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Società in accomandita semplice, gestione commercianti

Società in accomandita semplice, la qualità di socio accomandatario non è sufficiente a far sorgere l’obbligo di iscrizione nella gestione commercianti.

Pubblicato il 02 April 2019 in Diritto Previdenziale, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI ROMA
SEZIONE LAVORO – IV COLLEGIO

composta dai Magistrati:

all’udienza del 28.1.2019 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile in grado di appello iscritta al n. /2017 del Ruolo Generale Civile – Lavoro e Previdenza

TRA

XXX

con l’Avv., giusta procura in atti

APPELLANTE

E

INPS

in persona del legale rappresentante pro-tempore,  con l’Avv., giusta procura in atti

APPELLATO

OGGETTO: Appello avverso la sentenza del Tribunale del lavoro di Roma n. /2017.

CONCLUSIONI: Come dagli atti introduttivi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Con la sentenza in oggetto il Tribunale del lavoro di Roma respingeva l’opposizione proposta da XXX all’avviso di addebito n., con cui l’Inps le aveva intimato il pagamento di € 325,59 per contributi dovuti alla Gestione Commercianti in relazione al mese di luglio 2015, oltre sanzioni di legge, in quanto socia accomandataria della società in accomandita semplice “***di XXX & C.”. A fondamento, il Tribunale affermava:

–          secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente e rispettoso della lettera della legge, l’iscrizione dell’amministratore o del socio di società di persone o a responsabilità limitata alla Gestione Commercianti presuppone l’accertamento dell’abitualità e prevalenza della sua partecipazione personale al lavoro aziendale;

–          nel caso di specie l’Inps ha provato dette condizioni mediante la produzione di copia del quadro RK del Modello Unico SP 2009, 2010, 2011 e 2012, in cui si dichiara che l’attività di amministratore svolta dalla ricorrente costituiva per gli anni di riferimento occupazione prevalente, nonché la dichiarazione reddituale delle Persone Fisiche 2016 da cui risulta comunque la titolarità per l’anno 2015 da parte della XXX di redditi derivanti dall’attività commerciale di *** sas;

–          la dichiarazione in parola, essendo relativa al legale rappresentante che è in rapporto di immedesimazione organica con la società, assume valore confessorio, determinando l’inversione dell’onere della prova con ripartizione del carico processuale sul debitore;

–          nessuna prova contraria era stata offerta dalla opponente, non essendo sufficiente allo scopo la mera deduzione dell’essere stata la XXX casalinga nel periodo in esame e dovendosi piuttosto presumere che l’attività di gestione della società in accomandita è svolta dal socio accomandatario.

In data 27.11.2017 la XXX proponeva appello, chiedendo l’accoglimento delle originarie conclusioni.

In specie, l’appellante lamentava:

1.      la violazione di legge e il travisamento dei fatti da parte del Tribunale, in quanto dal 6.7.2015 l’Inps aveva disposto la sua cancellazione dalla Gestione Commercianti e dal 19.6.2015 essa non ricopriva più la carica di socio accomandatario della società in accomandita semplice “*** di XXX & C.”, in tal modo venendo meno le condizioni di legge e i presupposti oggettivi considerati dal Tribunale per affermare l’esistenza dell’obbligazione contributiva controversa;

2.      l’omessa pronuncia in ordine all’errore materiale nell’indicazione dell’occupazione prevalente contenuta nelle dichiarazioni fiscali considerate in sentenza nonché in ordine all’emendabilità di detto errore;

3.      l’omessa pronuncia sulle istanze istruttorie, rilevanti ai fini del decidere.

L’Inps si costituiva nel grado, resistendo all’impugnazione.

All’udienza odierna la causa è stata decisa come in dispositivo. Osserva la Corte che l’appello è fondato.

Invero, e trattando i motivi d’impugnazione in modo congiunto stante la loro connessione, va tenuto conto che in materia d’iscrizione alla Gestione Commercianti del socio che abbia anche la rappresentanza legale di una società esercente attività d’impresa, la S.C. ha chiarito quanto segue:

–   “In tema di iscrizione alla Gestione Commercianti, i requisiti congiunti di abitualità e prevalenza dell’attività, di cui all’art. 1, comma 203, della l. n. 662 del 1996, sono da riferire all’attività lavorativa espletata dal soggetto in seno all’impresa, al netto dell’attività eventualmente esercitata in quanto amministratore, indipendentemente dal fatto che il suo apporto sia prevalente rispetto agli altri fattori produttivi (naturali, materiali e personali), valorizzandosi, in tal modo, l’elemento del lavoro personale, in coerenza con la “ratio” della disposizione normativa” (ordinanza n. 19273 del 19/07/2018)

–   “Nelle società in accomandita semplice, in forza dell’art. 1, comma 203, della l. n. 662 del 1996, che ha modificato l’art. 29 della l. n. 160 del 1975, e dell’art. 3 della l. n. 45 del 1986, la qualità di socio accomandatario non è sufficiente a far sorgere l’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali, essendo necessaria anche la partecipazione personale al lavoro aziendale, con carattere di abitualità e prevalenza. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto sufficiente a far sorgere l’obbligo di iscrizione alla gestione commercianti la sola dichiarazione dell’interessato, priva di valore confessorio, di svolgere attività commerciale con carattere di abitualità e prevalenza all’interno della s.a.s. di cui era socio accomandatario). (sentenza n. 5210 del 28/02/2017).

Applicando al caso di specie detti principi, da cui la Corte non ravvede motivi per discostarsi in quanto resi dal Giudice di legittimità nell’esercizio della sua funzione nomofilattica, va allora evidenziato che l’Inps, creditore sostanziale e dunque in tal senso onerato, non ha dato prova del fatto costitutivo della pretesa.

Infatti, l’avvenuta cancellazione della XXX dalla Gestione Commercianti, disposta in autotutela dall’Istituto con decorrenza dal 6.7.2015, esprime ex se che da quel momento in poi non sussistono le condizioni di legge per l’insorgenza del diritto ai contributi oggetto di causa e del correlato obbligo dell’appellante di versarli.

Per i sei giorni precedenti, non coperti dal predetto provvedimento in autotutela, rileva la Corte che la XXX ha dimostrato (v. visura camerale nel fascicolo Inps di primo grado) che dal 19.6.2015 non era più socia accomandataria della società in accomandita semplice “*** di XXX & C.”, evenienza questa che esclude per definizione lo svolgimento da parte sua dell’attività di gestione della società, ritenuta dal Tribunale fonte dell’obbligazione in esame.

Né l’Inps ha offerto al tema impugnatorio altri elementi utili a dimostrare che, nel circoscritto periodo in esame, la XXX avesse comunque esplicato attività lavorativa assicurabile presso la Gestione Commercianti.

Al riguardo, è del tutto insufficiente il modello Unico anno 2016 relativi ai redditi del 2015, trattandosi di dichiarazione resa dalla XXX ai diversi fini fiscali, priva di natura confessoria in quanto non collegata ad elementi di fatto ex art. 2730 cc e viepiù annessa dalla dichiarante alla sua partecipazione in società esercenti attività d’impresa e non allo svolgimento da parte sua di attività lavorativa (v. doc. 6 fascicolo primo grado Inps, sezione III rigo RH).

L’inconfigurabilità del diritto ai contributi controversi nega anche l’esistenza del diritto alle sanzioni chieste dall’Inps alla XXX con l’avviso di addebito impugnato, stante il rapporto di accessorietà che lega detto credito all’altro, principale.

Alla stregua delle svolte considerazioni, assorbita la riflessione sugli altri motivi di doglianza non potendo derivare all’appellante tramite gli stessi più di quanto fin qui ottenuto, l’appello va quindi respinto.

Le spese del doppio grado di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono come di norma la soccombenza (art. 91 cpc).

PQM

visto l’art. 437 cpc:

In riforma della sentenza impugnata:

–     Dichiara che l’Inps non ha diritto al pagamento da parte di XXX dei contributi e delle sanzioni portati dall’avviso di addebito n., che annulla.

–     Condanna l’Inps al pagamento in favore dell’appellante delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida in € 245,00 per il primo grado e in € 235,00 per il secondo grado, oltre 15% spese generali, iva e cpa e oltre al rimborso del contributo unificato, ove versato.

          Roma, 28.1.2019

Il Consigliere Estensore                                                          Il Presidente

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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