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La simulazione nella stipula del contratto

Si ha simulazione, qualora , nell’ambito di un rapporto contrattuale, le parti pongono in essere un negozio giuridico, accordandosi che il medesimo non produca alcun effetto nella loro sfera giuridica, determinando in tal modo una discordanza tra volontà e dichiarazione: le parti cioè pongono in essere un contratto ma in realtà non è quella la […]

Pubblicato il 31 October 2007 in Diritto Civile

Si ha simulazione, qualora , nell’ambito di un rapporto contrattuale, le parti pongono in essere un negozio giuridico, accordandosi che il medesimo non produca alcun effetto nella loro sfera giuridica, determinando in tal modo una discordanza tra volontà e dichiarazione: le parti cioè pongono in essere un contratto ma in realtà non è quella la loro reale intenzione. Il contratto in tal caso è affetto da un vizio, inerente alla volontà e per questo considerato un negozio fittizio inidoneo a produrre gli effetti cui, nella realtà giuridica è preordinato. La simulazione può essere assoluta o relativa. Nel primo caso le parti pongono in essere un atto negoziale che in realtà non vogliono, escludendo, in toto, ogni rilevanza dell’atto nei rapporti interni; es: Tizio vende a Caio un immobile, ma in realtà questi non versa alcun corrispettivo. Nel secondo caso, la parti si accordano affinchè dal negozio-contratto, derivino effetti difformi rispetto a quelli propri del negozio, es: Tizio e Caio pongono in essere una vendita ma in realtà effettuano un donazione. Alla luce di quanto detto si può affermare che, in ogni caso, la simulazione si compone di due negozi: “negozio simulato”, che reso pubblico genera la convinzione, nei confronti di terzi della sua esistenza; “negozio dissimulato”, atto a rendere privo di qualsivoglia effetti il negozio simulato, facendone derivare altri; il negozio è comunque privo di effetto anche se valido qualora sussistano requisiti di forma. Tuttavia, comun denominatore di entrambe le figure è la volontà voluta delle parti. Da non trascurare gli effetti che il contratto simulato produce nei confronti dei terzi oppure nei confronti dei creditori. Nella prima ipotesi, i terzi se in buona fede (la buona fede si presume fino a prova contraria), fanno salvi i loro acquisti e, se pregiudicati possono far valere il carattere simulato del contratto e quindi farne accertare la nullità. Nella seconda ipotesi I creditori del simulato alienante possono far dedurre la simulazione ed agire sui beni usciti dal patrimonio di questo se il credito è antecedente al negozio. L’alienante simulato può opporre la simulazione ai creditori chirografari ( quelli non garantiti da privilegi) dell’acquirente simulato ma non a quelli dell’acquirente se fallito o se muniti di ipoteca o pegno. Qualora la simulazione derivi da intento fraudolento, tale da eludere l’applicazione di una norma imperativa è colpito da nullità. Si ribadisce che al di fuori della suesposta fattispecie il negozio simulato, invece, non implica alcuna nullità bensì una sua originaria inefficacia. Da ultimo meritano menzione gli aspetti processuali dell’istituto, legittimati ad agire proponendo azione giudiziaria sono, oltre alle parti negoziali, e loro aventi causa anche i creditori. L’azione, è volta ad ottenere l’emanazione di una sentenza di accertamento diretta ad accertare la nullità del contratto; la legge prevede la prescrizione decennale dell’azione, termine che decorre dalla conclusione del negozio simulato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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