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Bancarotta fraudolenta, collegio sindacale, responsabilità

Bancarotta fraudolenta, non è corretto affermare che il collegio sindacale delle società a responsabilità limitata sia sprovvisto del potere di segnalazione previsto dall’art. La norma non può che valere anche laddove l’istituzione del collegio sindacale sia facoltativo e questo sia – in concreto – previsto dallo statuto, trattandosi di permettere il dispiegamento di una funzione ritenuta necessaria dal legislatore o dai soci.

Bancarotta fraudolenta, non è corretto affermare che il collegio sindacale delle società a responsabilità limitata sia sprovvisto del potere di segnalazione previsto dall’art. 2409 c.c.

Ai sensi dell’art. 2403 c.c., il collegio sindacale vigila sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento.

Inoltre, ove previsto dallo statuto, esercita altresì il controllo contabile.
La norma pone a carico del sindaco, quindi, obblighi di vigilanza, relativa all’osservanza, da parte degli amministratori, della legge e dello statuto, nonché della corretta amministrazione: formulazione in cui è compresa, ovviamente, la preservazione del patrimonio sociale rispetto ai comportamenti distrattivi o dissipativi dell’organo gestorio.

L’indicazione normativa è tanto evidente che non ha bisogno di nessuna ulteriore spiegazione.

Per l’adempimento dei compiti riservatigli dalla legge il collegio sindacale, ed ogni suo componente, è titolare di una serie di poteri che lo pongono senz’altro in condizione di assolvere compiutamente ed efficacemente l’incarico.

Esso può, infatti, procedere, in ogni momento, ad atti di ispezione e controllo, nonché chiedere informazioni agli amministratori su ogni aspetto dell’attività sociale o su determinati affari (art. 2403 bis c.c.) e deve convocare l’assemblea societaria quando ravvisi fatti censurabili di rilevante gravità (art. 2406 c.c.); inoltre, può, e all’occorrenza deve, secondo una parte della giurisprudenza (tutta di merito) finora formatasi sul punto, denunziare al Tribunale le gravi irregolarità commesse dall’amministratore, per consentire all’Autorità giudiziaria di intraprendere le iniziative di sua competenza (art. 2409 c.c., ultimo comma, c.c.).

Sebbene l’argomento sia oggetto di discussione anche nella giurisprudenza civile, non è corretto affermare che il collegio sindacale delle società a responsabilità limitata sia sprovvisto del potere di segnalazione previsto dall’art. 2409 c.c., giacché la norma suddetta disciplina, con carattere di generalità, i poteri del collegio sindacale, laddove esistente; ne è riprova che il capo VII del libro quinto del codice civile, dedicato alle società a responsabilità limitata, non contiene un’autonoma e specifica disciplina del funzionamento del collegio sindacale e rinvia alle disposizioni in tema di società per azioni, laddove il collegio sindacale sia previsto dalla legge (art. 2477 c.c.).

La norma non può che valere anche laddove l’istituzione del collegio sindacale sia facoltativo e questo sia – in concreto – previsto dallo statuto, trattandosi di permettere il dispiegamento di una funzione ritenuta necessaria dal legislatore o dai soci.

La violazione di tali obblighi è fonte di responsabilità risarcitoria, quando il danno (per la società, per i soci o per i creditori) non si sarebbe prodotto se i sindaci avessero vigilato e agito in conformità agli obblighi della loro carica (artt. 2407, 2393, 2393 bis, 2394, 2394 bis e 2395 c.c.).

Come più volte è stato ribadito in costanti pronunce sia in sede penale che in sede civile, l’obbligo di vigilanza dei sindaci e del collegio sindacale (oltre a riguardare la regolare tenuta della contabilità, nei casi contemplati, ora, dall’art. 2409 bis, ultimo comma, c.c.), si estende al contenuto della gestione, perché la previsione della prima parte del primo comma dell’art. 2403 c.c. deve essere correlata con tutte le altre norme che conferiscono ai sindaci il potere-dovere di chiedere agli amministratori notizie sull’andamento delle operazioni e su determinate operazioni quando queste possono suscitare, per le modalità delle loro scelte e della loro esecuzione, delle perplessità.

La giurisprudenza civile ha ancora precisato che, in tema di responsabilità degli organi sociali, per la configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2407, comma 2, c.c. non è richiesta l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al Pubblico Ministero (ora Tribunale) per consentirgli di provvedere ai sensi dell’art. 2409 c.c., in quanto può ragionevolmente presumersi che il ricorso a siffatti rimedi, o anche solo la minaccia di farlo per l’ipotesi di mancato ravvedimento operoso degli amministratori, avrebbe potuto essere idoneo ad evitare (o, quanto meno a ridurre) le conseguenze dannose della condotta gestoria.

E’ di tutta evidenza che le regole e i principi valevoli nel campo della responsabilità contrattuale (qual è quella del sindaco verso la società) non possono essere automaticamente trasferiti nel campo della responsabilità penale, dove vige in principio di personalità e dove le condotte di bancarotta sono punite a titolo di dolo.

Per affermarsi la responsabilità penale del sindaco occorre, quindi, che egli abbia dato un contributo giuridicamente rilevante – sotto l’aspetto causale – alla verificazione dell’evento e che abbia avuto la coscienza e la volontà di quel contributo, anche solo a livello di dolo eventuale.

Il che vuol dire che non basta imputare al sindaco – e provare – comportamenti di negligenza o imperizia anche gravi, come può essere il disinteresse verso le vicende societarie (fonte indiscutibile di responsabilità civile), ma occorre la prova – che può essere data, come di regola, anche in via indiziaria – del fatto che la sua condotta abbia determinato o favorito, consapevolmente, la commissione dei fatti di bancarotta da parte dell’amministratore.

Non è necessaria, ad ogni modo, la prova di un preventivo accordo del sindaco con chi amministra la società in relazione alle operazioni distrattive, giacché l’inerzia è sinonimo di omissione e questa, così come può essere l’effetto di una negligenza, può anche essere animata dal dolo, in tutte le sue possibili graduazioni; ad essa, al pari dell’azione, entra a pieno titolo nelle possibili modalità esecutive del reato.

Cassazione Penale, Sezione Quinta, Sentenza n. 44107 ud. 11/05/2018 – deposito del 04/10/2018

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