamento della retribuzione piena e non integrata (v. ex multis Cass. 26587/11, che ha affermato il riportato principio affermato ai sensi dell’art. 360bis, primo comma, cod. proc. civ.; in senso conforme v. anche Cass. 13290/09).

In linea con il suddetto principio è stato precisato che:

a) per l’attuazione della finalità perseguita dal legislatore, la specificità dei criteri di scelta, che si possono definire generali in quanto rivolti ad una collettività di lavoratori, consiste nella idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri (Cass. 7720/04; in tal senso, v. altresì Cass. 12719/06 e 11660/06);

b) il provvedimento di sospensione dell’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro (sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione, sia in caso contrario) ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell’esame congiunto, ovvero di concordare con le stesse, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che devono essere sospesi, ed ai quali criteri la scelta dei lavoratori deve poi effettivamente corrispondere (v. Cass. 28464/08);

c) ai fini della legittimità della sospensione della retribuzione per i lavoratori collocati in cassa integrazione guadagni straordinaria, l’azienda è tenuta a comunicare la individuazione dei lavoratori da sospendere e i motivi per i quali non vengono adottati i meccanismi di rotazione.

La Corte ha inoltre statuito che la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione salariale non può essere generica in ordine ai criteri in base ai quali pervenire all’individuazione dei dipendenti interessati alla sospensione e all’adozione di meccanismi di rotazione o di criteri specifici alternativi. La sua assoluta genericità renda impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, sicché essa viola l’obbligo di comunicazione previsto dall’art. 1, comma 7, della legge n. 223/1991. Tale violazione, peraltro, non può ritenersi sanata dall’effettività del confronto con le organizzazioni sindacali, trovandosi queste ultime a dover interloquire sul tema senza essere a conoscenza del contenuto specifico dei dati da trattare (v. sul punto Cass. 7459/12, che ha ritenuto l’illegittimità dei criteri di scelta e di rotazione dei lavoratori operate secondo le “esigenze tecniche, organizzative e produttive”, non essendo consentito che l’individuazione dei singoli destinatari dei provvedimenti datoriali venga lasciata all’iniziativa ed al mero potere discrezionale dell’imprenditore, in quanto ciò pregiudicherebbe l’interesse dei lavoratori ad una gestione trasparente ed affidabile della mobilità e della riduzione del personale; per l’affermazione del medesimo principio v. anche Cass. 11254/10 e 4807/12).

Applicando i riferiti principi al caso in esame, dalla documentazione in atti risulta che la società resistente ha adottato nei confronti dei lavoratori una serie di provvedimenti di sospensione del rapporto lavorativo per cassa integrazione straordinaria sulla base degli accordi sindacali allegati del 9.6.2005, 12.6.2006, 17.6.2008, del 16.6.2009, 11.10.2010, 22.9.2011 e 10.10.2013.

I criteri adottati negli accordi sindacali citati non sono affatto specifici e, comunque, non sono idonei a consentire una selezione obiettiva e verificabile del personale da sospendere in CIGS.

Nel primo accordo sindacale (sottoscritto in data 9.6.2005 presso il Ministero del Lavoro) le parti sociali precisarono che società «condivide la opportunità della più ampia rotazione possibile fatti salvi gli obiettivi di recupero di produttività a base del piano, pertanto il personale da collocare fisso in cassa integrazione a zero ore sarà limitato ad una forbice tra i 270-300 addetti».

Nel secondo accordo (siglato il 12.6.2006), preannunciando la richiesta di CIGS per ristrutturazione per 24 mesi a decorrere dal 16 giugno 2006 per un numero massimo di 1.000 lavoratori, con riferimento alle modalità di attuazione della CIGS è contenuta la seguente specificazione: «… con riferimento alle modalità realizzative del Piano e di attuazione della CIGS, la YYY s.p.a. … provvederà a … attuare la rotazione dei lavoratori in CIGS ad eccezione di quelle posizioni non fungibili per ragioni di carattere organizzativo e/o tecnico/organizzativo, mentre i criteri di rotazione saranno su base aziendale per mansioni …».

Nel terzo accordo (datato 16.6.2009) si afferma, con riferimento alle modalità realizzative ed attuative della CIGS, che «… l’azienda effettuerà la rotazione compatibilmente con le esigenze tecnico-produttive organizzative preventivamente verificate ogni trimestre con le RSU e le OO.SS. territoriali …».

Nel verbale di accordo del 15.6.2010, preso atto della necessità di ricorrere alla cassa integrazione in deroga senza soluzione di continuità, si afferma ancora una volta: «… i lavoratori saranno sospesi a orario ridotto o a zero ore; verrà attuata una equa rotazione tra i lavoratori tenuto conto delle esigenze tecnico-organizzative e produttive aziendali preventivamente verificate con le RSU e le OO. SS. territoriali. Le parti concordano, altresì, di effettuare, su richiesta, verifiche periodiche a livello territoriale in merito al rotazione attuata …».

L’accordo dell’11.10.2010 conferma che, nella ulteriore richiesta di cassa integrazione straordinaria per crisi aziendale a partire dal 16 ottobre 2010, «… quanto alle modalità attuative, la sospensione e/o riduzione di orario per cassa integrazione avverrà con l’adozione principio della rotazione, compatibilmente con le esigenze tecnico-produttive e organizzative ed in coerenza con gli obiettivi di superamento della crisi accennati in premessa …».

Infine, con l’accordo del 10.10.2013 si specifica quanto segue: «… le parti convengono che i lavoratori da collocare in CIGS saranno individuati tenendo conto delle esigenze tecniche ed organizzative e dei criteri di legge connessi alla attuazione del programma di riorganizzazione aziendale e che si darà corso ad una rotazione dei lavoratori sospesi compatibilmente con le suddette esigenze …». Nello stesso accordo si precisa altresì che alla scadenza dei periodi indicati del 31.12.2013 per l’Area Produzione e del 31.03.2014 per l’Area Amministrativa e Corporate «… le parti, in considerazione della necessità di garantire livelli di efficienza tali da consentire il raggiungimento degli obiettivi di recupero di produttività e competitività definiti dal Piano industriale e della strutturalità dell’esubero, convengono che non si darà corso alla rotazione e che i criteri di individuazione delle unità da collocare in CIGS a zero ore saranno, in una prima fase, circa n. 1800 ( di cui 1650 in Area Produzione e 150 in Area Amministrazione e Corporate) …».

In sostanza, con tale ultimo accordo del 10.10.2013 le parti contrattuali si sono limitati a richiamare i criteri di scelta dei lavoratori in esubero da licenziare nella procedura di licenziamento collettivo di cui all’art. 5 della legge n. 223 del 1991. Appare evidente la assoluta genericità di tali criteri, dal momento che in tale accordo non sono state previste le modalità con cui applicare i criteri di scelta stessi; non sono stati indicati i meccanismi operativi che portano all’individuazione concreta dei licenziati con la indicazione dei parametri assegnati ai vari criteri, non è stato precisato l’ordine di priorità fra i criteri stessi, né tantomeno l’obbligo di stilare una graduatoria sulla base di punteggi assegnati e di ogni altro elemento che aiuti a comprendere il percorso seguito.

In una fattispecie simile a quella in esame la Corte di cassazione ha ritenuto che «… non è consentito affidare la scelta dei lavoratori da sospendere o le modalità di loro rotazione in CIGS a non meglio specificate esigenze tecniche od organizzative, atteso che in tal modo l’individuazione dei singoli destinatari dei provvedimenti datoriali resterebbe abbandonata all’iniziativa e al mero potere discrezionale dell’imprenditore, con pregiudizio dell’interesse dei lavoratori ad una gestione trasparente delle sospensioni. Nel senso della genericità del mero rinvio ad esigenze tecniche, organizzative e produttive ai fini della rotazione v. anche Cass. n. 13240/09. Ed è indiscutibile che in quest’ottica menzionare, ad esempio, l’ufficio o il reparto di appartenenza e le qualifiche dei lavoratori da sospendere sia del tutto insufficiente, poiché serve a identificare, appunto, i lavoratori da collocare in CIGS, ma non anche il criterio che presiede a tale selezione …» (v. Cass. 2216/16).

In definitiva, deve ritenersi che la società convenuta non abbia previamente definito, nell’ambito delle procedure di consultazione con le organizzazioni sindacali, le concrete modalità operative della rotazione ed in particolare i criteri di selezione del personale che non avrebbe seguito la rotazione, in modo tale da consentire una verifica sia preventiva che successiva.

Ne deriva che devono ritenersi illegittime le sospensioni in Cassa Integrazione Straordinaria, sia perché risulta omessa tout court la comunicazione sindacale, sia perché l’esame congiunto si è svolto senza indicazione dei criteri concreti di scelta dei lavoratori da sospendere e delle modalità della rotazione.

L’omessa comunicazione alle organizzazioni sindacali, da parte del datore di lavoro ammesso alla cassa integrazione guadagni straordinaria, dei criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e delle modalità della rotazione configura una violazione procedimentale e incide direttamente sulla legittimità del provvedimento di concessione dell’intervento straordinario di integrazione salariale, il quale, a sua volta, investe la sospensione disposta dal datore di lavoro, essendo, di tale sospensione, il presupposto logico–giuridico. Ne consegue che, avendo i lavoratori il diritto soggettivo di percepire la retribuzione (per la prestazione lavorativa non divenuta impossibile) e non essendo prevista l’idoneità del provvedimento a degradare tale situazione soggettiva ad interesse legittimo, ben possono i lavoratori sospesi sollecitare l’accertamento incidentale dell’illegittimità del provvedimento amministrativo, chiedendone la disapplicazione ex art. 5 della legge n. 2248 all. E del 1865, con conseguente accertamento della “illegittimità” della sospensione dal lavoro e quindi dell’inadempimento del datore di lavoro, il quale sarà tenuto a corrispondere la retribuzione con effetto ex tunc, in quanto, non essendosi perfezionata, per vizio procedimentale, la fattispecie di sospensione del rapporto per effetto della CIGS, riprende vigore l’ordinario regime dell’adempimento nelle obbligazioni (v. Cass. 11263/98).

Occorre aggiungere che l’eccezione di prescrizione sollevata dall’azienda non è fondata, atteso che la violazione del diritto del lavoratore a rientrare in servizio, dopo un periodo di cassa integrazione, in base a prefissati criteri di rotazione costituisce un illecito contrattuale del datore di lavoro, da cui consegue il diritto del prestatore al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1218 cod. civ. Tale diritto, anche quando sia quantificato in base alle retribuzioni non percepite, è assoggettato alla prescrizione ordinaria e non a quella breve di cui all’art. 2948 n. 4 cod. civ. (v. Cass. 13926/01). Siccome nella specie tra la prima collocazione in Cassa Integrazione (giugno 2006) e la data di notifica dell’atto introduttivo del giudizio (27.11.2015) è intercorso un lasso di tempo inferiore a dieci anni, l’eccezione in esame è destituita di fondamento.

Alla luce delle esposte considerazioni, in definitiva, il ricorso va accolto e, per l’effetto, accertata l’illegittimità della sospensione e contestuale collocazione in CIGS del ricorrente sin dal 7/1/2009 AL 15/10/2014, la società resistente va condannata al pagamento di una somma pari alla differenza tra la retribuzione piena spettante ed il trattamento di integrazione salariale percepito, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dovuto al soddisfo.

Resta assorbita ogni altra questione.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno poste, pertanto, a carico di parte resistente.

P.Q.M.

il dott., quale giudice del lavoro, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza disattesa, così provvede:

accoglie il ricorso e, per l’effetto, dichiarata l’illegittimità della sospensione e contestuale collocazione in CIGS della ricorrente DAL 7/1/2009 AL 15/10/2014, condanna parte resistente al pagamento di una somma pari alla differenza tra la retribuzione piena spettante ed il trattamento di integrazione salariale percepito, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dovuto al soddisfo;

condanna la resistente al pagamento delle spese processuali sostenute dalla ricorrente, che liquida in complessivi € 3.000,00, oltre rimborso forfetario delle spese nella misura del 15% del compenso, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Così deciso in Bari il 11.7.2019

Il Giudice

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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