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Codice Civile
Codice Penale

Default della Banca, difetto di legittimazione passiva

Default della Banca, la responsabilità della vecchia banca non può dirsi trasferita all’ente-ponte e da questi alla banca incorporante

Pubblicato il 19 April 2019 in Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di ANCONA
SECONDA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 782/2019 pubblicata il 17/04/2019

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. /2017 promossa da:

XXX (C.F.), con il patrocinio dell’avv. e dell’avv.; elettivamente domiciliato in presso il difensore avv.

YYY (C.F.), con il patrocinio dell’avv. e dell’avv.; elettivamente domiciliato in presso il difensore avv.

ATTORE/I

contro

NUOVA BANCA ZZZ S.P.A. (C.F. ), con il patrocinio dell’avv.  e dell’avv. , elettivamente domiciliato in presso il difensore avv.

KKK BANCHE ITALIANE (C.F. ), con il patrocinio dell’avv.

CONVENUTO/I

OGGETTO: Intermediazione mobiliare.

CONCLUSIONI

All’udienza del 18 ottobre 2018 le parti comparse hanno concluso come da processo verbale di udienza, da intendersi qui integralmente richiamato e ritrascritto.

FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, i Sig.ri XXX e YYY hanno convenuto in giudizio la Nuova Banca ZZZ, esponendo per quanto qui d’interesse e in sintesi:

  • di essere stati per anni clienti della filiale di Senigallia della Banca Popolare ZZZ, in particolare sulla base di contratto inerente servizi di investimento;
  • di aver quindi sempre investito i propri risparmi, sulla base del predetto contratto quadro, in titoli a basso rischio consigliati dalla medesima banca e per essa dai funzionari della filiale (gestiti tramite conto titoli n.);
  • di non aver mai chiesto o accettato investimenti in strumenti più rischiosi (titoli azionari o altri strumenti);
  • che nel 2013 gli attori erano contattati dalla propria banca per l’acquisto di obbligazioni della banca medesima; gli stessi erano quindi indotti a disinvestire in altri strumenti, per acquistare, in data 4 giugno 2013, obbligazioni subordinate BPEL 28.06.2018 SUB per un valore complessivo di € 80.000,00 (e rendimento lordo del 3,5%);
  • che, a seguito del crack di Banca Etruria e delle conseguenti norme emanate per far fronte alla crisi, non solo della banca in questione, il valore delle predette obbligazioni subordinate è stato azzerato, con perdita integrale del diritto al rimborso del prestito e relativi connessi diritti patrimoniali, salvo quanto ottenuto dalla sola Sig.ra YYY dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi ex lege 119/16 (€ 31.598,90 pari all’80% della propria quota del 50% del capitale investito);
  • che il comportamento della banca, e per essa dei suoi dirigenti e responsabili, al momento della proposta di sottoscrizione di strumenti finanziari propri, è stato connotato da grave illiceità, avendo in sostanza sottaciuto agli attori la elevata rischiosità dei titoli offerti, tanto più in una situazione di grave crisi patrimoniale in cui la banca già versava all’epoca, situazione ben nota quantomeno ai vertici della banca medesima, così violando i doveri sulla stessa gravanti di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto in essere con gli attuali attori, come imposti invece dalle norme speciali in materia di intermediazione e collocazione di titoli obbligazionari propri;
  • in particolare sarebbero state violate le norme di cui agli artt. 21 e 23 del T.U.F., quelle del regolamento Consob n. 16190/07 inerenti la collocazione di prodotti finanziari emessi da banche, nonché quelle di cui al regolamento congiunto Consob-Banca d’Italia nelle materie di cui alle lettere d), e), i), j), l), m) e n) dell’art. 6, co. 2bis TUF; in sostanza sarebbero state violate tutte le regole comportamentali imposte all’operatore professionale, sia con riferimento alla fase precontrattuale che a quella di esecuzione del contratto (anche ex art. 1175 cc), norme che invece impongono obblighi inderogabili per gli intermediari finanziari a tutela dei risparmiatori e della stabilità dei mercati finanziari; – in tal modo la banca:

a)   avrebbe indotto gli attori ad acquistare obbligazioni subordinate senza informare compiutamente gli attori sulla natura di tali titoli e dei rischi connessi;

b)   tacendo la reale situazione economico-finanziaria della Banca;

c)    ponendo in essere una operazione consapevolmente inappropriata e inadeguata, tenuto conto del vero profilo degli attori quali investitori non professionali;

d)  e violando altresì le specifiche norme che disciplinano le operazioni in conflitto di interessi;

  • sarebbero direttamente conseguiti ai predetti comportamenti e alla connessa perdita dei propri risparmi, danni patrimoniali e personali, a carico degli attuali attori, particolarmente accentuati per il Sig. XXX;
  • i titoli di responsabilità fatti valere afferiscono tanto alla violazione degli obblighi contrattuali assunti dalla Banca ZZZ (art. 1218 cc, responsabilità contrattuale da inadempimento), quanto a quella connessa alla responsabilità professionale gravante sui propri dirigenti e funzionari (non vocati in giudizio) e quindi sulla banca, con violazione dell’obbligo generale del neminem laedere (art. 2043 e ss. cc).

Ciò premesso, gli attori espongono altresì:

  • che le attività e passività della Banca ZZZ sono state cedute alla “Nuova Banca ZZZ S.p.A.”, ente creato in forza delle norme emanate per affrontare la crisi, anche in attuazione di quanto previsto dalle direttive europee in materia, che infatti è stata direttamente vocata in giudizio per sentirsi condannare al risarcimento dei danni sopra ricordati, come quantificati in atti;
  • il presente giudizio non avrebbe infatti ad oggetto il rimborso delle obbligazioni subordinate (ovvero l’inadempimento degli obblighi connessi al prestito obbligazionario), bensì la richiesta dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti alla violazione di doveri di diligenza e prudenza, imposti invece ex lege alla c.d. old bank, e conseguente responsabilità per violazione del contratto, in atto da tempo tra le originarie parti, avente ad oggetto servizi di negoziazione di strumenti finanziari;
  • la predetta responsabilità sarebbe senz’altro compresa nel trasferimento dell’azienda bancaria alla c.d. good bank, in quanto la Banca d’Italia, sulla base delle norme speciali, con provvedimento del 22 novembre 2015, ha disposto la cessione di tutti i diritti, le attività e le passività costituenti l’azienda bancaria al nuovo “ente ponte”, precisando che restano escluse dalla cessione dell’azienda soltanto “le passività, diverse dagli strumenti di capitale, come definiti dall’art. 1, lettera ppp), del D.Lgs. 16 novembre 2015, n. 180, in essere alla data di efficacia della cessione, non computabili nei fondi propri, il cui diritto al rimborso del capitale è contrattualmente subordinato al soddisfacimento dei diritti di tutti i creditori non subordinati dell’ente in risoluzione” e che “l’ente ponte succede, senza soluzione di continuità, all’ente in risoluzione nei diritti, nelle attività e nelle passività ceduti ai sensi dell’art. 43, comma 4, del D.Lgs. 16 novembre 2015, n. 180”; ne conseguirebbe, secondo la tesi attorea, che le uniche passività escluse dalla cessione dell’azienda bancaria all’apposito ente ponte (e quindi dal perimetro di responsabilità della good bank) sarebbero i diritti incorporati nelle azioni e nelle obbligazioni risolte;
  • come letteralmente dedotto da parte attrice, “si applica invece il regime “ordinario” per le altre azioni restitutorie e risarcitorie (come quella di cui è causa), ed in particolare per quelle con le quali sia fatta valere la responsabilità dell’intermediario per la violazione dei doveri di comportamento imposti nella prestazione dei servizi di investimento relativamente alle azioni ed alle obbligazioni risolte. Si tratta, infatti, di pretese degli investitori, e di passività per le banche, che non trovano origine nei diritti patrimoniali degli strumenti finanziari colpiti dal provvedimento di risoluzione. Tali azioni si fondano invece sugli inadempimenti agli obblighi contrattuali e di legge imposti agli intermediari nella prestazione dei servizi d’investimento, ovvero in un rapporto giuridico distinto dal mutuo collettivo che ha dato origine all’emissione obbligazionaria”;
  • ne deriverebbe, secondo parte attrice, che la nuova “banca ponte” sarebbe l’unico soggetto legittimato a rispondere di ogni potenziale passività originata dai rapporti bancari ceduti, ivi compresi gli obblighi risarcitori derivanti dalla violazione delle norme primarie e secondarie inerenti all’attività di fornitura di servizi per la negoziazione di titoli;
  • l’art. 47 del D.lgs. 180/2015, per i contratti oggetto della cessione, dispone infatti che: “il contraente ceduto può opporre al cessionario tutte le eccezioni derivanti dal contratto ceduto, ma non quelle fondate su altri rapporti con il cedente”: ne deriverebbe, sempre secondo la difesa attorea, che il cliente della old bank potrebbe far valere nei confronti delle nuove banche tutte le pretese derivanti dal contratto per la prestazione dei servizi di investimento (ex art. 23 T.U.F.), in forza del quale sono state poste in essere, anche se prima della cessione d’azienda, le singole operazioni di negoziazione o di collocamento di strumenti finanziari, compreso il collocamento presso la propria clientela delle proprie obbligazioni subordinate (specifico oggetto del presente giudizio), anche se le stesse siano state espressamente risolte in forza della sopravvenuta normativa speciale;
  • a sostegno della sopra indicata impostazione, parte attrice cita parte della giurisprudenza intervenuta in materia (Trib. Milano Sez. spec. in materia di imprese, Sent., 08-11-2017; in termini anche: Trib. Ferrara, 28.10.2017, Trib. Napoli, 22 ottobre 2018) nonché giudizi arbitrali conformi (Arbitro Consob n. 165/2017 e cinque provvedimenti seguenti; Arbitro per le Controversie Finanziarie (ACF) n. 170 del 9 gennaio 2018); in particolare l’A.C.F. (nn. 165 e 166 del 9 gennaio 2018), facendo leva sulla preminente rilevanza costituzionale della tutela del risparmio ex art. 47 Cost. e proseguendo l’indirizzo interpretativo di cui alle pronunce sopra esposte, afferma che l’art. 47, co. 7 D. Lgs. 180/2015 si riferirebbe esclusivamente “all’esercizio di diritti patrimoniali e/o amministrativi incorporati nelle azioni e da queste discendenti […] ma che non si possono ritenere inglobate in essa anche pretese (risarcitorie o altro) relative a rapporti contrattuali tra cliente ed intermediario per la prestazione di servizio di investimento; rapporti che, in quanto tali, risultano unitariamente trasferiti dalla Vecchia alla Nuova Banca e ciò proprio coerentemente con l’esigenza di preservare la continuità operativa dell’azienda bancaria”;
  • il doppio ruolo rivestito dalla old bank (intermediario ed emittente delle obbligazioni) non avrebbe peraltro alcuna rilevanza ai fini della ricostruzione proposta, nel senso che l’interpretazione contraria a quella proposta (esenzione da responsabilità della good bank proprio nei casi di collocamento di azioni od obbligazioni proprie da parte della vecchia banca) comporterebbe, a dire della difesa attorea, una evidente aporia in quanto il soggetto subentrato “nel contratto quadro di negoziazione” (così definito dalla parte stessa) risponderebbe verso i clienti ceduti per ogni negoziazione, mentre sarebbero da escludere proprio le operazioni poste in essere in conflitto di interesse;
  • i successivi interventi legislativi in materia di salvataggio delle c.d. banche venete, ove è stata espressamente disciplinata l’esenzione da responsabilità delle good banks per i comportamenti illeciti imputabili alle vecchie banche risolte (art. 3, co. 1, lett. b del D.L. 99/2017), confermerebbero, a contrario, l’interpretazione proposta, sulla base dell’argomento sostanziale per cui ubi lex voluit dixit.

La difesa attorea ha dato atto che tuttavia il procedimento di mediazione previamente attivato nei confronti della nuova banca non ha avuto esito, in particolare per la preliminare negazione, da parte di questa, della propria legittimazione passiva rispetto alla pretesa degli odierni attori.

Tanto premesso, gli attori citavano in giudizio la nuova banca e concludevano chiedendo al giudice adito di accertare la responsabilità contrattuale ed extracontrattuale della banca convenuta e di condannare la stessa al risarcimento dei danni conseguenti, quantificati in euro 40.000,00, oltre ad interessi, per il danno patrimoniale e per ciascuna parte (detratto quanto già aliunde conseguito dalla sola YYY), oltre a € 86.489,00 (a favore del XXX) ed € 8.164,00 (a favore della YYY), e oltre a personalizzazione, rivalutazione ed interessi, per il danno non patrimoniale, con vittoria delle spese di giudizio.

***

Nel presente giudizio, si è regolarmente costituita la KKK Banche Italiane S.p.A. (in breve “KKK”), la quale ha incorporato per fusione (per atto Notaio dott. – sub A alla comparsa di costituzione) la *** S.p.A., nuova denominazione assunta dalla Nuova Banca ZZZ S.p.A. (c.d. ente ponte o good bank), titolare dei rapporti facenti capo alla old bank a seguito della cessione d’azienda attuata dalla Banca d’Italia.

La detta società, costituendosi, ha chiesto la reiezione delle domande avversarie, in particolare eccependo preliminarmente, anche nel presente giudizio, la mancanza di legittimazione passiva in capo a sé medesima, stante il difetto di legittimazione passiva già esistente in capo alla Nuova Banca ZZZ S.p.A.

Acquisiti i documenti prodotti dalle parti e concessi i termini ex art. 183 cpc, stante la pregiudizialità e potenziale decisività della preliminare eccezione di difetto di legittimazione passiva, formulata ritualmente da parte convenuta, all’udienza del 18 ottobre 2018 la causa veniva trattenuta in decisione, con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle repliche.

MOTIVI DELLA DECISIONE
L’eccezione di difetto di legittimazione passiva della banca convenuta risulta fondata e deve essere accolta.

Va premesso peraltro che la posizione della difesa attorea è supportata da alcuni precedenti: l’esclusione delle obbligazioni pregresse dalla cessione dell’azienda bancaria, conseguente al default della Banca ZZZ, come anche delle altre banche che hanno subito analoghe vicende, sulla base delle norme sopravvenute, avrebbe natura derogatoria ed eccezionale e sarebbe limitata alle passività legate ai diritti strettamente derivanti dall’emissione delle obbligazioni subordinate (specifico oggetto del presente giudizio).

Tra le altre citate dalla difesa attorea, la più recente Ordinanza 22 Ottobre 2018 (Est. Notaro in www.ilcaso.it) del Tribunale di Napoli ha dichiarato in effetti sussistere la legittimazione passiva dell’ente-ponte e, quindi, della banca incorporante, ai sensi degli artt. 43 e 47 del D.Lgs. n. 180/2015, per le obbligazioni generate dai rapporti giuridici oggetto della cessione e, in particolare, che “i debiti risarcitori per inadempimento contrattuale da misselling sono inclusi nella cessione dell’Azienda bancaria e non sono escluse dall’art. 47 del D.Lgs. n. 180/2015”. Ciò in quanto, laddove manchi una norma espressa come quella rinvenibile nella speciale disciplina emanata successivamente per le c.d. banche venete, il trasferimento dei predetti debiti non potrebbe mai ritenersi escluso.

Tuttavia, anche in coerenza con il recentissimo arresto di questo Tribunale in vicenda analoga, il ragionamento seguito nei precedenti citati dagli attori non è in definitiva persuasivo, alla luce di una più complessiva lettura delle norme rilevanti nella fattispecie.

Preliminarmente va precisato che nessuna questione si pone con riferimento alla vicenda della fusione per incorporazione in KKK dell’ente succeduto a Banca ZZZ (Nuova Banca ZZZ S.p.A., poi *** S.p.A.). Come già sopra evidenziato, con atto di fusione del 14 novembre 2017, in atti, *** S.p.A. (già Nuova Banca ZZZ S.p.A.) si è fusa per incorporazione in KKK Banche Italiane S.p.A. (per atto Notaio) e quest’ultima si è costituita nel presente giudizio, proseguendo ex art. 2504 bis in tutti i rapporti sostanziali e processuali dell’ente incorporato, essendone successore a titolo universale.

La questione della legittimazione passiva, in forza del trasferimento delle passività, va invece affrontata in modo più articolato con riguardo alla precedente fase e, cioè, avuto riguardo agli effetti della procedura di risoluzione (applicata anche nel caso di Banca ZZZ S.p.A.) e alla conseguente cessione dell’azienda bancaria dalla vecchia alla nuova banca, procedura introdotta dal d.lgs. 180/2015 in alternativa alle ordinarie procedure concorsuali e che ha previsto:

•      nel caso della Banca Popolare ZZZ S.p.A., l’applicazione della procedura di cui agli artt. 42, 43 e 44 del d.lgs. 180/2015, con la cessione dell’azienda bancaria ad un ente-ponte, costituito per gestire beni e rapporti giuridici acquistati ai sensi dell’art. 43, con l’obiettivo di mantenere la continuità delle funzioni essenziali precedentemente svolte dall’ente sottoposto a risoluzione e, quando le condizioni di mercato fossero adeguate, di cedere a terzi le partecipazioni al capitale o i diritti, le attività o le passività acquistate, secondo il chiaro disposto del primo comma del già citato art. 42;

•      in attuazione di tale disciplina, con d.l. n. 183/2015 (decaduto, ma i cui effetti sono stati fatti salvi dalla Legge 28.12.15 n. 208) è stata costituita la Nuova Banca ZZZ S.p.A., designata quale ente-ponte per la procedura di cessione della Banca Popolare ZZZ S.p.A. che, a sua volta e contestualmente, è stata sottoposta alla procedura di risoluzione con provvedimento della Banca d’Italia del 21 novembre 2015 (doc. 1 comparsa di risposta);

•      quindi, con provvedimento del 22 novembre 2015, la Banca d’Italia ha disposto il trasferimento a Nuova Banca ZZZ S.p.A. dell’azienda bancaria della Banca Popolare ZZZ S.p.A., con azzeramento del capitale e delle azioni (doc. 2 comparsa di risposta);

•      da tali provvedimenti sono derivati la riduzione integrale delle riserve e del capitale rappresentato dalle azioni e da talune obbligazioni subordinate.

L’art. 43 del d.lgs. 180/2015 stabilisce che: “la cessione, in una o più soluzioni, a un ente-ponte ha ad oggetto: a) tutte le azioni o le altre partecipazioni emesse da uno o più enti sottoposti a risoluzione, o parte di esse; b) tutti i diritti, le attività o le passività, anche individuabili in blocco, di uno o più enti sottoposti a risoluzione, o parte di essi”, mentre il quarto comma della stessa norma specifica che “fermo restando l’articolo 47, comma 9, l’ente-ponte succede all’ente sottoposto a risoluzione nei diritti, nelle attività o nelle passività ceduti, salvo che la Banca d’Italia disponga diversamente ove necessario per conseguire gli obiettivi della risoluzione”.

In applicazione di tale previsione, la Banca d’Italia, nell’avvalersi del potere di escludere talune attività o passività dalla cessione, nel provvedimento del 22 novembre 2015 ha chiarito che “restano escluse dalla cessione dell’azienda soltanto le passività, diverse dagli strumenti di capitale, come definiti dall’art. 1, lettera ppp), del D.Lgs. 16 novembre 2015, n. 180, in essere alla data di efficacia della cessione, non computabili nei fondi propri, il cui diritto al rimborso del capitale è contrattualmente subordinato al soddisfacimento dei diritti di tutti i creditori non subordinati dell’ente in risoluzione”, con riferimento alle obbligazioni subordinate elencate con i relativi codici nel provvedimento medesimo (tra cui anche quelle degli odierni attori).

Per completare il perimetro dell’oggetto della cessione, l’atto di cessione all’ente-ponte dei diritti, delle attività e delle passività di Banca Popolare ZZZ S.p.A., adottato dalla Banca d’Italia con provvedimento n. 1241114/15 del 22 novembre 2015, ha disposto che tutti i diritti, le attività e le passività costituenti l’azienda bancaria della banca in risoluzione, ivi compresi i diritti reali sui beni mobili ed immobili, i rapporti contrattuali e i giudizi attivi e passivi, incluse le azioni di responsabilità, risarcitorie e di regresso, in essere alla data di efficacia della cessione, sono ceduti ex art. artt. 43 e 47 del d.lgs. 180/15, all’enteponte e che l’ente-ponte succede, senza soluzione di continuità, alla banca in risoluzione, nei diritti, nelle attività, nelle passività, nei rapporti e nei giudizi di cui al precedente su citati.

La predetta cessione ha avuto efficacia dalle ore 00.01 del giorno di costituzione dell’ente ponte (cioè il 22 novembre 2015).

Tanto premesso, deve innanzitutto ritenersi che nella fattispecie siano irrilevanti l’azzeramento del valore delle obbligazioni subordinate acquistate dagli attori, ad opera dei provvedimenti della Banca d’Italia, attuato a seguito dell’emanazione della normativa speciale interna, susseguente alla normativa europea sulla risoluzione delle crisi bancarie, in quanto gli attori non contestano, nel caso concreto, la partecipazione con capitale proprio al salvataggio della banca in crisi, ma lamentano un danno ulteriore derivatogli dal fatto di essere stati qualificati – contrariamente al vero – come investitori con alta propensione al rischio, di essere stati ingannati dalla sostanziale falsità dei bilanci della banca risolta e indotti dalla banca medesima, peraltro in conflitto di interesse, a investire in obbligazioni sulla base di notizie patrimoniali non corrispondenti al vero.

Analoghe considerazioni valgono peraltro per le previsioni della legge di stabilità e del fondo di solidarietà e, cioè, degli strumenti di intervento pubblico per contenere gli effetti patrimoniali delle perdite sofferte dai risparmiatori direttamente incisi dalle vicende delle banche in crisi. Si tratta, peraltro, di rimedi facoltativi che fanno salve le azioni di risarcimento proponibili all’AG e, in alcuni casi, hanno previsto addirittura una sentenza del giudice per poter accedere al beneficio pubblico.

In linea di diritto, infatti, la questione è stabilire se nella fattispecie – secondo le norme sulla cessione di azienda, come previste dal codice civile e integrate, per il settore di riferimento, dal TUB – l’ente ponte cessionario (e in ultima istanza KKK) subentri o meno nelle passività derivanti da illeciti compiuti dal dante causa, sia nel caso in cui ne fosse in corso l’accertamento, innanzi all’AG, al momento della cessione, sia, come nel caso di specie, se l’accertamento giudiziale sia stato promosso successivamente alla cessione.

Anche la banca convenuta richiama indirettamente a tal fine la norma di cui all’art. 2560 c.c., nella propria comparsa conclusionale, laddove riferisce di alcuni orientamenti dottrinari prodottisi in materia.

Appare da questo punto di vista innanzitutto rilevante il fatto che il debito inerente alla predetta tipologia di illeciti, allegati dagli attori, non risultava dai libri contabili al momento della cessione.

Va rilevato preliminarmente che per la soluzione della crisi delle “quattro banche” (tra cui la Banca Popolare ZZZ), come si evince dalle norme e dai provvedimenti dell’Autorità di vigilanza bancaria, si sono tenuti presenti, quale scopo dell’operazione di cessione, alcuni capisaldi: le perdite accumulate dalla banca risolta sono assorbite innanzitutto dagli strumenti di investimento più rischiosi (mediante azzeramento di azioni e alcune tipologie di obbligazioni subordinate); quindi, per ciascuna delle quattro banche, la parte “buona” è separata da quella “cattiva”, con conferimento all’ente-ponte di tutte le attività diverse dai prestiti in sofferenza; e soprattutto la banca “buona” deve dare continuità all’attività bancaria precedente, a tutela dei depositi, dei conti correnti e delle obbligazioni ordinarie, con l’ulteriore scopo finale della vendita della good bank al migliore offerente e retrocessione al Fondo di Risoluzione dei ricavi della vendita.

La bad bank, invece, priva di licenza bancaria, assorbe i prestiti in sofferenza residuati dopo l’imputazione delle perdite al capitale, alle azioni e alle obbligazioni subordinate e al Fondo di Risoluzione, con lo scopo di far vendere tali prestiti a specialisti nel recupero dei crediti o di gestirli direttamente per curarne il recupero.

Se, in base alle norme e ai provvedimenti di cessione all’ente-ponte delle attività e passività, è chiaro che debba trattarsi di attività o passività riferite a precedenti rapporti contrattuali, perché lo scopo della good bank è quello di proseguire l’attività bancaria, d’altra parte appare altrettanto chiaro che si deve trattare di attività, passività, diritti e azioni giudiziarie in essere al momento della cessione, cioè alla data del 22 novembre 2015, in coerenza con la norma generale in materia di cessione di azienda di cui all’art. 2560 c.c.

Il Tribunale di Milano (sez. specializzata in materia d’impresa, n. 11173 dell’8 novembre 2017), come evidenziato dalla difesa attorea a sostegno della stessa, ha statuito alcuni principi di diritto:

“le domande degli attori riguardano l’obbligo […] di risarcimento […], obbligo quindi di per sé, in quanto scaturente da attività inadempiente ai doveri dell’offerente di cui al TUF, ben distinto dagli obblighi gravanti sull’emittente i titoli […] in riferimento ai diritti patrimoniali e amministrativi incorporati […], sicché, in definitiva, l’azzeramento […] non può di per sé azzerare anche obblighi risarcitori derivanti (non dall’emissione […] ma) da condotte dell’emittente antecedenti; […] secondo il sistema del dlgs n.180/2015, il perimetro delle attività/passività dell’ente in risoluzione trasferite all’ente-ponte è delineato dal provvedimento di cessione dell’Autorità di risoluzione […] nel caso di specie tale perimetro non contempla alcuna espressa esclusione delle passività – sia pure potenziali in quanto non ancora accertate – […] già sorte […] in dipendenza della sua condotta inadempiente ai doveri informativi previsti dal TUF […] in particolare secondo il provvedimento 22.11.2015 […] essendo trasferiti “tutti i diritti, le attività e le passività costituenti l’azienda bancaria della banca in risoluzione” e, dunque, anche le passività corrispondenti ad obblighi risarcitori dell’emittente derivanti da condotte antecedenti la cessione, con la conseguenza che il richiamo di parte convenuta al punto 3.1 del provvedimento 22.11.2015 della BANCA D’ITALIA risulta poi non dirimente, tale parte del provvedimento limitandosi a riecheggiare il tenore dell’art. 47 del d.lgs. n.180/2015 nel senso di escludere la responsabilità dell’ente-ponte – oltre che verso gli azionisti per quanto riguarda i diritti incorporati nelle azioni – per passività ad esso ente non trasferite. Le considerazioni che precedono impongono quindi, ad avviso del Tribunale, di concludere che le “passività” corrispondenti alle pretese risarcitorie degli attori siano da ritenere incluse nella cessione dell’azienda bancaria disposta in favore dell’ente-ponte […] con il provvedimento di risoluzione sopra riportato, da un lato tali pretese non essendo di per sé incorporate nelle azioni azzerate, dall’altro le relative obbligazioni non essendo state espressamente escluse dalla cessione. […].

Anche il Tribunale di Milano richiama poi, a sostegno della propria interpretazione, la diversa soluzione adottata per le c.d. banche venete e quindi l’argomento relativo alla necessità della espressa volontà del legislatore, escludente le passività dalla cessione, già vista sopra con riguardo all’analoga posizione del Tribunale di Napoli.

Può rilevarsi innanzitutto che, anche la sentenza del Tribunale di Milano, conferma che non è nella normativa di settore che si può rinvenire la immediata soluzione al quesito posto dall’odierno giudizio e quindi alla questione inerente la legittimazione passiva della banca convenuta. La sentenza milanese infatti prosegue nei seguenti termini: “Va ora esaminato il secondo profilo di tale eccezione, fondato sul richiamo di parte convenuta alla disciplina ex art. 2560 cc, prevedente che in caso di cessione di azienda commerciale il cessionario risponda dei “debiti inerenti l’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento” solo “se essi risultano dai libri contabili obbligatori”, libri che invece, nel caso in esame, non è stato provato recassero traccia delle obbligazioni corrispondenti alle azioni risarcitorie qui azionate dagli attori. Anche tale profilo risulta infondato, ad avviso del Tribunale, al riguardo dovendosi considerare:

–      in primo luogo che, come sottolineato dagli attori, l’applicabilità al caso di specie della disciplina ex art. 2560 cc pare esclusa dallo specifico oggetto del provvedimento di risoluzione sopra riportato, nel quale – conformemente alla disciplina di cui all’art. 43 del d.lgs. n.180/2015 – la “cessione dell’azienda bancaria” di cui al punto 1 è specificatamente realizzata attraverso la cessione all’ente-ponte […] di “tutti i diritti, le attività e le passività”, così dando luogo a una vicenda di per sé diversa da quella contemplata nell’art. 2560 cc, per il quale con la cessione di azienda commerciale i debiti anteriori alla cessione non vengono di per sé “trasferiti” al cessionario, che ne diviene solo responsabile in solido con l’obbligato principale, il titolare dell’azienda ceduta che di tale debiti rimane primo responsabile, salvo il consenso dei creditori alla sua liberazione;

–      in secondo luogo che tale incompatibilità della disciplina ex art. 2560 cc rispetto alla “cessione di passività” di cui al provvedimento di risoluzione è confermata dalla condivisibile e consolidata giurisprudenza della Cassazione in tema di analoga incompatibilità della regola ex art. 2560 secondo comma cc rispetto alla disciplina di cui all’art. 58 TUB in materia di cessione di aziende bancarie. Secondo tale orientamento, puntualmente richiamato dagli attori, infatti: “In tema di cessione di azienda in favore di una banca, l’art. 58 del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, prevedendo il trasferimento delle passività al cessionario, in forza della sola cessione e del decorso del termine di tre mesi dalla pubblicità notizia di essa (secondo quanto previsto dal comma 2 dello stesso art. 58), e non la semplice aggiunta della responsabilità di quest’ultimo a quella del cedente, deroga alla norma di cui all’art. 2560 cod. civ., sulla quale prevale in virtù del principio di specialità. Ne consegue che, in caso di cessione di azienda bancaria, alla cessionaria si trasferisce anche l’obbligazione sanzionatoria ricompresa tra i debiti della banca cedente, inclusi nella cessione stessa, e già sorta per effetto dell’illecito compiuto dai soggetti ad essa appartenenti.” (così Cass. n.22199/2010; nello stesso senso cfr. anche Cass. n.18528/2014 e n.2523/2017)”.

Analoghe conclusioni sono state rassegnate dall’Arbitro per le Controversie Finanziarie.

Come già affermato in precedente analogo giudizio (Trib. Ancona – Sez. Imprese – n. 331/19 del 20 febbraio 2019), il Tribunale ritiene tuttavia che tali conclusioni non possano essere condivise; peraltro, la sentenza del Tribunale di Milano è stata riformata dalla Corte di Appello di Milano con la sentenza n. 917!9 del 28 febbraio 2019, che ha negato la legittimazione passiva di UBI in vicenda analoga.

Va in primo luogo richiamato l’insegnamento tradizionale della Suprema Corte in merito all’art. 2560 c.c. (SS.UU. 28 febbraio 2017, n. 5054), secondo il quale, nella cessione di azienda, occorre “ricondurre la responsabilità dell’avente causa nell’alveo della evidenza diretta, risultante dai libri contabili obbligatori dell’impresa (cedente), a tutela del suo legittimo affidamento…”, in tal modo escludendo che obbligazioni non risultanti dai libri contabili e in corso di accertamento al momento della cessione o ad essa successive possano gravare sul cessionario.

Appare inoltre applicabile alla fattispecie l’art. 47 del d.lgs. n. 180/2015, che detta disposizioni comuni a tutte le cessioni disciplinate dalle sottosezioni I, II e III del medesimo decreto, tra cui anche quella in favore dell’ente-ponte, il quale, al comma terzo, prevede esplicitamente che solo “se la cessione ha ad oggetto crediti, si applica l’articolo 58, comma 3 del Testo Unico Bancario”.

Detta previsione sarebbe infatti inutile se si dovesse ritenere che l’art. 58 TUB si applica in tutti i casi di cessione in cui è parte una banca: da ciò deriva che l’art. 58 TUB – nel regime disciplinato dal d.lgs. n. 180/2015 – non è invece applicabile, se non limitatamente alle parti esplicitamente richiamate e, cioè, il terzo comma.

L’interpretazione proposta appare indefettibile, in quanto è fondata sull’esplicito tenore letterale della norma richiamata e appare di stretta consecutorietà logicità: nella specifica fattispecie non si vede altra ragione per cui si sarebbe dovuta richiamare una singola disposizione dell’art. 58 TUB, qualora la norma fosse comunque applicabile integralmente alla cessione dell’azienda bancaria, se non al fine di limitare esplicitamente la sua applicazione alle disposizioni espressamente richiamate.

Del resto, ciò è confermato dalla speculare previsione dell’art. 3 del d.l. 99/2017 – per le due banche venete – secondo cui sono esplicitamente inapplicabili tutti i commi dell’art. 58 TUB ad eccezione del comma 3.

Ciò premesso, è chiaro che coloro che (già) abbiano agito nei confronti della bad bank al momento della cessione non sono titolari di un credito verificabile dalle scritture contabili, per il semplice fatto che la loro pretesa è in corso di accertamento al momento della cessione medesima. E tanto più ciò sarà vero se tale accertamento non è nemmeno ancora iniziato.

Esclusa quindi l’applicabilità dell’art. 58 TUB, non trattandosi di un credito verso la vecchia banca, non vi è dubbio che – se la disciplina applicabile fosse solo quella di cui all’art. 2560 c.c. – del relativo risarcimento risponderebbe solo il cedente, non ricorrendo una passività attratta nel regime solidaristico previsto dalla norma al fine di coinvolgere pure la responsabilità del cessionario.

Non appare per converso decisivo l’argomento riferito al fatto che le disposizioni speciali per le “banche venete” abbiano esplicitamente escluso dalla cessione i risarcimenti del tipo azionato nel presente giudizio: oltre al fatto che si tratta di normativa successiva a quella qui rilevante (che per definizione non può essere interpretata in base ad una legge successiva), non può in via assoluta escludersi (da un punto di vista logico) che si sia inteso solo esplicitare un assetto di interessi già insito nel complesso delle disposizioni applicabili anche alle “quattro banche”, stante peraltro il sicuro intento comune ai due legislatori di assicurare la continuità della gestione bancaria.

Tornando quindi all’individuazione delle coordinate normative rilevanti per la vicenda Banca Popolare ZZZ, nell’intento di stabilire se si siano trasferiti all’ente-ponte anche gli oneri risarcitori per le condotte illecite anteriori alla cessione, occorre peraltro ulteriormente distinguere tra illeciti extracontrattuali e pretesi inadempimenti ad obblighi contrattuali e pre-contrattuali di informazione dell’investitore, in particolare sulla base della normativa inerente i servizi di investimento e con particolare riguardo a rapporti contrattuali ormai esauritisi, facenti capo alla banca ceduta, ma non oggetto di contestazioni giudiziali alla data della cessione.

Per tutti gli ipotizzabili illeciti, sono sicuramente preesistenti alla cessione dell’azienda gli illeciti medesimi (l’inadempimento o il fatto illecito della vecchia banca), come qui allegati dagli attori e sopra già ricordati, nonché il conseguente danno, come qui allegato e quantificato dalle medesime parti.

Invece il presente giudizio è stato introdotto sicuramente dopo la cessione e quindi, ai sensi delle norme sopra richiamate, non vi era un giudizio già in atto al momento della cessione medesima.

Occorre allora stabilire se l’eventuale preesistenza dell’illecito e del danno sia sufficiente per sostenere che si tratti già per il cessionario, cioè per l’ente-ponte, di una passività, nel senso inteso dalle norme richiamate, e quindi se la stessa si sia trasferita all’ente-ponte e da questo alla banca incorporante.

Come già rilevato dal Tribunale, per quanto possa sostenersi che il termine “passività” sia stato impiegato in modo a-tecnico e onnicomprensivo dalle norme qui rilevanti, non vi è dubbio che quando lo stesso è impiegato, ad esempio in materia di bilancio, è sempre un sinonimo di debito, trattandosi di un rapporto di genere a specie e, inoltre, trattandosi di una fattispecie di cessione di azienda, è evidente che deve trattarsi di una passività, cioè di un debito, suscettibile di essere ceduto e quindi tale da poter essere oggetto di una valutazione giuridica, concetto che per sua natura postula quelli di determinatezza e conoscibilità.

Sembra dunque doversi sostenere che, con riferimento al danno allegato e oggetto del giudizio, lo stesso fosse – al momento della cessione – solo ipotetico, latente e certamente non determinabile, né conoscibile da parte del cessionario, con esclusione pertanto nella fattispecie della nozione di debito cedibile richiamata dall’art. 2560 c.c.

Infatti, se il cessionario non è in grado di valutare, neppure in termini ipotetici, l’esistenza di un debito, che al momento della cessione è solo potenziale, non può ritenersi sussistente una “passività” trasferibile, nel senso tipico della vicenda circolatoria propria della cessione di azienda, nella quale rientra anche quella (bancaria) di cui al presente giudizio.

Ciò è tanto più vero se si tratti di pretese oggetto di controversie non ancora sorte al momento della cessione.

Quanto precede vale dunque ad escludere che possano essere ricomprese nella cessione le pretese risarcitorie derivanti da qualsiasi fatto fonte di responsabilità extracontrattuale, stante l’assenza in tal caso anche di un qualsiasi rapporto giuridico preesistente (e verificabile) in cui l’ente-ponte sia subentrato.

Quindi, la responsabilità ex artt. 2043 e ss. c.c. invocata dall’attore deve essere esclusa dal novero delle “passività” oggetto di trasferimento all’ente-ponte e, da questi, all’ente incorporante costituitosi in giudizio.

Analoghe considerazioni valgono per l’eventuale responsabilità pre-contrattuale imputabile alla old bank, trattandosi anche in tal caso di illecito aquiliano.

Tra l’altro si osserva che pur nell’ambito della specialità della cessione bancaria (peraltro come visto non essendo applicabile al caso concreto l’art. 58 TUB), la stessa non potrebbe comunque spingersi fino a ricomprendere passività che, oltre a non essere registrate in contabilità, non sono neppure prevedibili secondo criteri di normalità, perché non riferibili, neppure indirettamente, a rapporti giuridici in essere alla data della cessione.

Tuttavia occorre anche verificare se sia applicabile alla fattispecie concreta l’art. 2558 c.c., sussistendo (anche con riferimento all’art. 43 del d.lgs. 180/15), alla data della cessione, un rapporto contrattuale con gli attori, nel quale l’ente-ponte è subentrato e per il quale lo stesso

(e quindi l’ente incorporante costituito in giudizio quale successore universale) possa essere ritenuto responsabile per l’eventuale inadempimento antecedente alla cessione, sebbene l’azione per il suo accertamento sia iniziata successivamente alla stessa.

E’ infatti pacifico (ex plurimis, Cass. Sent. 29 aprile 1999, n. 4301) che, in caso di trasferimento d’azienda, si verifica il trasferimento al soggetto acquirente di tutti i rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive (non aventi carattere personale), a norma appunto dell’art. 2558 cc, con conseguente responsabilità dell’acquirente dell’azienda per l’inadempimento dei relativi contratti, a prescindere qui dalla verificabilità della relativa passività nelle scritture contabili.

Non si tratta, come già sopra ampiamente visto (e come affermato più volte dai medesimi attori) del contratto di prestito obbligazionario subordinato, in conseguenza dell’intervenuto “azzeramento” dei diritti dallo stesso derivanti. Gli attori, in forza di legge, subiscono definitivamente gli effetti delle perdite maturate dalla bad bank, né ovviamente sono mai divenuti obbligazionisti dell’ente-ponte.

D’altra parte, la responsabilità contrattuale non è neppure invocabile con riguardo alla c.d. responsabilità da prospetto (art. 94 TUF), stante la sua natura di responsabilità extracontrattuale e pre-contrattuale. Il che esclude anche il trasferimento all’ente ponte (e da questi all’incorporante) della responsabilità per i profili, allegati dagli attori, inerenti il comportamento dei funzionari e dirigenti della vecchia banca con riguardo all’operazione di emissione dei titoli obbligazionari.

Quindi, anche a voler affermare la sussistenza della c.d. responsabilità da prospetto, in relazione ai comportamenti imputati ai dirigenti della vecchia banca, poiché la Suprema Corte (SS.UU. 8034/11, in sede di conflitto di competenza) ha chiarito che la responsabilità da prospetto non veridico è da illecito aquiliano (per tutti i soggetti che abbiano materialmente provveduto alla sua redazione o che ne abbiano successivamente fatto uso in sede di offerta pubblica o di privato collocamento dei titoli), in quanto la responsabilità nasce dalla propalazione di notizie false o fuorvianti, ne deriva che la redazione, pubblicazione e consegna da parte dell’offerente del prospetto falso esaurisce la condotta illecita.

La responsabilità da prospetto grava quindi, in primo luogo, sull’emittente, qualità che nel caso concreto è stata esclusa con riferimento alla banca convenuta.

Inoltre, trattandosi di responsabilità extra-contrattuale, vale quanto già sopra rilevato in tema di intrasferibilità della relativa responsabilità all’ente-ponte e, quindi, alla banca incorporante.

Occorre tuttavia ancora verificare se l’ente-ponte e la banca successivamente incorporante possano rispondere, essendo subentrati nel rapporto in essere con gli attori, con riguardo alla responsabilità imputabile alla old bank in qualità di intermediario che, peraltro in conflitto di interessi, ha curato la negoziazione dei titoli.

Come ben evidenziato dalla difesa attorea, sotto il profilo della responsabilità, è opportuno tenere distinto, dal soggetto emittente i titoli obbligazionari, il soggetto professionale di cui l’emittente si serve per il collocamento dei medesimi titoli, anche quando in concreto le due qualità coincidano nel medesimo soggetto di diritto.

Il collocatore infatti, la old bank, intratteneva con gli attori anche un diverso rapporto contrattuale, antecedente alla cessione dell’azienda bancaria, e cioè quello che gli attori medesimi definiscono come contratto-quadro, rispetto al quale l’ordine di acquisto delle obbligazioni subordinate a suo tempo effettuato dagli attori ha rappresentato (solo) un momento esecutivo di svolgimento del rapporto (circostanze queste non controverse tra le parti).

Il titolo della conseguente responsabilità può essere qui rintracciato nei doveri di comportamento degli intermediari finanziari, puntualmente richiamati dagli attori, secondo innanzitutto l’art. 21 TUF, ed è indubbio che in tal caso ricorra una responsabilità contrattuale.

La Cassazione ha infatti chiarito (Sent. 19 dicembre 2007, n. 26724 e 10 aprile 2014, n. 8464) che, in tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni, che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario, può dar luogo a responsabilità precontrattuale ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti (il c.d. contratto quadro, accostabile peraltro, per taluni aspetti, alla figura del mandato); da luogo invece a responsabilità contrattuale, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto quadro (dovendosi peraltro escludere la nullità dell’accordo quadro, mancando una esplicita previsione normativa in tal senso, per la violazione dei menzionati doveri di comportamento).

Nella fattispecie concreta, pur sembrando sussistere prima facie (nonostante le avverse deduzioni sul punto della banca convenuta) elementi per affermare in capo alla vecchia banca la violazione dei doveri di correttezza e trasparenza in sede di collocamento delle obbligazioni (stante il conflitto di interessi e la situazione patrimoniale di cui gli organi sociali era sicuramente a conoscenza), e quindi comunque in sede di esecuzione del contrato quadro inerente la prestazione di servizi finanziari, già in essere con gli attori, resta ancora da stabilire se la banca cessionaria, subentrata nel contratto-quadro ex art. 2558 c.c., debba rispondere dell’inadempimento a suo tempo consumato dalla Banca Popolare ZZZ S.p.A.

Anche sotto questo profilo, il Tribunale ha già rilevato, nel precedente sopra citato, che la risposta debba essere negativa, secondo un orientamento che va allo stato confermato. Ciò in quanto, in base ai principi applicabili in materia, la responsabilità contrattuale imputabile al cessionario dell’azienda riguarda solo le prestazioni non ancora eseguite ovvero gli inadempimenti già contestati e da lui conoscibili al momento della cessione, mentre non è riferibile alle prestazioni già rese ed esauritesi, del cui inadempimento risponde solo il cedente.

La Cassazione (Sent. 15 settembre 2009, n. 19870) conferma che l’art. 2558, comma 2 c.c., dopo aver previsto la successione automatica del cessionario nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda (non aventi carattere personale), prevede la facoltà per il terzo ceduto di recedere per giusta causa dal contratto, entro tre mesi dalla notizia della cessione e, in questo caso, fa salva la responsabilità del cedente.

La norma viene tradizionalmente interpretata nel senso che non è una norma di favore per il terzo ceduto, ma una norma posta a garanzia della continuità aziendale e dell’unitarietà del suo esercizio che, eccezionalmente, riconosce al soggetto che subisce coattivamente gli effetti di una modifica del rapporto contrattuale, la possibilità di sciogliersi da quel rapporto in presenza di una giusta causa.

Tale forma di tutela, al pari di altri casi di recesso, non prevede forme ulteriori di risarcimento per il recedente e solo in relazione agli effetti economici sfavorevoli che potrebbero derivare dal fatto di privare l’azienda di un rapporto contrattuale sul quale il cessionario aveva confidato, fa salva la responsabilità dell’alienante verso quest’ultimo.

La norma dispone quindi anche una netta separazione in tema di possibili pretese risarcitorie azionabili dal soggetto ceduto.

Con riferimento alle prestazioni già rese ed esauritesi (nel caso concreto l’esecuzione dell’ordine di investimento in obbligazioni della banca), anche se sulla base di un profilo di investitore asseritamente errato e in presenza di verosimile conflitto di interessi in capo all’intermediario e di inadempimento degli obblighi informativi sullo stesso gravanti, ma non ancora oggetto di accertamento all’epoca della cessione, la responsabilità deve necessariamente gravare sull’alienante, parte originaria del rapporto, mentre graverà sul cessionario la sola responsabilità per le obbligazioni a venire, eventualmente attuate in esecuzione del rapporto di durata trasferitosi allo stesso.

In definitiva, in base ai predetti principi di diritto, nemmeno la allegata responsabilità da inadempimento della vecchia banca può dirsi trasferita all’ente-ponte e da questi all’ente incorporante.

Tutto quanto sopra premesso, va quindi accolta l’eccezione di difetto di legittimazione passiva in capo alla banca convenuta.

Stante la novità delle questioni trattate e l’esistenza di diversi orientamenti giurisprudenziali, in particolare al momento dell’avvio dell’azione, appare equa la integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

definitivamente pronunziando nella causa iscritta al R.G. n. /2017, respinta ogni altra istanza, domanda ed eccezione:

dichiara il difetto di legittimazione passiva di KKK s.p.a.; 

spese compensate.

Ancona, 17 aprile 2019

Il Giudice

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