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Donazione indiretta in favore del coniuge

Realizzazione dell’opera sul suolo altrui, donazione indiretta in favore del coniuge, indennizzo, sussistenza, condizioni.

Pubblicato il 16 July 2018 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI SULMONA

Nella persona del Giudice Dott. ******* ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 215/2018 pubblicata il 09/07/2018

TRA

XXX, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv., che lo rappresenta e lo difende in virtù di procura in calce all’atto di citazione ATTORE

E

YYY, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv., che la rappresenta e la difende in virtù di procura in calce alla comparsa di costituzione; CONVENUTA

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1.Con atto di citazione, regolarmente notificato, XXX conveniva in giudizio YYY al fine di sentire accogliere le seguenti conclusioni: “1) accertare e dichiarare che il fabbricato costruito sul terreno intestato a YYY e il terreno stesso, all’epoca della edificazione riportato nel catasto del Comune di ***********, NCEU al foglio , particella , e all’esito della costruzione accatastato alla cat. A/2, classe 3, vani superficie catastale mq. rendita € paini S1 – T – 1 – 2, sono di esclusiva proprietà di Xxx nato, per avere questi edificato il fabbricato con materiali acquistati a proprie spese e con manodopera propria o dallo stesso retribuita, disponendo che l’XXX versi alla YYY il valore di mercato (rapportato all’epoca della costruzione) del terreno sul quale il fabbricato è stato edificato e delle sue pertinenze; in subordine sul punto, in forza di accessione invertita, versi il doppio del valore dell’area occupata dal fabbricato stesso e dalle sue pertinenze, da quantificare in base a consulenza tecnica d’ufficio che fin da ora si chiede e disporre la trascrizione a favore dell’XXX presso l’Ufficio della Pubblicità Immobiliare dell’Agenzia del Territorio dell’Aquila; 2) in subordine, dichiarare ed accertare che la YYY è tenuta a corrispondere all’XXX il valore del fabbricato come sopra indicato, al momento della costruzione, da quantificare in base a consulenza tecnica d’ufficio che fin da ora si chiede; 3) in ulteriore subordine, accertare che la YYY è tenuta a corrispondere all’XXX il valore delle opera realizzate dall’XXX sul detto terreno a lei intestato, ivi compresa la manodopera impiegata per la costruzione, da quantificare, le une e l’altra, in base a consulenza tecnica d’ufficio che fin da ora si chiede; 4) condannare, per i casi dei quali ai precedenti n.2. e 3 la YYY a pagare all’XXX gli importi come sopra determinati con gli interessi e la rivalutazione monetaria dal 1999 sino all’effettivo soddisfo; 5) in ogni caso condannare la YYY al pagamento in favore dell’XXX delle spese di causa”.

Deduceva a sostegno delle domande che con atto per Notaio del 12.9.1999, in regime di comunione dei beni, l’XXX aveva acquistato il terreno sul quale poi avrebbe costruito la villetta; che, con convenzione del 3.12.1999, avevano stabilito di transitare al regime di separazione dei beni; che in pari data l’XXX aveva venduto alla sig.ra YYY la sua quota di proprietà sui beni riportati al catasto di, al foglio , particelle, moglie che ne era diventata l’esclusiva titolare; che la YYY aveva chiesto ed ottenuto di lì ad una settimana la concessione per costruire la villetta; che tale richiesta era stata sostenuta dall’XXX, che aveva corrisposto anche l’onorario all’ing. *** per la direzione dei lavori; che l’XXX, titolare di una impresa edile, aveva in effetti lavorato per anni sul detto fabbricato, costruendolo dalle fondamenta al tetto, con attività sua personale o di artigiani ed operai che egli aveva retribuito e destinandovi tutti i materiali e gli impianti che erano stati necessari per la completa abitabilità e in effetti i coniugi vi avevano vissuto con i due figli fino alla primavera 2014, quando, su richiesta della YYY, l’XXX era stato allontanato.

Sulla scorta di ciò concludeva come sopra sul primo assunto della simulazione della convenzione coniugale di scelta del regime di separazione dei beni e della successiva vendita alla YYY della metà del terreno sul quale sarebbe stata poi costruita la villa e, in via gradata, sull’assunto della accessione invertita oppure, ancora, dell’applicabilità dell’art. 936 c.c..

2.Si costituiva YYY replicando che nella fattispecie di causa non vi era prova della simulazione, né del presupposto della buona fede previsto dall’art. 938 c.c., né, infine, della qualifica del terzo prevista dall’art. 936 c.c., evidenziando, invece, che trattavasi di donazione indiretta posta in essere dal marito per il conseguimento della migliore serenità familiare con sostenimento di costi e dispendio di risorse proporzionate alle proprie condizioni economiche di imprenditore nel settore edile. Concludeva, pertanto, per l’integrale rigetto.

3.Premessa l’inesistenza di elementi probatori circa l’accordo simulatorio sottostante alla convenzione coniugale di scelta del regime di separazione dei beni e della successiva vendita alla YYY della metà del terreno sul quale sarebbe stata poi costruita la villa, come anche effettivamente l’inconferente richiamo all’art. 938 c.c. per l’insussistenza, anzitutto, del requisito della buona fede in capo all’occupante, va preso atto che lo svolgimento del giudizio non ha apportato elementi fattuali e probatori nuovi tali da disattendere le argomentazioni contenuta nella motivazione sostenuta dal Tribunale, sia in composizione monocratica sia in composizione collegiale, nell’ambito del pregresso procedimento cautelare introdotto dall’XXX e conclusosi con la domanda di sequestro conservativo a tutela del proprio diritto di credito.

In quella sede, infatti, si evince un’approfondita argomentazione in ordine alla meritevolezza del diritto di credito dell’odierno attore ad ottenere il rimborso dell’indennità di cui all’art. 936 c.c.. L’ampia motivazione resa dal tribunale in sede di reclamo, per ragioni di sintesi, può essere qui integralmente richiamata e recepita: “Deve essere disatteso, anzitutto, l’assunto secondo il quale l’operazione negoziale realizzata dai coniugi integrava gli estremi della donazione indiretta. Esso, infatti, risulta carente di prova, non essendo stati dedotti elementi dai quali desumere la sussistenza dell’animus donandi in capo al reclamato. Né tale ultimo elemento può presuntivamente ricavarsi dall’affermazione, contenuta nel ricorso per sequestro conservativo, secondo la quale ogni sforzo da parte dell’XXX sarebbe stato profuso per assicurare il benessere familiare, e ciò non solo perché l’argomento appare di per sé ininfluente, non recando in sé gli estremi della confessione, ma anche perché esso si pone in linea con la strategia difensiva del reclamato, tutta tesa a dimostrare la volontà di costui di assicurare alla propria famiglia, in costanza di matrimonio, un tenore di vita coerente con le capacità economiche del nucleo, perlopiù compendiate nei redditi percepiti dall’XXX in relazione all’esercizio di una attività di impresa nel settore edile.

4.1. Sotto tale profilo, del resto, è del tutto condivisibile l’argomento secondo il quale l’XXX ha approntato, in relazione alle proprie capacità di lavoro e di guadagno, un sensibile apporto economico al menage familiare, con ciò adempiendo a quel dovere di contribuzione che rinviene la propria fonte proprio nell’art. 143, 3° co. c.c. Detto argomento, tuttavia, non pare spendibile – come vorrebbe la reclamante – per affermare la volontà del coniuge economicamente più forte di arricchire, con proprio correlativo impoverimento, l’altro coniuge. Al contrario, appare difficilmente conciliabile la logica del dovere endo-familiare con quella dell’animus donandi (che avvantaggerebbe, del resto, solo l’altro coniuge, non già, se non in modo del tutto riflesso e indiretto, l’intero nucleo familiare), posto che la prima logica sembrerebbe elidere, o ridimensionare in modo consistente, la spontaneità che costituisce il quid proprium della seconda.

4.2. Su tali premesse, pertanto, si comprende l’apparente contraddizione nella quale cade la reclamante quando sembra accomunare le due logiche per ricondurle, senza distinguere, nel paradigma dei doveri nascenti dal vincolo del matrimonio, posto che esse risultano, se non del tutto incompatibili, quantomeno sorrette da una differente ratio ispiratrice.

4.3. Ne consegue che sarebbe stato onere della reclamante dimostrare la sussistenza di una donazione indiretta, all’uopo non bastando fare riferimento al dovere di contribuzione alla vita familiare, per le ragioni sopra evidenziate. D’altra parte, non pare che la volontà dell’XXX di compiere una donazione possa implicitamente ricavarsi, puramente e semplicemente, dal suo status di imprenditore, ove si consideri che la parte reclamante non ha efficacemente contrastato quanto da costui sostenuto a proposito del carattere non particolarmente cospicuo del suo patrimonio immobiliare, che ricomprenderebbe due immobili di piccole dimensioni – l’uno a ******, l’altro a ****** – e alcuni terreni a vocazione prettamente agricola (cfr. pag. 5 della memoria di costituzione), il cui valore complessivo non sarebbe in alcun modo comparabile con quello dell’immobile di cui si discute e di ulteriori due immobili in costruzione, che i coniugi hanno pacificamente in animo di destinare comunque ai figli, pur essendo gli stessi ancor prima destinati ad essere acquisiti, per accessione, al patrimonio della YYY, quale titolare dei terreni sui quali gli stessi sono in corso di edificazione.

  1. Ciò chiarito, nemmeno è sostenibile la tesi della inapplicabilità del rimedio previsto dall’art. 936 c.c., essendo evidente che, in assenza di un rapporto giuridico che giustifichi la realizzazione dell’opera sul suolo altrui (quale sarebbe, tra l’altro, quello derivante dall’accertamento di una donazione, anche indiretta: cfr. Cass., Sez. 2, Sent. 27.7.2000, n. 9872), diviene pure incontestabile la qualità di terzo in capo al coniuge che, senza essere proprietario del terreno, vi realizzi a proprie spese un immobile, senza esserne in alcun modo obbligato (detta qualità è stata ripetutamente affermata dalla Suprema Corte: si veda, da ultimo, Cass., Sez. 2, Sent. 30.5.2013, n. 13603).
  2. Quanto al presunto adempimento di un dovere di solidarietà familiare, invece, una volta rimarcata la necessità di tenere distinto tale aspetto da quello concernente il presunto compimento di una donazione indiretta da parte dell’XXX, deve osservarsi come, secondo un condivisibile indirizzo interpretativo, esso non si ponga necessariamente in contrasto con il diritto dell’altro coniuge a percepire un indennizzo, ove ne sussistano le condizioni (Cass., Sez. Un., Sent. 27.1.1996, n. 651 e Cass., Sez. 1, Sent. 26.5.1995, n. 5866). E ciò, deve soggiungersi, sul presupposto che l’esborso sostenuto dal coniuge non proprietario abbia comunque comportato un arricchimento per l’altro, indennizzabile secondo uno schema che, di volta in volta, può sussumersi nell’ambito di applicazione dell’art. 2041, dell’art. 1150 o, come nella specie, dell’art. 936 c.c.
  3. La considerazione che precede, del resto, si salda con quella già formulata dal primo giudice a proposito del fatto che l’obbligo di solidarietà familiare non si estende fino al punto di comportare, anche a seguito della crisi coniugale, un arricchimento esclusivo per l’altro, sì da rendere anche verosimile (per le ragioni illustrate al punto 4.3.) un rovesciamento della capacità patrimoniali dei coniugi”.

4.L’istruttoria come detto non ha alterato il compendio probatorio sulla scorta del quale la suesposta motivazione è stata resa e va, pertanto, in questa sede pienamente condivisa e confermata. Anzi, l’elaborato peritale ha dato ulteriore conferma della non comparabilità del valore del complessivo compendio patrimoniale dell’attore rispetto al superiore valore dell’immobile di cui si discute.

5.L’art. 936 c.c., nella medesima logica dell’arricchimento senza causa, calibra l’indennizzo, a scelta del proprietario, tra il valore dei materiali insieme al costo della manodopera e l’aumento del valore recato al fondo. Pertanto, poiché la CTU riferisce un valore più basso con riguardo al valore dei materiali e al costo della manodopera rispetto all’aumento del valore recato al fondo (pari al valore del fabbricato all’epoca della costruzione di euro 452.264,00), la convenuta deve essere condannata al pagamento di euro 338.322,00 (ossia pari ad euro 136.923,00, quale costo della manodopera al momento della costruzione, più euro 201.399,00, quale costo dei materiali al momento della costruzione).

  1. Il pagamento dell’indennità costituisce debito di valore; la somma dovuta va rivalutata dal 1999 fino al momento della decisione della causa, oltre interessi legali sulla somma via via rivalutata sino ad oggi. Sulla somma complessiva attuale sono riconosciuti gli interessi legali sino al saldo.

7.Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo avendo come riferimento il valore della somma concretamente riconosciuta a titolo di indennità.

8.Le spese di CTU vengono ora liquidate sulla scorta dell’art. 13 del DM 182/2002 in euro 3.000,00 (per i beni di cui al punto 1 e 2 della notula del Ctu, intesi unitariamente, considerando il valore massimo ed incrementando il compenso di euro 2.271,00, ex art. 52, sino ad euro 3.000,00 stante l’effettuazione anche della valutazione dei costi dei materiali e di manodopera per i lavori di costruzione) + euro 690,00 (per il bene di cui al punto 3 della notula, tenendo conto del valore medio) + euro 157,00 (per il bene i cui al punto 4 della notula, tenendo conto del valore medio) + euro 820,00 (per il bene di cui al punto 5 della notula, tenendo conto del valore medio) + euro 340,00 (per il bene di cui al punto 6 della notula, tenendo conto del valore medio) + euro 669,00 (di cui al punto 7 della notula, tenendo conto del valore medio), per l’ammontare complessivo di euro 5.676,00 per compensi, oltre euro 233,98 per spese e oltre iva e cassa. Tenuto conto che la perizia è stata eseguita nell’interesse di entrambi, quale passaggio necessario per la determinazione dei due possibili valori cui ancorare l’indennità dovuta ai sensi dell’art. 936 c.c., il suddetto importo, liquidato in favore dell’Ing. ****, va posto a carico di entrambe le parti in solido.

P.Q.M.

Il Tribunale di Sulmona, definitivamente pronunciando, così provvede:

-ACCOGLIE la domanda dell’attore e condanna YYY al pagamento in favore di XXX, ex art. 936 comma 2 c.c., della somma di euro 338.322,00 (ossia pari ad euro 136.923,00, quale costo della manodopera al momento della costruzione, più euro 201.399,00, quale costo dei materiali); detta somma deve essere rivalutata dal 1999 fino al momento della presente sentenza, oltre interessi legali sulla somma via via rivalutata sino ad oggi. Sulla somma complessiva, determinata come sopra ad oggi, vanno aggiunti gli interessi legali a decorrere dalla sentenza sino al saldo effettivo.

-RIGETTA, per il resto, le altre domande;

-CONDANNA YYY al pagamento in favore di XXX delle spese di lite da liquidarsi nella somma complessiva di euro 22.345,00, di cui euro 545,00 per spese vive, euro 20.000,00 per compensi attività giudiziale, euro 1.900,00 per compensi mediazione, oltre iva, cassa e rimborso forfettario come per legge sui compensi; PONE le spese di CTU definitivamente a carico di entrambe le parti in solido che vanno ora liquidate in favore dell’Ing. **** nella somma di euro 5.676,00 per compensi, oltre euro 233,98 per spese e oltre iva e cassa.

Si comunichi.

Sulmona, il 6.07.2018                                                                                   Il Giudice

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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