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Codice Penale

Azione risarcitoria nei confronti del lavoratore

Azione risarcitoria nei confronti del lavoratore, grava sul datore di lavoro la prova che l’evento dannoso sia causalmente correlato ad una condotta del lavoratore.

Pubblicato il 16 August 2018 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE ORDINARIO DI UDINE

in composizione monocratica nella persona del Giudice del lavoro, ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 91/2018 pubblicata il 08/08/2018

nella causa iscritta all’intestato n. di R.G., promossa con ricorso ex art. 414 cod. proc. civ. depositato il 10.2.2017

DA

XXX (P.IVA), con sede legale in Udine, con procuratori gli avv.ti e, come da mandato a margine del ricorso in opposizione;

– ricorrente opponente –

CONTRO

YYY (Cod. Fisc.), con gli avv.ti dom., e, giuso mandato a margine della memoria di

costituzione e risposta;

– resistente opposto –

OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo n. 417/2016, emesso dal Tribunale di UDINE il 15/12/2016 – risarcimento danni.

Causa ritenuta in decisione ex art. 429, comma 1 cod. proc. civ. alle seguenti conclusioni precisate dalle parti nell’udienza di discussione orale del 9.4.2018, all’esito della quale si dava lettura del dispositivo:

CONCLUSIONI DELLA RICORRENTE

NEL MERITO: a) revocarsi il decreto ingiuntivo e, comunque, respingersi la domanda proposta dal signor YYY; b) accertati i fatti esposti in narrativa, condannarsi il signor YYY a restituire le somme sottratte ovvero a rifondere gli ammanchi di merce e, comunque, a risarcire i danni patrimoniali causati dalla società datrice di lavoro quantificati in € 95.673,83.-(somma dalla quale andrà detratto l’importo netto di TFR maturato) o, se contestati, a mezzo di CTU ovvero in via equitativa ex art. 1226 c.c., oltre ad interessi legali e maggior danno a norma dell’art. 1224, 2°comma, c.c., dl dì del dovuto al saldo. Spese di causa rifuse.

IN VIA ISTRUTTORIA: come da ricorso.

CONCLUSIONI DEL RESISTENTE

NEL MERITO: accertare e dichiarare che il credito del YYY, a titolo di TFR, ammonta al lordo di € 23.695,91# o in quella superiore determinata dalla XXX in € 23.888,00# quale risultante dalla Certificazione Unica 2017 e condannare conseguentemente la XXX, in persona del legale rappresentante a pagare gli importi sopra citati.

ULTERIORMENTE NEL MERITO: respingersi ogni altra domanda proposta dalla XXX, nei confronti del YYY Stefano in quanto infondato in fatto e in diritto. Spese, diritti e onorari rifusi anche del presente giudizio.

IN VIA ISTRUTTORIA: come da memoria di costituzione e risposta.

FATTO E DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe, nell’opporsi al decreto ingiuntivo n. 417/2016 notificatole dall’ex dipendente YYY per ottenere il pagamento di € 23.695,91 a quest’ultimo asseritamente dovuti a titolo di TFR e non corrisposti all’atto del licenziamento intimatogli il 1°agosto 2016, XXX ha svolto, nei confronti del predetto YYY, domanda riconvenzionale onde sentirlo a sua volta condannare, previa revoca titolo monitorio, al risarcimento del maggior danno patrimoniale –quantificato in complessivi € 95.673,83 ovvero da determinarsi in via equitativa ex art. 1226 cod. civ.- subito da essa società a causa degli ammanchi di merce (ricambi ed accessori per auto e motocicli, nonché attrezzature per autofficine) registrati nel magazzino della filiale di CODROIPO ed ascrivibili, in tesi, alla violazione degli obblighi di diligenza e fedeltà del succitato lavoratore, che a quella filiale era stato addetto da febbraio 2002 sino a marzo 2016.

Deduceva, infatti, l’opponente: a) che la gestione del magazzino in parola –così come per quelli delle altre filiali sul territorio– nonché la contabilizzazione delle relative vendite era sempre avvenuta, da parte del personale occupato, sulla base di una procedura regolata in ogni singolo passaggio sin dall’arrivo della merce, con ordinativo ai fornitori curato, per tutte le predette filiali, direttamente dalla sede centrale di UDINE e successivo smistamento presso le diverse sedi operative; b) che si effettuavano, sempre a UDINE, anche controlli mensili circa gli arrivi caricati nei singoli magazzini, confrontando le risultanze delle bolle di consegna o dei documenti di trasporto con le fatture emesse dai fornitori; c) che, in più, veniva centralmente verificata, ogni giorno, anche la corrispondenza tra prezzo incassato da ogni filiale (scontrino fiscale) o fatture emesse e merce venduta, secondo le registrazioni di scarico di ciascun punto vendita; d) che la filiale di CODROIPO –il cui magazzino era situato in un ambiente dedicato e comunque precluso all’accesso della clientela- non aveva mai subito effrazioni o furti; e) che lì avevano sempre lavorato due addetti, e cioè il sig. ***, da febbraio 2016 definitivamente sostituto dal sig. ***, ed il resistente opposto, a sua volta sostituito, da marzo 2016, dal sig. ***, salva la copertura dei periodi di ferie o di assenze brevi effettuata, per entrambi, da ***, destinato in via principale alle mansioni di consegnatario, ma poi stabilmente spedito anche lui a CODROIPO, sempre da marzo 2016; f) che, alcune settimane dopo il suo trasferimento in quel magazzino, il *** aveva verificato come il YYY non si attenesse affatto alle regole operative disposte dall’azienda, omettendo di riporre la merce nello scaffale da dove l’aveva prelevata e non provvedendo –per talune consegne- allo scarico, alla emissione dello scontrino ed alla contabilizzazione del prezzo; g) che, tra le anomalie riscontrate dal nuovo responsabile di magazzino, vi erano anche un sospetto ingresso di clienti che chiedevano espressamente di trattare con il YYY e che se ne andavano senza comprare nulla quando il predetto YYY non c’era;

h) che ciò, ad esempio, era avvenuto anche il 22 marzo, quando un cliente si era appunto presentato a CODROIPO chiedendo di sostituire la cuffia di un semiasse, a suo dire acquistata giorni prima proprio dal resistente opposto, ma senza esibire lo scontrino; i) che, malgrado il maldestro tentativo del YYY, sopraggiunto poco dopo, di aggiustare la versione, sostenendo che l’acquisto era avvenuto quella stessa mattinata, il *** aveva potuto constatare come, in realtà, la cuffia del semiasse in questione non fosse mai stata scaricata dal magazzino; l) che, da lì, non volendo essere coinvolto con problemi legati a difformità o mancanze gestionali imputabili al periodo precedente il suo arrivo, lo stesso ***, avvisando dell’iniziativa la direzione, da aprile 2016 aveva iniziato ad effettuare verifiche preliminari sulla giacenza dell’olio, dalle quali era emerso un inusuale e significativo scostamento tra quantità presenti in deposito e risultanze contabili, oltre a riscontrare l’alterazione delle etichette di taluni prodotti (come bracci sterzo, semiassi, alternatori), cui era stato asportato il codice identificativo: m) che ciò aveva indotto ***, amministratore della società, a disporre un inventario completo di tutte le giacenze; n) che, proprio in quell’occasione, il YYY, il giorno prima dell’inventario, programmato per il 28 maggio 2016, aveva telefonato al responsabile del personale chiedendo di essere ricevuto e rappresentando al suo interlocutore, nell’incontro fissato in giornata, di aver attraversato periodi difficili, avendo egli consegnato a credito del materiale della ditta a persone di cui si era fidato, ma che poi non l’avevano più pagato; o) che dagli esiti dell’inventario, comunque condotto dal 28 al 29 maggio, era emerso un ammanco fisico di merce dal magazzino di CODROIPO per un importo di € 71.175,30, valorizzato al costo medio ponderato storico di ogni singolo bene mancante; p) che i sig.ri *** e *** avevano sin da subito dichiarato all’amministratore di essersi scrupolosamente attenuti alla istruzioni aziendali, mentre il *** era comunque sempre stato un dipendente fidato sin dal 2006; q) che, invece, convocato il YYY per un chiarimento, quest’ultimo, all’incontro dell’11 giugno 2016, presenti anche il responsabile del personale e lo stesso ***, aveva ammesso –poi scagionando, nei due incontri dei giorni successivi, il collega *** e dichiarandosi anche disponibile a rifondere il danno provocato- che, da un annetto circa, egli era solito cedere merce a clienti senza esigere immediatamente il pagamento del prezzo, salvo poi aver dovuto constatare di essere stato raggirato, perché gli stessi non si erano più presentati per il saldo del dovuto; r) che la stessa giustificazione, senza dare ulteriori spiegazioni, era stata fornita dal diretto interessato nel corso dell’audizione difensiva convocata in vista del suo licenziamento, ivi precisando che il debito, in tutto, ammontava a circa 4.000,00 euro; s) che era evidente, pertanto, la responsabilità del convenuto, anche laddove si fosse esclusa l’intenzionalità delle sue condotte e, quindi, l’ascrivibilità al medesimo dei reati di furto o di appropriazione indebita, per aver comunque tenuto un contegno difforme dagli obblighi di diligenza esigibili da un magazziniere venditore inquadrato al 3° livello professionale del CCNL commercio.

Ritualmente costituitosi, il resistente YYY ha insistito, di contro, per il rigetto della domanda avversaria e per la conferma del decreto ingiuntivo opposto, sostenendo: 1) di essersi sempre attenuto alle prescrizioni aziendali, senza che mai gli venisse contestato alcunché in ordine ad asseriti ammanchi, neppure da ***, sebbene quest’ultimo, quale responsabile del magazzino di CODROIPO, partecipasse assieme ai suoi omologhi regionali ad incontri mensili convocati dalla società proprio per valutare e verificare gli arrivi della marce ad ogni singola unità locale e le vendite effettuate da queste ultima; 2) che a CODROIPO, oltre a lui, avevano lavorato altri tre dipendenti, tutti abilitati a vendere le merci ivi presenti; 3) che il magazzino, inoltre, era accessibile anche agli addetti delle ditte che effettuavano i rifornimenti dei prodotti o li prelevavano per portarli in altri magazzini della XXX; 4) che, quanto alle sue ammissioni di responsabilità, egli si era limitato a dichiarare di essersi fidato di taluni clienti, dando loro a credito merce per circa 4.000,00 euro e constatando, solo dopo, di essere stato ingannato da costoro; 5) che del tutto inaffidabili erano le risultanze dell’inventario generale di fine maggio 2016; 6) che mai egli aveva inteso scagionare il collega ****, sostenendone il mancato coinvolgimento nella questione dell’ammanco, perché alcuna domanda al riguardo gli era stata posta dai responsabili della società; 7) che, pertanto, era suo diritto ottenere il pagamento del TFR, eventualmente decurtato della sola somma per la quale egli si era assunto la diretta responsabilità.

Così riassunti, in sintesi, i termini della controversia, l’opposizione proposta da XXX può trovare accoglimento nei soli limiti e per le ragioni di seguito evidenziate, che indurranno, quindi, a revocare il decreto ingiuntivo opposto ed a rideterminare al ribasso, di riflesso, l’importo comunque dovuto dalla società opponente per il TFR azionato in via monitoria dal sig. YYY.

Va preliminarmente superata, tuttavia, l’obiezione sollevata dalla difesa del resistente nel corso dell’udienza di discussione del 9 aprile 2018, qui avendo per la prima volta eccepito il patrocinio del lavoratore una sopravvenuta carenza di legittimazione del procuratore della società opponente, in quanto asseritamente privo di valido mandato, stante l’intervenuta cancellazione per estinzione di XXX dal Registro delle Imprese in data 29 dicembre 2017.

Essendo incontroverso, invero, che la succitata ricorrente ha sì cessato di esistere, ma per fusione mediante incorporazione in altra società, occorre rammentare, piuttosto, che “in tema di fusione per incorporazione, l’art. 2504-bis c.c., nel testo modificato dal d.lgs. n. 6 del 2003, nel prevedere la prosecuzione dei rapporti giuridici, anche processuali, in capo al soggetto unificato quale centro unitario di imputazione di tutti i rapporti preesistenti, risolve la fusione in una vicenda (non più estintiva, corrispondente a quella della successione universale, ma – N.D.R.) evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che, pur in presenza di un nuovo assetto organizzativo, conserva la propria identità.” (v. Cass. civ. – Sez. 6-5, Ordinanza n. 12119 del 16/05/2017). Deve escludersi, pertanto, che la predetta fusione, in pendenza di una causa della quale sia parte la società fusa od incorporata, determini –alla luce del novellato art. 2504-bis cod. civ.– l’interruzione del processo, ovvero la necessità di riassumerlo nei confronti della società incorporante o risultante dalla fusione medesima (v. Cass. civ. – Sez. 1, Sentenza n. 10653 del 03/05/2010), risultando così automaticamente superata, del pari, ogni ulteriore eventuale problema sulla ultrattività della procura ad litem rilasciata da XXX, dal momento che –come dianzi già chiarito- non può in alcun modo ritenersi che la società derivante dalla fusione sia soggetto estraneo al rapporto giuridico processuale intestato alla società fusa ed al connesso rapporto di mandato alle liti.

Fermo questo, prima di passare all’esame dei fatti per cui si procede, vale altresì chiarire che, “in caso di azione risarcitoria proposta dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore per la violazione degli obblighi di diligenza nello svolgimento della prestazione, la valutazione del giudice si pone su un piano distinto, anche se parallelo, rispetto all’accertamento del venir meno dell’elemento fiduciario, che abbia dato luogo all’esercizio del potere disciplinare (qui, invero concretizzatosi con il licenziamento del resistente opposto – N.D.R.), poiché l’evento deve essere calibrato non più sul versante della fiducia, emergente nel rapporto di lavoro sotto il profilo dell’art. 2119 cod. civ., ma sull’accertamento della condotta colposa, in funzione della prestazione pattuita, per violazione degli obblighi di diligenza e correttezza, la cui dimostrazione -che non può essere presunta sulla base della prova del venir meno dell’elemento fiduciario- fa integralmente e distintamente carico al datore di lavoro, costituendo elemento costitutivo della sua ulteriore pretesa, e come tale va analizzata, nei limiti della prevedibilità (art. 1225 cod. civ.), secondo un criterio di normalità, che si pone come misura del danno risarcibile.” (v. Cass. civ. – Sez. L, Sentenza n. 8702 del 26/06/2000).

Più in dettaglio, giova al contempo rammentare che, “ai fini dell’affermazione della responsabilità del lavoratore, verso il datore di lavoro, per un evento dannoso verificatosi nel corso dell’espletamento delle mansioni affidategli, grava sul datore di lavoro (anche nel caso in cui dette mansioni richiedano un dovere di custodia) la prova che l’evento dannoso sia causalmente correlato ad una condotta del lavoratore per violazione degli obblighi di fedeltà e di diligenza (art. 2104 e 2105 cod. civ.), restando al lavoratore la dimostrazione della non imputabilità dell’inadempimento.” (v., in questi termini, Cass. civ. – Sez. L, Sentenza n. 8435 del 24/09/1996; id., Sentenza n. 6645 del 19/07/1997; id., Sez. L, Sentenza n. 16530 del 21/08/2004).

Detto altrimenti, è noto che l’obbligo di diligenza gravante sul dipendente ex art. 2104 cod. civ. –quale specificazione, quest’ultimo articolo, della norma contenuta nell’art. 1176 cod. civ.– si sostanzia non solo nell’esecuzione della prestazione lavorativa secondo la particolare natura di essa, ma anche nei comportamenti ulteriori, necessari per il pieno soddisfacimento dell’interesse dell’imprenditore ad una utile prestazione; ed è ugualmente pacifico, poi, che l’inosservanza dei doveri di diligenza comporta non solo l’applicazione di eventuali sanzioni disciplinari, ma anche l’obbligo del risarcimento del danno cagionato all’azienda per responsabilità contrattuale. Tuttavia, proprio perché non è possibile addossare al lavoratore subordinato una responsabilità che costituisca assunzione del rischio proprio dell’attività svolta dall’imprenditore, l’indagine relativa deve essere diretta, per l’appunto, ad accertare se l’evento dannoso subìto dall’azienda sia correlato ad una condotta colposa del prestatore d’opera; se, cioè, si sia in presenza di un episodio ricollegabile, sulla base di un rapporto di causalità, ad una condotta imprudente, negligente od in violazione di specifici obblighi contrattuali o istruzioni legittimamente impartite dal datore di lavoro. Allo stesso modo, va anche rilevato che, “… quand’anche le mansioni del lavoratore dipendente richiedano –come nel caso al vaglio- l’affidamento (peraltro neppure in via esclusiva, né principale – N.D.R.) di particolari strumenti di lavoro (qui, a rigore, la merce custodita nel magazzino di CODROIPO, a fini di vendita della stessa ai clienti), siffatto affidamento non dà luogo ad un contratto autonomo, talché l’obbligo di restituzione della cosa in stato di integrità, pur ovviamente sussistente, si atteggia diversamente rispetto a quanto non avvenga nei contratti nei quali la restituzione costituisce obbligazione primaria. (Tale) obbligo di restituzione, infatti, si inserisce nel contratto di lavoro solo come condizione necessaria per l’esplicazione di determinate mansioni, con la conseguenza che l’onere di provare che l’eventuale danno […] non è dovuto a sua mancanza di diligenza, non grava sul lavoratore.” (v., così, Cass. civ. – Sez. L, Sentenza n. 12758 del 13/12/1995, dove si discuteva di un’ipotesi di risarcimento del danno azionata dal datore di lavoro nei confronti di una commessa per sottrazione della merce in vendita presso un negozio a cui la commessa medesima era addetta).

Se questi sono, nello specifico ambito lavoristico, i peculiari principi di diritto a cui attenersi per la valutazione del caso concreto, deve riconoscersi, allora, che XXX, oltre a non aver dato compiuta dimostrazione del danno patrimoniale effettivamente subito, ha poi comunque omesso –ciò che più rileva in questa sede- di fornire la necessaria prova del diretto nesso di causalità tra il difetto di diligenza contestato al prestatore di lavoro e le conseguenza negative, in termini di ammanco di materiale nel magazzino di CODROIPO, di cui la stessa società si è doluta.

Esclusa, infatti, la possibilità di addebitare al YYY, in questo procedimento, la condotta di dolosa sottrazione della merce dalla succitata sede di CODROIPO, trattandosi di circostanza, questa, dedotta solo in termini dubitativi dalla società opponente all’atto della sua costituzione in giudizio (v. pag. 10 del ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo), malgrado la stessa società, in data 30 gennaio 2017, avesse comunque già sporto denuncia–querela per furto aggravato nei confronti

del suo ex dipendente (v. la produzione documentale da parte del difensore del resistente opposto all’udienza del 6.7.2017); escluso questo, invero, l’unico elemento certo ed incontrovertibile, qui, è quello –e solo quello- che origina dalla spontanea confessione stragiudiziale resa al datore di lavoro dal diretto interessato, poi da quest’ultimo confermata anche in occasione del suo interrogatorio libero.

E’ stato il YYY, infatti, che –chiamato telefonicamente il sig. ***, responsabile delle vendite di XXX, per fissare un incontro diretto con quest’ultimo- aveva ammesso, il 27 maggio 2016, che quell’anno, per lui, era stato “un «anno di cacca»”, lamentandosi “… di essere stato raggirato da alcune persone, dichiara(ndo) che (aveva) fatto delle cose che non avrebbe dovuto fare, (e) preannunciando (perciò), che dall’inventario sarebbero risultati degli ammanchi.” (v. teste ***, verbale di udienza dd. 6.7.2017). Si tratta, in verità, di esternazioni poi ribadite dallo stesso lavoratore nel successivo incontro, stavolta convocato dalla società l’11 giugno 2017 presso la filiale di CODROIPO con la presenza dell’amministratore *** e del sig. ***, “… per esaminare e discutere le risultanze dell’inventario. In quel contesto la conversazione è stata registrata …” (ibidem), ma da tale registrazione, il cui contenuto è stato riversato in atti (v. doc. 12 bis nel fascicolo della ricorrente), non si evince affatto –come invece sostenuto dal sig. *** nel corso della sua deposizione testimoniale- né che “… il YYY si (fosse) impegnato a mettere a disposizione il TFR accantonato e parte della retribuzione per far fronte all’ammanco, … ancora non … esattamente quantificato”, né che l’odierno resistente, rispondendo a specifica domanda su come ed in che termini il *** potesse essere coinvolto, avesse sostenuto la totale estraneità di quest’ultimo rispetto alla vicenda in discussione. (v. verbale di udienza cit.); semmai, a dire dello stesso YYY, egli era “… rimasto sorpreso del fatto che (proprio ***), di punto in bianco, si (fosse) dimesso, visto che a CODROIPO aveva un buon rapporto con tutti” (v. verbale di udienza del 15 maggio 2017). Risulta, infatti, che il YYY avesse affermato nuovamente di “… aver dato via del materiale (a) gente (che) mi ha raggirato e non mi ha pagato su questo materiale e son rimasto non dico ricattato, però ingolfato in certe cose che non dovevo mettermi e ho causato un danno all’azienda …”, precisando poi che queste cose andavano avanti da “… un annetto circa …” e che lui avrebbe dovuto “… parlar(ne) prima con qualcuno, ma non ne ho mai avuto il coraggio …” (v. doc. 12 bis cit.).

I termini della questione –come si diceva all’inizio- sono stati ulteriormente chiariti dal YYY in sede di interrogatorio formale, quando il resistente opposto ha sostenuto, appunto, di essere “… stato chiamato dalla società la prima volta in data 11 giugno 2016. A quell’incontro si è discusso dell’ammanco di magazzino. In relazione alle dichiarazioni registrate e riportate a pag. 7 del ricorso avversario, preciso che, quando ho parlato di situazione che durava da circa «un annetto», ho inteso riferirmi al fatto dei due clienti extracomunitari -i cui nominativi sono stati riportati a pag. 6 della mia memoria difensiva- che, circa una volta alla settimana, venivano alla sede di CODROIPO e chiedevano a me soltanto merce che poi, dall’ultimo anno, hanno smesso di pagare regolarmente. Trattandosi di clienti privati, per loro bastava lo scontrino fiscale; per questo non figurano nell’anagrafica aziendale. Lo scontrino fiscale io l’ho sempre battuto, salvo quando loro mi dicevano che non avrebbero potuto pagare il materiale richiesto. Non so dire il motivo per il quale mi sono comportato così. … successivamente a quello del 11.6.2016 e prima della contestazione disciplinare, ci sono stati altri incontri in azienda -non ricordo bene se uno soltanto o due- dove io, nuovamente interrogato sulla vicenda, ho ribadito la versione dei fatti che avevo già esposto l’11.6.2016. Non ricordo se, in questi incontri, si sia parlato del sig. ***; anzi, non mi risulta che ciò sia avvenuto.” (v. verbale di udienza del 17 maggio 2017).

Orbene, almeno tre considerazioni –sul piano logico- si impongono.

La prima. Non pare assolutamente credibile, per una società che, in teoria, aveva impostato un così accurato sistema di contabilizzazione e controllo delle vendite, sia con verifiche mensili –da parte della sede di UDINE- della merce ricevuta dalla singole filiali e caricate in magazzino (v. punto 8 del ricorso in opposizione), sia con ulteriori riscontri giornalieri -sempre da UDINE- circa la corrispondenza tra prezzo incassato e prodotti venduti dalle filiali (v. punto 9, ibidem); non pare assolutamente credibile, si ripete, l’ipotesi attorea di un unico addetto all’unita locale di CODROIPO, il YYY appunto, tra l’altro sempre sotto il controllo del suo diretto superiore (nel caso di specie ***), dedito ad una elusione talmente sistematica e costante di tali controlli, da rendere possibile un ammanco fisico per il consistente importo di € 71.175,30 (v., così, punto 34, ibidem).

Si tenga poi a mente, nell’ordine: a) che lo stesso sig. *** -per vent’anni alle dipendenze di XXX, gli ultimi otto dei quali svolti come responsabile di magazzino (v., così, la presentazione da parte del diretto interessato, nel verbale del 13 settembre 2017)- “… non (aveva) mai esternato sospetti nel confronti del (resistente)” (v., in questi termini, ***, nel verbale di udienza del 6 luglio 2017), benché avesse lavorato con l’odierno resistente opposto per circa 5/6 anni come addetto alla vendita al banco di prodotti (v., in tal senso, sempre le dichiarazioni di ***); b) che “La struttura della filiale di CODROIPO aveva un ingresso riservato al pubblico, dove c’era un bancone che delimitava l’accesso al retrostante magazzino. L’accesso a detto magazzino (abbastanza ristretto e destinato a conservare cose di frequente movimentazione) avveniva dalla porta posta davanti al bancone o, comunque, da una entrata posteriore, sempre chiusa, che veniva aperto solo per il carico e lo scarico del materiale.” (ibidem); c) che, stando ancora alla ricostruzione dei fatti fornita del sig. ***, “Le chiavi per accedere al magazzino erano due; una copia l’avevo io, un’altra YYY. Una terza copia, poi, l’avevo fatta fare per il sig. ***, ex titolare della ditta, deceduto tre anni fa. I fornitori esterni, non dipendenti dalla ditta, consegnavano la merce dal davanti, oppure ce la facevano trovare fuori se il negozio era chiuso; se, invece, era materiale grosso e pesante, tipo fusti di olio, entravano da dietro, ma non mettevano piede in magazzino se non per la firma della bolla. I dipendenti di XXX, (al contrario), entravano da dietro e scaricavano direttamente o caricavano il materiale già entrato in precedenza.” (ibidem); d) che, peraltro, tra i frequentatori del magazzino in parola, dovevano esser necessariamente ricompresi, almeno “… fino a pochi anni fa, quattro o cinque, (gli operatori di) una ditta esterna che si occupava delle consegne ai clienti, sostanzialmente meccanici”; adempimento, questo, a cui si erano dedicati, in seguito, direttamente il *** ed il resistente (ibidem); e) che, peraltro, “capitava di frequente -ma la situazione non riguardava solo la nostra filale- che riscontrassimo una difformità tra quella che era l’indicazione delle giacenze a video e quelle che erano le effettive risultanze di magazzino. La cosa veniva fuori spesso nelle riunioni mensili che si tenevano il primo martedì di ogni mese, ma non si è mai capito la ragione di questa difformità. Tante volte le variazioni erano anche di una certa rilevanza. (ibidem); f) che, nel ribadire, in linea generale, la correttezza dell’operato del YYY o, comunque, l’assenza di rilievi disciplinari o anomalie relative alla condotta del suo collega, il sig. ***, si era limitato a precisare come “… solo nell’ultimo periodo, intendo 4 o 5 mesi prima che me ne andassi, (avevo) visto dei marocchini che venivano al magazzino di CODROIPO e che erano serviti da ***; questo, peraltro, perché io preferivo dedicarmi ai meccanici, atteso che con i marocchini spesso si perdeva tempo, dal momento che questi ultimi frequentemente si limitavano a chiedere prezzi e preventivi, acquistando poco o niente.” (ibidem); g) che, quanto alle giacenze dell’olio, situazione che, in apparenza, aveva destato il primo interesse del nuovo responsabile di magazzino *** (v. verbale di udienza del 6 luglio 2017), è sempre il *** ad aver riferito che “i controlli della (predetta) giacenza venivano da me effettuati circa ogni due mesi, a seconda della mia disponibilità di tempo, più che altro per (non) superare la quantità massima di detenzione, che era di 550 kg al fine di evitare sanzioni fiscali”, salvo poi precisare che, “in questo senso, l’ammanco di 200 kg che mi si rappresenta essere stato riscontrato dal *** è effettivamente rilevante. Il mio ultimo controllo è avvenuto grosso modo nel mese di ottobre 2015 e, allora, il magazzino era a posto.” (v. verbale del 13 settembre 2017); h) che al sig. ***, in ogni caso, neppure era “… mai capitato di ritrovare prodotti con codici a barre asportati[1], anche perché, se quelli apposti sulle custodie servivano per la vendita e per il loro riscontro tramite apposito lettore laser, restava comunque il codice prodotto, che veniva digitato mano. Nel magazzino, ogni pezzo veniva riposto nella sua posizione con specifici numeri di collocazione, dal più basso al più altro. Se un pezzo si trovava in una determinata pozione senza codice a barre e numero identificativo, la cosa sarebbe stata quantomeno singolare, visto che ciò significava che doveva esser stato riposto lì a caso.” (ibidem).

A questo punto, sorge la seconda considerazione, allora. Il quadro fattuale che precede, all’evidenza munito di seri indici di credibilità, non solo perché proveniente dall’unica persona rimasta più a lungo accanto al YYY nel magazzino di CODROIPO, oltretutto con funzioni di responsabilità nella tenuta di quest’ultimo, ma anche perché tratteggiato da un soggetto –il sig. ***, appunto- nei confronti del quale la stessa XXX aveva continuato a manifestare un fideistico apprezzamento circa la sua correttezza professionale, al punto da non essere mai stata minimamente sfiorata dal dubbio di un possibile coinvolgimento dello stesso nelle responsabilità contestate in via esclusiva, invece, al solo YYY; il quadro fattuale che precede, dunque, porta a ritenere del tutto coerente e niente affatto di comodo la versione che, sulla vicenda, ha fornito il resistente opposto quando ha raccontato, al successivo incontro difensivo del 27 luglio 2016 con la società, prima di essere licenziato, “… di aver dato fiducia a due clienti (poi identificati nella memoria difensiva nelle persone di *** e di ***), su loro insistente richiesta e dichiarazione di pagamento successiva della merce per un importo di circa 4.000,00 euro” (v. doc. 17 nel fascicolo della ricorrente opponente). Ed in effetti, che negli ultimi mesi di permanenza in filiale, dei “marocchini” venissero a servirsi unicamente dal YYY, è stato lo stesso *** –come visto- a riferirlo, precisando, al contempo, che per i clienti più fidati -quelli registrati in anagrafe, però, e quindi, generalmente officine– vi era anche “la possibilità di vendere a credito, con rilascio del relativo scontrino.” (v. verbale di udienza del 13 settembre 2017). D’altro canto, il sig. ***, dal suo arrivo a CODROIPO il 1° febbraio 2016, si era limitato a riscontrare solo “un paio di occasioni (in cui) il YYY consegnava ai clienti merce senza scaricarla dal magazzino, senza emettere scontrino e senza ottenere il pagamento. La situazione avrebbe comportato che, essendo la merce ancora registrata, sarebbe stata percepita alla sede di UDINE come sempre presente in magazzino, quando invece ciò non rispondeva al vero.” (v. verbale di udienza del 6 luglio 2017). Trattasi, in verità, di circostanza troppo debole, anche sotto il profilo meramente presuntivo, per consentire di addossare al resistente opposto l’intera ed esclusiva responsabilità di un ammanco di magazzino quantificato in più di 70.000,00 euro.

Né è privo di rilievo constatare come proprio ***, una delle due persone indicate dal YYY come quelle che si sarebbero approfittate della sua buona fede, omettendo poi di pagare la merce presa a credito, avesse sostenuto di essersi effettivamente rifornito dalla XXX e di aver lì conosciuto il resistente, ma di aver comunque effettuato solo saltuari acquisti per la sua auto, “tipo pastiglie per freni o spazzole”, per “non più di 40 euro al massimo” (v. verbale di udienza del 4 dicembre 2017, nella causa n. 944/2017 R.G., poi acquisito agli atti del presente procedimento). In tal senso, più che l’affermazione del testimone –invero non riscontrabile- di aver sempre pagato e di non aver mai chiesto merce a credito, vale rimarcare il non elevato valore medio degli affari al banco della filiale di CODROIPO, maggiormente coerente con un ammanco di 4.000,00 euro piuttosto che con un buco di magazzino di 70.000,00 euro, incredibilmente sfuggito sino ad allora ai rilievi della società, pur con le ridotte dimensioni del magazzino medesimo –descritto dal sig. *** come “abbastanza ristretto”- e con l’altrettanto limitata consistenza di personale ad esso stabilmente adibita.

Il che porta alla terza e conclusiva considerazione. Appare obbiettivamente inaffidabile, e comunque non dimostrata, la quantificazione in € 95.673,83 del danno patrimoniale risarcibile (v. pag. 15 nelle conclusioni di merito della ricorrente).

Già questa somma non corrisponde alla diversa indicazione di “circa 70.000,00 + IVA” (che per una società commerciale, tra l’altro, non dovrebbe mai rappresentare un costo) contenuta nella contestazione disciplinare del 6 luglio 2016 (v. doc. 13 nel fascicolo attoreo). Ma è sui criteri impiegati dalla XXX per pervenire a quest’ultima determinazione, poi precisata in € 71.175,30 all’esito dell’inventario effettuato il 28 e 29 maggio 2016 (v. punto 34 del ricorso), che non è possibile convenire. Non solo la stessa società ha dato atto che, da quell’inventario, a CODROIPO era stata inspiegabilmente rinvenuta merce in più per un valore di € 2.185,82 (ibidem), ma –quel che è peggio- l’istruttoria esperita ha consentito di appurare che, sempre in XXX, irrisolte problematiche legate alla cronica mancanza di materiali nei magazzini (tra cui anche quello di CODROIPO) erano già state segnalate in passato, salvo essere state ritenute “fisiologiche” da taluni (v., così, la versione di ***, nel verbale di udienza del 6 luglio 2016), “anche di una certa rilevanza” da altri (v., così, la ricostruzione di ***, nel vernale di udienza del 13 settembre 2017). È quindi lecito, come minimo, dubitare della effettività dei dati risultanti dalla registrazione contabile e utilizzati dalla società opponente per misurare, in partenza, la consistenza del magazzino e per desumere, da questi ultimo, gli ammanchi poi addebitati al solo resistente opposto.

In estrema sintesi, ed a prescindere dalle sopra accennate problematiche connesse alla quantificazione del danno risarcibile, deve comunque escludersi che, sulla base delle sole dichiarazioni confessorie del resistente opposto e delle informazioni acquisite in corso di causa, possa ritenersi dimostrato il necessario nesso causale tra l’omessa diligenza ascrivibile al lavoratore –pur ammessa da quest’ultimo, ma nei limiti di cui si è detto in precedenza- e l’intero disavanzo fisico di merce, in tesi attorea riscontrato nella filiale di CODROPIO. L’opposizione della ricorrente, pertanto, non potrà che essere accolta per la sola misura di € 4.000,00, e cioè per la somma di cui il YYY stesso si è confessoriamente riconosciuto debitore nei confronti della società, avendo omesso di curare la tempestiva riscossione del prezzo nei confronti di taluni acquirenti a cui, in difformità dalla prassi aziendale, aveva indebitamente fatto credito.

Revocato il decreto ingiuntivo opposto, XXX andrà quindi condannata a pagare a YYY, per le sopra indicare ragioni, la minor somma di € 19.695,91 (€ 23.695,91 a titolo di spettanze di fine rapporto e del T.F.R. maturato – € 4.000,00) oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, restano per 2/3 a carico della ricorrente, rimasta prevalentemente soccombente sulla domanda di risarcimento del danno introdotta in via riconvenzionale con il ricorso in opposizione, e trovano compensazione tra le parti per il terzo residuo, attesa comunque la parziale

riduzione della pretesa monitoria.

P.Q.M.

Il Tribunale di Udine in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando nella causa civile di cui in epigrafe, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa e reietta, così provvede:

§ REVOCA il decreto ingiuntivo opposto, per l’effetto, anche in parziale accoglimento della domanda risarcitoria della società opponente,

§ CONDANNA XXX a pagare a YYY, per le ragioni di cui in motivazione, la minor somma di € 19.695,91 oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo;

§ RIGETTA, per il resto, la predetta domanda di risarcimento formulata dalla ricorrente XXX;

§ CONDANNA XXX alla rifusione di 2/3 delle spese di lite, che si liquidano per l’intero in complessivi € 6.000,00, oltre 15% spese generali, IVA e CNAP, con compensazione tre le parti del terzo residuo.

Motivazione nel termine di giorni 60.

Udine, 9.4. 2018

IL GIUDICE

[1] Della cosa, invero, aveva genericamente parlato il sig. ***, riferendo di aver

“… riscontrato prodotti riposti in custodie dalle quali erano stati ritagliati codici a barre, ciò impedendomi di avere contezza di che cosa io avessi in magazzino. Si trattava di un paio di prodotti che ero andato a prendere perché a me servivano e che erano stati normalmente riposti nello scaffale, ma nelle condizioni che ho detto.” (v. verbale di udienza del 6 luglio 2017).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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