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Responsabilità del medico, applicabilità della legge Gelli

Responsabilità del medico, applicabilità della legge Gelli ai fatti antecedenti la sua entrata in vigore, esclusione.

Pubblicato il 26 November 2018 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE
02 Seconda sezione CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 3193/2018 pubblicata il 23/11/2018

nella causa civile iscritta al n. r.g. promossa da:

XXX (C.F.), con il patrocinio dell’avv.; elettivamente domiciliato in presso il difensore avv.

ATTRICE contro

YYY (C.F.), con il patrocinio dell’avv., elettivamente domiciliato presso il difensore avv.

ZZZ, con il patrocinio dell’avv., elettivamente domiciliato presso il difensore avv.

CONVENUTI

Conclusioni

Nell’interesse di parte attrice: “
a. Dichiarare le parti convenute, in solido, ovvero nei rispettivi limiti soggettivi ed oggettivi, responsabili dei danni subiti dalla Sig.ra XXX (come in epigrafe identificata e difesa) a seguito degli interventi chirurgici maxillo-facciali occorsi nel complessivo periodo giugno-luglio 2002

– gennaio-marzo 2003;

b. Accertare e liquidare tale danno (nella sua connotazione complessiva patrimoniale

biologica, così come articolata in allegazione di parte attrice, e/o su base equitativa) nella misura di € 98.778,00, oppure nella differente misura ritenuta di giustizia a seguito della svolta attività istruttoria (e dunque in tesi la percentuale del 15% riconosciuta dal Dott. *** e in ipotesi la percentuale dell’8% riconosciuta dai CTU), oltre a rivalutazione, spese e interessi, come per legge, questi ultimi a fare data dalla domanda di risarcimento e fino al soddisfo;

c. Condannare le parti convenute, in solido, ovvero nei rispettivi limiti di responsabilità, al pagamento del danno, come liquidato al punto precedente, in favore dell’attrice Sig.ra XXX, come identificata e difesa nel presente atto;

d. Accertare e liquidare il danno non patrimoniale subito dalla Sig.ra XXX, così come articolato in allegazioni di parte attrice, e/o su base equitativa, nella misura di € 20.000,00, oppure nella maggiore o minore misura ritenuta di giustizia, oltre a rivalutazione e interessi come per legge, a fare data dalla domanda di risarcimento e fino al soddisfo;

e. Condannare le parti convenute, in solido, ovvero nei limiti delle proprie responsabilità, al pagamento in favore della parte attrice delle spese mediche sostenute dalla Sig.ra XXX, come quantificate in 2.000,00 euro oltre interessi a fare data dal mese di giugno 2002 e fino al soddisfo;

f. Condannare le parti convenute, in solido ovvero nei rispettivi limiti di responsabilità, al pagamento delle spese processuali in favore dell’attrice Sig.ra XXX, comprese quelle della CTU e delle CTP.”

Nell’interesse di YYY: “In tesi: accertare e dichiarare il corretto operato di tutti i sanitari di YYY e, per l’effetto, rigettare le domande avanzate da parte attrice nei confronti di YYY; – rigettare la richiesta di parte attrice in ordine al pagamento delle spese mediche sostenute dalla Sig.ra XXX in quanto non provate e non documentate; in ipotesi: nella denegata ipotesi in cui venisse riconosciuta una responsabilità di YYY nella vicenda per cui è causa, accertare e dichiarare la congruità dell’offerta formulata dall’YYY in sede transattiva”.

Nell’interesse di ZZZ: “Piaccia all’Ill.mo Giudice del Tribunale di Firenze, nel merito: respingere la domanda attrice così come avanzata e formulata in quanto infondata in fatto ed in diritto. In denegata ipotesi: Nel caso di accertamento di responsabilità , anche concorsuale del medico convenuto, dichiarare congrua e satisfattiva la somma offerta ante causam dall’YYY . Con vittoria di spese ed onorari”.

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione

Con atto di citazione ritualmente notificato la signora XXX conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Firenze l’YYY e il Dott. ZZZ, esponendo che: – a seguito di un incidente stradale avvenuto il 26.02.2002, l’attrice riportava esiti traumatici, valutati in sede di responsabilità civile da circolazione stradale come invalidità permanente nella misura dell’80%; – la stessa si sottoponeva perciò a molteplici interventi chirurgici tra cui quello di applicazione, di due espansori tissutali in regione frontale dx e mandibolare dx-espansione primaria, eseguito nel gennaio 2003 dal Dottor ZZZ presso il *** di ***;

– a seguito di una risonanza magnetica effettuata in data 15.10.2010, veniva rilevata la presenza di “un artefatto di verosimile natura ferrignosa a carico dell’emivolto destro” che costringeva la sig.ra XXX a sottoporsi ad esami più approfonditi presso il *** di ***, confermanti la presenza del corpo estraneo;

– secondo la ricostruzione effettuata dal medico legale incaricato, il corpo estraneo di cui sopra deve ritenersi una “punta di fresa” proveniente dall’intervento effettuato nel gennaio 2003 dal Dottor

ZZZ;

– detto intervento ha perciò provocato una lesione alla integrità psico-fisica dell’attrice;

– a seguito dell’evento lesivo sono derivati un danno patrimoniale per 2.000,00 per spese mediche, un danno biologico quantificato in una invalidità permanente nella misura del 20% e un ulteriore danno non patrimoniale, quantificato in ulteriori 15 punti percentuali di invalidità, consistente nel precoce invecchiamento, nel peggioramento della vita di relazione e familiare, nel ridimensionamento delle possibilità lavorative, nella presenza di frequenti sintomatologie dolorose (cefalee) e di sindrome ansiosa e depressiva, dovuta alla situazione di incertezza sulla propria salute derivante dalla impossibilità di effettuare accertamenti diagnostici di importanza vitale (es. risonanza magnetica);

– di tali danni deve ritenersi responsabile il dott. ZZZ, quale medico chirurgo che ha commesso l’errore medico, in solido con l’YYY, presso cui prestava servizio alla data dell’intervento, ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c.;

– in sede stragiudiziale, dopo espletamento di un’indagine interna disposta dall’Azienda convenuta, questa riconosceva all’attrice un danno biologico del 7% e offriva alla stessa la somma di € 12.412,00 come risarcimento; l’attrice, tuttavia, non ritenendo congrua l’offerta proponeva l’odierno giudizio.

Con comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata si costituiva in giudizio l’YYY esponendo che:

– il residuo metallico in questione era espressione di una “mera spina irritativa” e non ha dato luogo ad alcuna reale e concreta complicanza di natura neurochirurgica;

– non è stata fornita prova del nesso causale tra la presenza nel cranio della XXX di un residuo metallico e i danni non patrimoniali lamentati da questa, potendo ritenersi invece quest’ultimi conseguenti agli esiti traumatici di grande importanza riportati a seguito del sinistro avvenuto nel febbraio 2002;

– circa la quantificazione del danno non patrimoniale, nella denegata ipotesi di riconoscimento di una responsabilità dell’Azienda, questa deve essere limitata a quella parte di danno compatibile con disturbi dolorosi, che comunque si sovrappongono a quelli connessi agli esiti cicatriziali e psichici post sinistro stradali e, quindi, valutato al massimo nella misura del 7% di punti di invalidità permanente;

– quanto al danno patrimoniale, non risultano documentate le spese mediche che parte attrice quantifica in € 2.000,00 e, in ogni caso, non sono dovute per difetto di prova documentale; manca altresì la prova che lo stato d’ansia e depressione sia stato causato dal residuo metallico;

– l’inutilizzabilità nel presente giudizio ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 10 del D. Lgs. 28/2010, delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite in sede di procedimento di mediazione, stante l’obbligo di riservatezza ivi previsto.

In seguito a rinnovo della notifica dell’atto di citazione, con comparsa di costituzione e risposta si costituiva in giudizio il Dott. ZZZ osservando quanto segue:

– gli interventi chirurgici posti in essere dal medico convenuto nei confronti della sig.ra XXX sono stati di complessità enorme ed eseguiti con la dovuta diligenza in situazione di estrema urgenza e volti a salvarle la vita;

– non è stato provato il nesso di causalità tra la condotta del medico e l’evento lesivo;

– non è stato provato il nesso di causalità tra i danni lamentati dall’attrice e l’evento lesivo per cui è causa.

La causa è stata istruita tramite prove documentali, nonché a mezzo di due ctu essendo la prima rinnovata su richiesta dell’attrice.

Le parti hanno precisato le conclusioni in data 14.6.18 e, a seguito dello scambio delle comparse conclusionali e delle repliche, la causa è stata spedita in decisione. ************

1) Sulla disciplina applicabile al caso di specie
Preliminarmente occorre affrontare la questione della disciplina applicabile ai fatti di causa, rilevante ai fini della qualificazione della responsabilità ascrivibile ai convenuti e del conseguente criterio di riparto dell’onere probatorio.

Per quanto concerne la corretta qualificazione della responsabilità dell’ente ospedaliero a seguito del D.L. 158/2012, conv. da legge 189/2012 (c.d. decreto Balduzzi) e della successiva legge 24/2017 (c.d. legge Gelli), si osserva che i recenti interventi legislativi non hanno in alcun modo inciso sulla qualificazione come contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria.

Rimane quindi fermo il consolidato orientamento della Suprema Corte che individua il fondamento della responsabilità dell’ente ospedaliero nel contratto atipico di spedalità che viene concluso con il paziente una volta che quest’ultimo viene preso in carico dalla struttura (in questo senso, da ultimo anche Tribunale Milano sez. I, 2.3.2018, n. 2483).

L’ente ospedaliero convenuto dal danneggiato può essere, quindi, responsabile per fatto proprio, ai sensi dell’art. 1218 c.c., ove i danni siano dipesi dall’inadeguatezza della struttura, ovvero per fatto altrui, ex art. 1228 cod. civ., ove tali danni siano dipesi dalla colpa dei sanitari di cui l’ospedale si avvale (Cass. Civ. sez. III, n. 1620/2012).

Per quanto attiene, invece, alla responsabilità del medico, è noto che, secondo il diritto vivente, affermatosi a partire dalla sentenza della Cassazione n. 589/1999, la prestazione del sanitario deve qualificarsi come prestazione negoziale nascente dal c.d. contatto sociale, anche in mancanza di un contratto stipulato direttamente con il paziente.

Tale natura non poteva dirsi mutata a seguito del richiamo all’art. 2043 c.c. contenuto nell’art. 3, comma 1, del D.L. 158/2012, conv. da legge 189/2012.

Infatti, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, la novella contenuta nel c.d. decreto Balduzzi si limita ad indicare una particolare evoluzione del diritto penale vivente, col fine di agevolare l’utile esercizio dell’arte medica, evitando il pericolo di pretestuose azioni penali, senza modificare, tuttavia, la materia della responsabilità civile che segue le sue regole consolidate per la cosiddetta “responsabilità contrattuale” del medico e della struttura sanitaria, da contatto sociale (Cass. 4030/2013).

A seguito della entrata in vigore della legge 24/2017, la responsabilità del medico dipendente è stata ricollocata nell’ambito dell’illecito aquiliano (art. 7, comma 3), con conseguente superamento del granitico orientamento giurisprudenziale affermatosi a far data dalla sentenza Cass. n. 589/1999. Si pone, pertanto, la questione di diritto intertemporale concernente l’esatta qualificazione della responsabilità del medico dipendente per fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore dell’attuale dettato normativo.

Sul punto, le pronunce di merito finora intervenute escludono l’applicabilità della legge Gelli, sotto il profilo della natura extracontrattuale della responsabilità del medico, ai fatti antecedenti la sua entrata in vigore. In particolare, è stato osservato come l’assenza di alcuna disposizione intertemporale non consente di derogare alla previsione di cui all’art. 11 delle preleggi (in tal senso Tribunale di Mantova sez. II, 1.3.2018), con la conseguenza che la responsabilità exra-contrattuale del medico deve poter operare solo per i fatti successivi alla entrata in vigore della legge de qua.

Aderendo alla tesi opposta della retroattività della legge Gelli-Bianco estendendola anche ai fatti già verificatisi al momento della sua entrata in vigore inciderebbe negativamente sul fatto generatore del diritto alla prestazione, ledendo – così – ingiustificatamente il legittimo affidamento dei consociati in ordine al regime contrattuale della responsabilità del medico, con gravi ripercussioni sul piano della prescrizione e dell’onere della prova (in tal senso Tribunale di Avellino, Sez. II, 28.6.2017).

Ciò creerebbe una sostanziale violazione dell’art.3 Cost. perchè si verrebbe a creare una situazione per cui fatti accaduti nella stessa epoca verrebbero ad essere disciplinati ora dall’art. 2043 c.c. ora dall’art. 1218 c.c., quindi con diversi regimi in ordine alla ripartizione dell’onere probatorio e alla prescrizione, solo in ragione del diverso momento in cui questi sono sottoposti al vaglio del giudice; per giunta il ritardato risarcimento del medico imperito e negligente sarebbe premiato dalla più favorevole disciplina rispetto a casi accaduti nello stesso periodo e per i quali vi sia stato un tempestivo risarcimento. È evidente come l’opzione ermeneutica ora considerata produrrebbe concretamente una situazione per cui fattispecie analoghe, verificatesi nel medesimo lasso temporale, sarebbero assoggettate ad un diverso trattamento giuridico, con possibili profili di incompatibilità con l’art. 3 Cost. dell’art. 7, comma 3, legge Gelli , nella parte in cui non prevede una norma intertemporale che stabilisca l’applicabilità di una simile disposizione ai soli fatti successivi all’entrata in vigore della legge.

Pertanto, al fine di scongiurare una simile evenienza, corre l’onere per il giudicante di scegliere, tra le diverse opzioni interpretative possibili di un dato testo normativo, quella che risulti compatibile con il dettato costituzionale e con la specifica norma generale sulla successioni di leggi nel tempo prevista dall’art. 11 preleggi (Cass. Sez. Un. 136/1999).

Ne consegue che, anche per tale ragione, si ritiene di aderire all’opzione interpretativa che si sta affermando nella giurisprudenza di merito sopra richiamata e di escludere, quindi, l’applicazione della legge Gelli al caso di specie.

2) Sui fatti costitutivi della domanda di parte attrice
Attesa la natura contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria e del medico astrattamente applicabile ai fatti di cui è causa, deve ritenersi applicabile il regime di ripartizione dell’onere della prova individuato in linea generale dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui “l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare il contratto (o il contatto sociale) e l’aggravamento della patologia o l’insorgenza di un’affezione ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato. Competerà al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante” (Cass. Sez. Un. 13533/2001).

Peraltro, come chiarito dalla Corte di Cassazione, l’inadempimento rilevante nell’ambito dell’azione di responsabilità per risarcimento del danno nelle obbligazioni così dette di comportamento non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisce causa (o concausa) efficiente del danno. Ciò comporta che l’allegazione del creditore non può attenere ad un inadempimento, qualunque esso sia, ma ad un inadempimento, per così dire, qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno. Competerà al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è proprio stato ovvero che, pur esistendo, non è stato nella fattispecie causa del danno”(Cass. 7549/2012).

Alla luce di tali principi va, dunque, esaminata la fattispecie oggi all’esame del tribunale.

Per esaminare i profili di inadempimento che l’attrice ha posto a base della domanda si è provveduto alla nomina di un primo consulente tecnico d’ufficio in persona del dott. ***, specialista in ortopedia e medicina legale, attinto da Genova, che ha stimato l’IP all’8% quale danno iatrogeno subito dall’attrice a seguito de ricovero urgente in ospedale dopo il sinistro stradale.

Successivamente su richiesta dell’attrice che lamentava la sottostima dei danni, in rapporto alla presenza di una punta di fresa all’interno del suo cranio in zona frontale, con conseguenti forti ripercussioni su stati psichici, e vita di relazione, il giudice ha disposto il rinnovo delle operazioni peritali nominando il neurochirurgo e psichiatra *** fuori Distretto.

Anche le conclusioni del secondo ctu non hanno portato ad individuare una compromissione dell’integrità psico fisica dell’attrice del tipo macropermanente come da essa sostenuto, essendosi anche il secondo ctu attestato su percentuali di IP lontane da quella indicata dall’attrice al 20%, la quale, si è stimato essere la risultante anche dei dnani derivanti dal sinistro stradale e dalle gravi conseguenze che ne sono derivate tra cui l’amputazione di un arto superiore e di un dito della mano di per sé in rapporto di causalità con l’attuale danno psichico accertato al 20% in totale (comprensivo del danno iatrogeno).

Si ritiene quindi di recepire la ctu del dott. ***, in quanto risulta immune da vizi logici e dà conto delle ragioni che lo portano a superare le osservazioni del perito di parte attrice.

In particolare, la perizia del medico legale, dott. ***, ha accertato la presenza, in regione orbitaria destra, di un “moncone di punta di fresa esteso per circa 2 cm, in corrispondenza dell’osso molare” (relazione peritale dott. *** pp. 14-15).

Secondo il perito la ritenzione di detto corpo estraneo è da mettere in relazione causale con i trattamenti praticati per le riparazione delle multiple fratture cranio-facciali, “essendo soddisfatti tutti i criteri necessari all’individuazione di un nesso di causalità materiale (topografico, cronologico, di efficienza lesiva, di continuità fenomenologica, statistico-epidemiologico oltre che di esclusione di altre cause)” (relazione peritale dott. *** pp. 32-33).

Non risulta peraltro che né le parti convenute, né i rispettivi consulenti tecnici di parte, abbiamo sollevato contestazioni in ordine alla riconducibilità di un simile corpo estraneo alla rottura di una fresa durante gli interventi chirurgici cui è stata sottoposta la paziente negli anni 2002-2003, eseguiti dal dott. ZZZ.

Ciò che, invece, costituisce tema controverso è la sussistenza o meno, all’epoca dei fatti, del dovere del medico operante di controllare l’integrità degli strumenti adoprati in sala operatoria, dopo il loro utilizzo.

Infatti, un simile controllo avrebbe consentito di rilevare la rottura della fresa e, quindi, di rimuovere prontamente la punta spezzata dal cranio dell’attrice o, comunque, di segnalare tempestivamente una simile evenienza. Sul punto, il CTU ha precisato che, all’epoca dei fatti, costituiva già consuetudine o prassi, ma solo in alcuni reparti, la conta degli strumenti e dei mezzi utilizzati in sala operatoria, comprensiva anche dei materiali detti di consumo (uno per tutti le garze); tuttavia, non esistevano Linee Guida che imponessero tale procedura, quantomeno sul territorio nazionale (relazione peritale dott. *** – p. 21).

In ogni caso, secondo il perito del Tribunale, “il responsabile di equipe poté certamente accorgersi della mancanza del pezzo nell’atto di trasmettere la fresa allo strumentista o al collaboratore. Ma, nell’ipotesi di una sostituzione di punta (ovvero differente calibro di punta) lo strumentista circonda la stessa con una garza, al fine di fare una presa migliore e, pertanto, la nasconde ai suoi ed agli altrui occhi, avendo dalla sua la sola sensazione tattile di una minore lunghezza (..). Pertanto, a un controllo non accurato, la ritenzione di parte della punta potrebbe essere sfuggito. Certo è che tale scarsa accuratezza rientra senza alcun dubbio nell’alveo della negligenza” (relazione peritale dott. *** – p. 22).

Sul punto si richiama giurisprudenza di legittimità che ha riconosciuto il diritto al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a causa della presenza di un residuo metallico di fresa dimenticato nella mandibola del paziente, a seguito di un intervento di implantologia, per negligenza ed imperizia del medico e della struttura sanitaria di supporto, per la mancanza di controlli adeguati postintervento (Cass. 4198/2010).

In replica alle osservazioni del C.T.P. del dott. ZZZ, secondo cui il responsabile dell’équipe non sarebbe tenuto al controllo della integrità dello strumentario e conteggio dello stesso, il C.T.U. dott. *** ha precisato che “nessuno può esimersi dal conoscere e valutare l’attività svolta dai colleghi e dal controllarne la corretta esecuzione. Il controllo dei ferri e della loro integrità spetta all’intera équipe operatoria; regole semplici di diligenza, prudenza e perizia impongono di controllare l’intero strumentario dopo la sutura cutanea, in quanto a una eventuale omissione si può porre rimedio nell’immediato, attraverso un trauma minimo (desutura) (..),ex art 1228 c.c. il chirurgo operante in qualsivoglia struttura e a qualsiasi titolo, è responsabile dell’attività del personale ausiliario messogli a disposizione”.

In proposito in materia di responsabilità in équipe medica esiste un consolidato orientamento giurisprudenziale vd. anche recente Sentenza n. 2060 del 29/01/2018 che afferma “L’obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell’ equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali, sicchè rientra tra gli obblighi di ogni singolo componente di una equipe chirurgica, sia esso in posizione sovra o sotto ordinata, anche quello di prendere visione, prima dell’operazione, della cartella clinica contenente tutti i dati per verificare la necessità di adottare particolari precauzioni imposte dalla specifica condizione del paziente ed eventualmente segnalare, anche senza particolari formalità, il suo motivato dissenso rispetto alle scelte chirurgiche effettuate ed alla scelta stessa di procedere all’operazione, potendo solo in tal caso esimersi dalla concorrente responsabilità dei membri dell’ equipe nell’inadempimento della prestazione sanitaria. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto sussistente la concorrente responsabilità del secondo aiuto di una equipe chirurgica il quale, pur avendo correttamente eseguito i compiti di sua stretta competenza, aveva omesso di rilevare che il paziente versava in condizioni fisiche alterate, individuabili attraverso gli esami ematici presenti nella cartella, tali da sconsigliare altamente l’intervento operatorio, peraltro non necessario né urgente).

Dunque come nel caso della circolazione stradale anche in ambito sanitario esistono “obblighi divisi” e ciascun partecipe dell’equipe non può limitarsi ad assolvere agli obblighi della propria mansione, ma deve anche accorgersi ed impedire gli errori manifesti degli altri componenti della équipe, che si appalesino come tali a prescindere dalla specifica disciplina (es. in cartella clinica sta scritto che l’arto da operare è il sinistro mentre il chirurgo si accinge a procedere sul destro; oppure come nel caso di cui alla citata sentenza 2018, il caso dell’aiuto chirurgo che non ha fatto nulla per evitare che si facesse un intervento chirurgico sconsigliato dai valori ematici alterati risultanti dalla cartella).

Tale dovere di vigilanza è maggiormente pregnante per il capo équipe come era appunto il chirurgo dott. ZZZ; anche lo strumentista dipendente dell’azienda Asl convenuta avrebbe dovuto rilevare la mancanza della punta della fresa consegnatagli del chirurgo a seguito dell’asportazione dalla paziente, non potendo il suo controllo essere limitato alla mera conta degli strumenti e non anche all’integrità degli stessi.

Inoltre la paziente sottoposta alla cura chirurgica di varie fratture ossee a seguito dell’incidente non risulta sia stata sottoposta ad una opportuna tomografia computerizzata (TC) post-operatoria che avrebbe senz’altro evidenziato la presenza del corpo estraneo metallico.

Neppure può ritenersi che le circostanze quali le particolari condizioni di urgenza in cui ha operato il medico é la complessità degli interventi compiuti possano in qualche maniera rilevare al fine di escludere la responsabilità dei convenuti stante la previsione di cui all’art. 2236 c.c., atteso che la negligenza imputata al sanitario non è in alcun modo correlata alla operazione eseguita, bensì ad un momento successivo, ovvero alla fase post-operatoria, durante la quale non sorgono problemi tecnici di particolare difficoltà, ma si impone solo l’effettuazione dei controlli richiesti dalla diligenza esigibile in relazione all’attività professionale espletata.

Alla luce di quanto osservato deve ritenersi provata la lesione dell’integrità psico-fisica subita dalla attrice a causa della condotta omissiva imputabile al dott. ZZZ, il quale deve quindi essere considerato responsabile ex art. 1218.

Pertanto, atteso che non è contestato il rapporto lavorativo del dott. ZZZ alle dipendenze dell’YYY alla data dei fatti di causa, risulta altresì integrata la responsabilità ex art. 1218 e 1228 c.c. della medesima struttura sanitaria convenuta.

3) Sulla quantificazione dei danni
Deve a questo procedersi alla quantificazione dei danni non patrimoniali e si osserva quanto segue.

All’esito della consulenza tecnica d’ufficio del dott. *** è emerso che:

– le condizioni di salute della sig.ra XXX Serena, al momento dell’intervento eseguito dal dott. ZZZ, risultavano già assai compromesse a causa di esiti traumatici di grande rilevanza (amputazione arto superiore sinistro, amputazione V dito mano destra, molteplici fratture e cicatrici faciali ed agli arti superiori);

– non vi è stata inabilità temporanea assoluta o parziale, da ascriversi ai fatti per cui è causa; infatti, la ritenzione del corpo estraneo non ha influenzato in alcun modo l’andamento dell’intervento cui la paziente fu sottoposta, né ha aumentato la degenza, la prognosi e/o la convalescenza, così come riferito dalla stessa parte attrice.

– sussistono, invece, esiti a carattere permanente rappresentati – principalmente – dalla presenza fisica del corpo estraneo in sede e dal conseguente disturbo d’ansia – definibile come classe I-II – derivato dall’aver preso coscienza dei rischi corsi sottoponendosi ad una RM (indagine cui non potrà sottoporsi in futuro);

– non vi sono, invece, lesioni che possano essere imputate a una imprudente condotta dell’attrice;

– relativamente agli allegati ipotetici danni futuri dovuti alla limitazione nell’eseguire determinati accertamenti diagnostici, questi ultimi non sembrano suscettibili di valutazione medico-legale, dal momento che è possibile ottenere risultati analoghi, mediante altri esami, magari in combinazione;

– tenuto, infine, conto del mancato esercizio di attività lavorativa e delle attività compatibili con lo stato generale della sig.ra XXX, risulta evidente come la lesione per cui è causa non influenzi – in concreto – nessuna attività tranne quella (che richiede qualifica e titolo di studio specifici) di operatore tecnico radiologico o non, destinato alla prossimità con apparecchiature ad alto campo magnetico. Ciò premesso il C.T.U., dott. ***, ha quantificato un danno connesso alla consapevolezza di avere un corpo estraneo in zona ossea facciale, come danno eminentemente psichico, ed enucleando il danno iatrogeno dal complessivo danno psichico rilevato allo stato attuale e prevalentemente però riferibile al sinistro stradale e alle sue gravi conseguenze.

Il ctu negando altri tipi di danno sul versante fisico e neurologico a apprezzato il danno psichico classificandolo in base a tabelle internazionali richiamate nella sua relazione, tra prima e seconda classe:

E attribuendo un 8% di punti percentuali di invalidità permanente (relazione peritale dott. *** p. 40).

In particolare il ctu *** ha correttamente applicato le tabelle di classificazione dei disturbi psichici internazionalmente approvate e in particolare proprio apprezzando i danni da corpo estraneo:

“omissis…..corpo estraneo (per i quali si è fatto riferimento ai testi *** e coll. 2002; *** e coll. 2009), discendono dalla consultazione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Il testo in oggetto nasce su iniziativa dell’APA (American Psychiatric Association) con la versione I del 1952, in risposta alla classificazione ICD (International Statistical Classification of Diseases, Injuries and Causes of Death, oggi giunta alla 10a versione) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Assumendo, poi, come indicazione di base l’American Medical Association, attraverso la sua “Guide sto the Evaluation of Permanent Impairment (Classes of Impairment Due to Mental and Behavioral Disorders), 5a edizione (2000), si riportano le tabelle in stralcio, testate, adottate e riconosciute per la loro validità applicativa e scientifica a livello internazionale da vari decenni”.

Peraltro, alla luce delle controdeduzioni del consulente tecnico di parte attrice, dott. ***, secondo cui il dott. ***, pur avendo ampiamente trattato la questione sotto il profilo del danno biologico – comprensivo anche del danno morale inteso come sofferenza transeunte legata al fatto illecito – non avrebbe puntualmente verificato l’incidenza sulla psiche dell’attrice di potenziali danni futuri (quali il rischio infettivo, il rischio epilettico di fistola liquorale e il rischio traumatico), eziologicamente collegabili alla ritenzione di un corpo estraneo nel cranio dell’attrice, il giudicante ha ritenuto di procedere alla nomina di un secondo consulente tecnico d’ufficio, con competenze specialistiche nello specifico ambito della neurochirurgia, traendolo dall’albo dei ctu del tribunale di Milano al fine di approfondire le questioni sottoposte dal dott. *** perito dell’attrice.

All’esito delle nuove indagini peritali, tuttavia, il secondo consulente tecnico d’ufficio, dott. ***, medico specialista in Neurochirurgia e Psichiatria, ha appurato che (si veda relazione peritale *** pp. 8 – 9): – non vi sono concreti rischi, attuali o futuri, per la salute della sig.ra XXX causati dalla limitazione all’ esecuzione della RM, se non quelli riferibili alla necessità dell’uso di macchine di RM di minor potenza nello studio di alcune parti del corpo; questa limitazione non vale per esami da eseguire in regime di urgenza o di inderogabile necessità:

– non vi sono concreti rischi, attuali o futuri, da ricondurre alla presenza del frammento metallico presente nell’osso orbitario: tale frammento non può “spostarsi” nell’encefalo perché incapsulato nell’osso; né vi sono rischi di crisi epilettiche, infezioni, fistole liquorali o, ancor meno, di fatti lesivi del parenchima cerebrale, come del resto testimonia il lungo periodo di asintomaticità intercorso (16 anni) tra l’ intervento chirurgico e l’ attualità;

– lo stato di ansia e depressione della sig.ra XXX è antecedente alla scoperta del corpo estraneo infisso nell’osso sovraorbitario ed è determinato dalla predisposizione personologica della perizianda, dall’incidente stradale subito, dai suoi postumi e dalle limitazioni funzionali che ne conseguirono;

– la scoperta del corpo estraneo infisso nell’osso sovraorbitario ha modificato lo stato psicopatologico della sig.ra XXX in misura minima, mentre lo stato psicopatologico attuale è da considerarsi dovuto alle altre cause già sopra esposte;

– l’incidenza relativa della scoperta del filo metallico rispetto alle altre ben più rilevanti cause si può valutare solo in modo approssimativo: si ritiene che sia appropriato quantificare tale incidenza nel 2025% rispetto all’ insieme delle altre cause, peraltro di per sé sufficienti a spiegare il quadro psicopatologico attuale;

– la funzionalità sociale e personale della sig.ra XXX rimangono invariate rispetto al periodo precedente la scoperta del corpo estraneo.

In conclusione il ctu neurochirugo *** ha evidenziato che il corpo estraneo si trova nell’osso cranico con conseguente “incapsulamento” e pertanto è isolato sia dalla meninge che dall’encefalo; l’evenienza della sua dislocazione in encefalo per futuri traumi è un’evenienza talmente rara che non è stata giudicata apprezzabile a fini liquidatori. Il ctu *** ha poi osservato che non è risultato vero come lo stato psicopatologico attuale sia nuovo e conseguente alla scoperta del corpo estraneo nel 2010, ritenendo piuttosto che sia soprattutto la conseguenza del gravissimo incidente stradale al quale l’intervento del dott. ZZZ ha posto rimedio in via di estrema urgenza per il settore di competenza; la scoperta della fresa incapsulata nell’osso facciale ha solamente e leggermente aggravato un danno psichico preesistente nella percentuale che già era stata stimata del dott. *** e confermata dal dott. ***.

Sulla base di tali premesse, il C.T.U. dott. *** ha ritenuto che la quantificazione del danno non patrimoniale espressa nella precedente C.T.U. del dott *** (8%) sia da considerarsi del tutto adeguata rispetto al lieve danno psichico collegabile all’opera del dott. ZZZ capo dell’équipe chirurgica (pag. 9 ***).

La ctu del dott. *** del tutto coerente con quella del dott. *** ha dunque fugato ogni dubbio sulla percentuale di IP riferibile al danno iatrogeno dedotto in questo giudizio e per questo motivo le conclusioni dei ctu vanno recepite in sentenza.

Quantificazione del danno
Con riferimento ai criteri di liquidazione del danno non patrimoniale, il giudicante aderisce all’orientamento secondo cui non possano trovare applicazione le disposizioni del codice delle assicurazioni, richiamate dal decreto Balduzzi anche in ambito sanitario, e precipuamente il distinguo tra micro-e macropermanenti e le tabelle ministeriali richiamate (artt. 138 e 139 del d.lgs. 209/2005)- decreto legge 158/2012, convertito con modificazioni dalla legge 189/2012- essendo tali norme applicabili solamente ai fatti dannosi avvenuti successivamente alla loro entrata in vigore mentre i fatti di causa risalgono al 2002/2003 (Tribunale Livorno 134/2018 e plurime Tribunale di Firenze). Ne deriva che, in applicazione delle tabelle milanesi, il danno non patrimoniale deve liquidarsi nei seguenti termini:

Tabella di riferimento: Tribunale di Milano 2018

Età del danneggiato alla data del sinistro 29 anni

Percentuale di invalidità permanente 8%

Punto base danno non patrimoniale € 2.401,76

Danno risarcibile euro 16.524,00

Con la massima personalizzazione euro 24.786,00.

Si liquida la massima personalizzazione del danno tenuto conto della gravità della svista per gli operatori specializzati (tra cui lo strumentista) che avevano cooperato alla buona riuscita dell’intervento senza tuttavia rendersi conto che la punta della fresa era rimasta all’interno dell’osso facciale dopo averla estratta; si tiene anche conto nell’ottica della giustizia del caso concreto che l’attrice dall’età di 29 anni fino al suo fine vita sarà costretta a tenersi la punta della fresa all’interno del cranio, senza poterla rimuovere data l’accertata impossibilità della rimozione.

Inoltre si tiene conto del fatto che all’attrice sono preclusi gli accertamenti diagnostici sanitari da eseguirsi con macchinari che producano intensi campi magnetici, e, allo stato attuale della strumentazione sanitaria, le sono precluse le risonanze magnetiche ad alta potenza, ciò che la pone e la porrà anche in futuro, con l’avvento di nuovi macchinari che utilizzino i campi magnetici, in una condizione di menomazione di quello che era il suo preesistente assetto di possibilità diagnostiche e terapeutiche in ambio sanitario.

Quindi in ragione delle peculiarità del caso e apprezzato il particolare danno morale subito dall’attrice, atteso che l’errore medico va ad aggiungersi alle già gravi conseguenze del sinistro stradale, e dunque incide su un soggetto nemmeno trentenne in condizioni di particolarissima fragilità psichica e morale perché già profondamente segnata dagli esiti traumatici del sinistro, si ritiene giustificata la massima personalizzazione del danno di cui alle tabelle milanesi.

Per quanto concerne il danno patrimoniale, come rilevato dal C.T.U. dott. *** e confermato dal C.T.U. dott. ***, le uniche spese sanitarie documentate – inerenti i fatti di causa – ammontano complessivamente ad € 15,00 (relazione peritale *** pp. 17 e 33).

4) Le spese di lite e di ctu
Le spese di lite sono poste a carico delle parti soccombenti, in solido tra loro, e vanno liquidate come da dispositivo ai sensi del D.M. n. 55/2014, tenuto conto del valore della causa, così come effettivamente accertato all’esito del giudizio, dell’attività espletata, nonché in ragione del numero di parti convenute (n. 2). Quanto alle spese di ctu liquidate con decreto in corso di causa, deve considerarsi che l’attrice ha infondatamente contestato la ctu del dott. *** insistendo su un danno maggiore di quello stimato, e deducendo che non aveva competenze in ambito psichiatrico; a causa di tali contestazioni il giudice ha rinnovato la ctu e il secondo ctu però è giunto alle stesse conclusioni del dott. *** riscontrando che il 20% di danno psichico dedotto dall’attrice era in realtà comprensivo del danno primario subito nell’incidente stradale e dunque la conseguenza soprattutto dell’amputazione dell’arto superiore e di un dito, nonché delle estese cicatrici, ciò che per una giovane di 29 anni è stato evidentemente la causa maggiore dell’attuale condizione psichica depressa dell’attrice.

Dunque il ctu *** è giunto ad enucleare la percentuale di IP riconducibile al danno iatrogeno (errore medico in ospedale dopo l’incidente) quantificandolo all’8% come già aveva fatto il dott. ***. Per questo motivo anche se l’attrice risulta la parte vittoriosa, sia pure per una quantità di credito accertato inferiore a quello richiesto, deve essere applicato sulla seconda ctu il principio di causalità ponendo dette spese a carico dell’attrice, che infondatamente ha causato la rinnovazione della ctu, rivelatasi inutile ai fini della decisione.

P.Q.M.

Il Tribunale con sentenza che definisce il giudizio

1) – accertata la responsabilità solidale del dott. ZZZ e dell’YYY nei confronti dell’attrice li condanna al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, liquidato in € 24.786,00 da devalutare alla data del fatto (anno 2002) e rivalutare con interessi al tasso di legge sulla somma via via rivalutata fino al soddisfo;

2) – condanna i convenuti in solido al rimborso in favore dell’attrice delle spese di lite, liquidate in €

7.254,00 per compensi professionali, € 732,00 per esborsi documentati, oltre rimborso forfettario al 15%, IVA e CPA come per legge;

4) – pone a carico dei convenuti, in solido tra loro le spese della consulenza tecnica del dott. *** con conseguente obbligo per i convenuti di restituire le somme eventualmente anticipate dall’attrice; pone le spese della consulenza del ctu dott. *** a carico dell’attrice come liquidata con separato decreto, disponendo la restituzione a carico dell’attrice delle eventuali anticipazioni fatte dai convenuti.

Così deciso in Firenze, 29 ottobre 2018

Il Giudice

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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