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Azione di riduzione, inefficacia delle disposizioni testamentarie

Azione di riduzione, inefficacia delle disposizioni testamentarie che eccedono la quota disponibile.

Pubblicato il 11 October 2023 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI MESSINA

I sezione civile composto dai Sigg.: Giudice riunito in Camera di Consiglio, ha reso la seguente

SENTENZA n. 1540/2023 pubblicata il 01/09/2023

nella causa iscritta al N. 3625 del Registro Generale Contenzioso 2020

TRA

XXX,

ATTORE

E

YYY e ZZZ,

CONVENUTI avente per oggetto: Cause di impugnazione dei testamenti e di riduzione per lesione di legittima

IN FATTO ED IN DIRITTO

Con atto di citazione ritualmente notificato in data 12.09.2020 XXX conveniva in giudizio davanti a questo Tribunale i fratelli YYY e ZZZ, esponendo che in data 13.05.2016 era deceduto a KKK, padre delle parti in causa, il quale con testamento olografo datato 16.03.1999, pubblicato ai rogiti del notaio in data 16.09.2016, aveva disposto del suo patrimonio come segue: “Assegno l’appartamento sito in via tre monti piano Cardillo n. 7 a mia figlia YYY; assegno l’appartamento dove io abito a mio figlio ZZZ; assegno il terreno in comune che sia suddiviso secondo la volontà degli eredi e i due appartamenti e la veranda a mia figlia YYY e ZZZ; riguardo il mio figlio maggiore XXX nato a allo stesso ho già provveduto in precedenti dare l’appartamento sito via Prato Magno pal.na 31 n. 2 da allo stesso donato al momento del suo Matrimonio con ***”. Evidenziava che, in realtà, il de cuius non gli aveva donato alcun immobile, poiché quello sito in Messina via Pratomagno pal. 31 n. 2, del quale era effettivamente proprietario, era stato da lui acquistato unitamente alla moglie *** e non aveva formato oggetto di alcuna donazione. In particolare, rilevava che egli era assegnatario del suddetto immobile di proprietà dell’Istituto Autonomo Case Popolari e, avendo detto Istituto accolto la sua istanza di acquisizione del bene ai sensi dell’art. 6 legge Reg. Sic. 26/1963, egli ne era divenuto proprietario in forza di atto di cessione dell’11.12.1984 ai rogiti del notaio. Lamentava, pertanto, che il padre lo aveva integralmente pretermesso, non avendogli riconosciuto nel menzionato testamento alcun bene del patrimonio ereditario e chiedeva, di conseguenza, che le disposizioni testamentarie in favore dei fratelli YYY e ZZZ fossero ridotte al fine di reintegrare l’istante nella quota di eredità a lui riservata per legge quale legittimario. Osservava che il valore della massa ereditaria, sulla base di una perizia stragiudiziale che lui aveva fatto eseguire, era pari a € 187.500,00 e che la quota di riserva spettante al deducente era pari a € 41.666,00. Evidenziava, inoltre, che avrebbe dovuto essere ripristinata la comunione ereditaria, attribuendo all’istante una quota di beni del valore sopra indicato, in quanto, ai sensi dell’art. 735 c.c., la divisione effettuata dal testatore, nella quale alcuno dei legittimari fosse stato pretermesso, era da considerare nulla. In via subordinata chiedeva l’annullamento del menzionato testamento olografo ai sensi dell’art. 624 c.c., in quanto la volontà del testatore era stata viziata da errore di fatto sul motivo, con riferimento all’affermazione secondo cui l’appartamento sito in Messina via Pratomagno pal. 31 n. 2 avrebbe formato oggetto di donazione. Chiedeva, infine, che fosse disposto lo scioglimento della comunione ereditaria derivante dall’accoglimento delle suddette domande con attribuzione in natura dei beni corrispondenti alla quota a lui spettante o, in subordine, con la condanna dei convenuti al pagamento di una somma di denaro corrispondente al valore della quota, oltre rivalutazione ed interessi. Chiedeva, infine, che i convenuti fossero condannati a corrispondere al deducente i frutti per il mancato godimento dei beni ereditari dal momento dell’apertura della successione sino al soddisfo.

Con comparsa tempestivamente depositata il 23.12.2020 si costituivano i convenuti YYY e ZZZ, i quali contestavano la fondatezza delle domande avversarie e ne chiedevano il rigetto con condanna dell’attore al risarcimento dei danni per lite temeraria.

Osservavano che non era vera la circostanza secondo cui l’attore era stato totalmente pretermesso, in quanto il padre gli aveva donato, così come affermato nel testamento, l’immobile sito in Messina via Pratomagno pal. 31 n. 2. In particolare, rilevavano che il de cuius era l’originario assegnatario del suddetto appartamento, ove aveva vissuto sino alla morte, e solo al fine di donare detta casa al figlio maggiore XXX aveva dichiarato in data 09.02.1978 di rinunciare all’assegnazione dell’alloggio, che era stato, quindi, assegnato dall’Istituto Autonomo Case Popolari al figlio XXX; inoltre XXX in data 16.03.1999, vale a dire lo stesso giorno del testamento, aveva sottoscritto una dichiarazione del seguente tenore: “dichiaro di avere avuto da mio padre in donazione l’appartamento sito in via Pratomagno palazzina 31 n° 2 quale anticipo dei miei diritti successori. Dichiaro che come per legge la predetta donazione deve essere sottoposta eventualmente a collazione, intendendosi la superiore donazione come tacitazione di legittima. XXX.

Messina 16/3/99”. Sottolineavano, quindi, che la suddetta scrittura confessoria era stata esaminata in sede di mediazione e se non fosse stata veritiera l’attore avrebbe potuto impugnarla. Concludevano, pertanto, affermando che risultava documentalmente provato che l’immobile in questione era stato donato dal defunto KKK al figlio XXX e ciò significava che KKK, oltre ad avere permesso all’attore di sostituirsi a lui quale assegnatario dell’immobile di proprietà dello IACP di Messina, aveva anche conferito al medesimo il denaro occorrente per il relativo acquisto, così ponendo in essere una donazione indiretta. Rilevavano, pertanto, che l’immobile donato avrebbe dovuto essere collazionato e che non sussisteva alcuna lesione dei diritti dell’attore quale legittimario. Evidenziava, in ogni caso, che gli immobili ereditati dai deducenti YYY e ZZZ non avevano di certo, al momento di apertura della successione, il valore indicato dalla controparte, anche perché detta valutazione non teneva conto del fatto che, dopo l’apertura della successione, erano state effettuate opere di ristrutturazione, che ne avevano aumentato il valore. Contestavano, infine, che le disposizioni testamentarie oggetto di causa fosse annullabili ex art. 624 comma 2 c.c., per errore sul motivo da parte del disponente posto che il bene immobile di via Pratomagno era stato effettivamente donato al figlio XXX. Chiedevano, pertanto, che fosse accertato che il bene immobile sito a Messina in via  pal.31. in NCEU alla partita , foglio 101, part.lla 236, sub. 2 aveva formato oggetto di donazione indiretta da parte di KKK a favore del figlio XXX; che fosse rigettata la domanda di riduzione e che fosse rigettata la domanda di nullità o annullamento del testamento olografo di KKK datato 16.03.1999, pubblicato ai rogiti del notaio Nunzio ARRIGO in data 16.09.2016.

Con note di udienza depositate il 28.01.2021 parte attrice disconosceva la scrittura denominata “dichiarazione di XXX datata 16.03.1999” versata in atti dalla controparte, chiedendo che alla stessa non fosse riconosciuta alcuna valenza probatoria.

Con memoria ex art. 183/6 n. 1 c.p.c. depositata il 04.03.2021 l’attore contestava la fondatezza delle argomentazioni avversarie, evidenziando che il prezzo di acquisto dell’immobile sito a Messina via Pratomagno era stato da lui corrisposto utilizzando sue risorse pecuniarie, senza alcun contributo da parte del padre, come risultava dalle allegate ricevute di versamento su conto corrente postale intestato allo IACP di Messina, datate 16/02/1978 e 04/07/1978, attestanti il pagamento “eseguito da XXX” di rispettivamente £ 5.000 e £ 25.000.

Osservava, poi, che non risultava provata l’esecuzione di una ristrutturazione degli immobili facenti parte della massa ereditaria, né le fatture versate in atti dalla controparte apparivano ricollegabili a lavori eseguiti presso l’immobile sito in Messina, via Tremonti n. 8. Infine, ribadiva il disconoscimento formale della scrittura privata allegata dai convenuti, datata 16.03.1999, negando che la sottoscrizione della stessa fosse riferibile alla sua mano.

Con memoria ex art. 183/6 n. 1 c.p.c. depositata il 26.02.2021 i convenuti chiedevano la verificazione della sottoscrizione della menzionata scrittura, disconosciuta dall’attore.

Disposta ed espletata C.T.U. grafologica, il Giudice Istruttore, con ordinanza del 06.04.2022, disponeva C.T.U. al fine di accertare il valore degli immobili relitti da KKK al momento di decesso del de cuius (13.05.2016), nonché il valore dell’immobile acquistato da XXX sito in via Pratomagno, verificando, con riferimento all’immobile lasciato a ZZZ, se quest’ultimo avesse effettuato i lavori indicati in comparsa di risposta, in relazione alle fatture dallo stesso prodotte; con la medesima ordinanza il Giudice Istruttore ammetteva la prova per testi chiesta dai convenuti.

Depositata la relazione di C.T.U. estimativa ed espletata la prova testimoniale ammessa, all’udienza del 03.05.2023, celebrata con le modalità cartolari previste dall’art. 127 ter c.p.c., sulle conclusioni dei procuratori delle parti, il Giudice Istruttore rimetteva la causa al collegio per la decisione, ai sensi dell’art. 189 c.p.c., concedendo i termini di rito ai sensi dell’art. 190 c.p.c., per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica.

Ritiene il collegio che le domande avanzate dall’attore siano infondate e vadano integralmente rigettate.

L’attore ha chiesto, innanzi tutto la riduzione delle disposizioni testamentarie contenute nel testamento olografo datato 16.03.1999, pubblicato ai rogiti del notaio in data 16.09.2016, con il quale KKK, nato a e deceduto a padre delle parti in causa, aveva lasciato i suoi beni assegnandoli esclusivamente ai figli YYY e ZZZ e pretermettendo, invece, l’attore, giustificando tale sua decisione con l’affermazione che aveva donato in vita a quest’ultimo un immobile sito a Messina via .

L’azione di riduzione è volta a far dichiarare l’inefficacia, in tutto o in parte, delle disposizioni testamentarie e degli atti di liberalità posti in essere in vita dal de cuius che, eccedendo la quota disponibile (art. 556 c.c.), abbiano leso la quota riservata dalla legge ad alcune categorie di successibili come legittimari. L’azione di riduzione ha, come causa petendi, la qualità di erede necessario e l’avvenuta lesione della quota di legittima, per effetto delle disposizioni testamentarie ovvero degli atti di liberalità posti in essere in vita dal de cuius, e come petitum la diminuzione quantitativa od anche la totale eliminazione delle attribuzioni patrimoniali compiute in favore degli eredi o di terzi nella misura necessaria per reintegrare la quota di riserva e ciò con effetto retroattivo al momento dell’apertura della successione (Cass. civ. sez. I, 11.06.2003 n. 9424).

L’azione di riduzione viene configurata come individuale, giacché ogni legittimario può agire per la sola propria quota di legittima (Cass. civ. sez. II, 12.5.1999, n. 4698; Cass. civ., 28.11.1978, n. 5611); divisibile, in quanto ciascun legittimario può agire anche contro uno solo dei beneficiari sempre limitatamente alla quota di cui si ritiene da questo leso (Cass. civ. 17.05.1980 n. 3243); e personale, in quanto diretta a procurare al legittimario l’utile corrispondente alla quota di legittima, e non un’azione reale, come risulta confermato dal fatto che si propone non contro chi al momento è titolare del bene, ma esclusivamente contro gli eredi, i legatari o i donatari (Cass. civ. sez. II, 22.3.2001, n. 4130).

Giova precisare che l’azione di riduzione dei beni lasciati dal defunto con disposizioni lesive dei diritti dei legittimari, prevista dagli artt. 553 e segg. c.c., va distinta nettamente dalla collazione di beni donati in vita dal defunto.

Come è noto, ai sensi dell’art. 737 c.c. “i figli legittimi e naturali e i loro discendenti legittimi e naturali ed il coniuge che concorrono alla successione devono conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati”. La collazione ereditaria costituisce, pertanto, uno strumento giuridico volto alla formazione della massa ereditaria da dividere al fine di assicurare, nei reciproci rapporti tra i condividenti equilibrio e parità di trattamento, in guisa da non alterare il rapporto di valore tra le rispettive quote, da determinarsi in relazione alla misura del diritto di ciascun condividente, sulla base della sommatoria del relictum e del donatum al momento dell’apertura della successione.

Benché l’obbligo di collazione e l’azione di riduzione possano concorrere entrambi al risultato di aumentare la massa ereditaria, rendendo inefficaci taluni atti di liberalità compiuti in vita dal defunto, è stato ripetutamente sottolineato in giurisprudenza (Cass. civ. sez. II 29.07.1994 n. 7142; Cass. civ. sez. II 16.11.2000 n. 14864) che la domanda di collazione proposta nel giudizio di divisione ereditaria va nettamente distinta dalla domanda di riduzione delle relative attribuzioni patrimoniali, diversi essendo sia il petitum, che nella prima ha per oggetto la ricomposizione, in modo reale, dell’asse ereditario e nella seconda ha per oggetto la riduzione delle attribuzioni patrimoniali degli altri eredi, sia la causa petendi, che nella domanda di collazione ha fondamento nel diritto dei coeredi discendenti di conseguire nella divisione porzioni eguali e nella domanda di riduzione ha fondamento nel diritto alla quota di legittima.

Va, inoltre, sottolineato che, essendo configurabile la collazione solo nell’ambito di una divisione ereditaria, deve escludersi che possa farsi luogo alla collazione quando manchi una comunione ereditaria (Cass. civ. 5.03.1970 n. 543; Cass. civ. 9.07.1975 n. 2704; Cass. civ. 17.11.1979 n. 5982), come nel caso di specie, avendo il de cuius effettuato la divisione dei propri beni agli eredi già con il testamento.

E’ evidente, pertanto, che l’affermazione dei convenuti secondo cui l’attore avrebbe dovuto portare “in collazione” il bene immobile a lui donato dal padre, è del tutto impropria, poiché la collazione non può essere invocata neppure per effetto dell’eventuale accoglimento dell’azione di riduzione che mira unicamente a far ottenere al legittimario, titolare di un diritto proprio, riconosciutogli dalla legge, l’integrazione della quota di riserva spettantegli e non già la costituzione di una comunione tra coeredi (Cass. civ. 21.12.2021 n. 41132). E’ verosimile, viceversa, che i convenuti abbiano inteso sottolineare che, nell’ambito della cosiddetta “riunione fittizia” avrebbe dovuto essere presa in considerazione la donazione ricevuta dall’attore, pur dovendosi ribadire che anche quando sia fatta per imputazione la collazione rimane distinta dalla riunione fittizia delle donazioni prevista dall’art. 556 c.c.: entrambe lasciano i beni donati nel patrimonio del donatario, ma mentre la riunione fittizia resta comunque una pura operazione contabile, da cui può non derivare alcuna alterazione nel patrimonio del donatario, se non sia lesa la legittima, la collazione attuata per imputazione si traduce comunque in un sacrificio a carico del conferente, il quale subisce il maggior concorso dei coeredi sui beni relitti.

L’azione di riduzione può avere, in primo luogo, ad oggetto, ai sensi dell’art. 554 c.c., le disposizioni testamentarie a titolo universale o particolare che ledano i diritti del legittimario; l’art. 555 c.c. prevede, invece, la riduzione delle donazioni. Va, in ogni caso osservato che gli artt. 554 e 555 c.c. non prevedono e regolano due distinte azioni, bensì un’unica azione, e cioè l’azione di riduzione, concessa ai legittimari, a tutela dei diritti che la legge ad essi riserva, qualora siano lesi da disposizioni testamentarie (arti. 554 c.c.) ovvero da donazioni (art. 555 c.c.), prevedendosi per entrambe che “sono soggette a riduzione” (Cass. sez. 2, Sentenza n. 11873 del 1993).

Nel caso in l’azione abbia ad oggetto disposizioni testamentarie a titolo universale, la lesione può restare integrata dalla preterizione di un legittimario o dall’attribuzione espressa ad un legittimario di una quota di eredità formalmente inferiore rispetto alla quota di riserva ovvero dalla diretta attribuzione ad un legittimario di beni facenti parte dell’asse ereditario di valore inferiore rispetto a quello della quota di riserva, quando nell’asse non sussistano beni sufficienti a comporre la quota riservata al legittimario, ai sensi del combinato disposto degli art. 735 comma 2 c.c.553 c.c... Come è noto, infatti, ai sensi dell’art. 588 c.c., “le disposizioni testamentarie, qualunque sia l’espressione o la denominazione usata dal testatore, sono a titolo universale ed attribuiscono la qualità di erede se comprendono l’universalità o una quota di beni del testatore. Le altre disposizioni sono a titolo particolare e attribuiscono la qualità di legatario.

L’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio”.

Ciò significa che per il legislatore anche l’attribuzione di beni determinati può essere a titolo universale se risulta la volontà del testatore di attribuire i beni come quota del patrimonio (cosiddetta institutio ex re certa), dovendosi in tal caso ritenere che la quota sia stata determinata non direttamente, bensì attraverso la relazione del valore dei beni rispetto al patrimonio ereditario. Inoltre è facoltà del testatore dividere tutto o parte del suo patrimonio tra gli eredi, al fine di prevenire occasioni di liti tra loro (cosiddetta divisio inter liberos). Stabilisce, infatti, l’art. 734 c.c. che “il testatore può dividere i suoi beni tra gli eredi comprendendo nella divisione anche la parte non disponibile”. Anche quando l’attribuzione di un singolo bene sia in funzione divisoria deve, allora, escludersi che il testatore abbia voluto effettuare una disposizione a titolo particolare, mentre costituisce questione interpretativa stabilire in tal caso se il testatore abbia inteso chiamare i coeredi in quote uguali o diverse.

Va osservato che, quando un legittimario venga pretermesso in sede di divisione effettuata dal testatore, il rimedio esperibile è sempre l’azione di riduzione, benché l’art. 735 comma 1 c.c. stabilisca che “la divisione nella quale il testatore non abbia compreso qualcuno dei legittimari o degli eredi istituiti è nulla”. Si è infatti, osservato che il legittimario, il quale sia stato pretermesso nella disposizione testamentaria, non è erede se non in quanto abbia sperimentato vittoriosamente l’azione di riduzione. Conseguentemente, se la divisione testamentaria si esaurisca in un riparto meramente esecutivo di una precedente disposizione istitutiva di più eredi con determinazione delle rispettive quote (astratte) ed a tale disposizione istitutiva risalga la preterizione del legittimario, questi ha l’onere di sperimentare l’azione di riduzione e, soltanto se per questa via abbia conseguito la quota di riserva e la qualità di erede, può far valere la nullità della divisione giudiziale in conformità del suo diritto, azione dal cui accoglimento discende il ripristino della comunione ereditaria (Cass. civ., 06.10.1972 n. 2870).

In sede di riduzione occorre effettuare due operazioni preliminari alla reintegrazione della quota riservata ai legittimarti: la riunione fittizia e l’imputazione ex se.

L’art. 556 c.c. stabilisce, infatti, che, al fine di accertare se un legittimario sia stato leso nei suoi diritti, occorre determinare, mediante una operazione algebrica, il valore della massa ereditaria, quello della quota disponibile e quello della quota di legittima, che della massa ereditaria costituiscono una frazione. Si deve, pertanto, procedere alla formazione della massa dei beni relitti ed alla determinazione del loro valore al momento dell’apertura della successione, alla detrazione dal relictum dei debiti contratti dal defunto, nonché di quelli sorti a causa della morte. Occorre, quindi, effettuare la riunione fittizia tra attivo netto e donatum, costituito dai beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione in vita dal de cuius.

Sulla massa risultante dalla somma del valore del relictum (detratti i debiti) e del valore del donatum, è possibile, quindi, calcolare la quota indisponibile, mentre per la verifica della lesione di legittima occorre procedere alla imputazione delle liberalità fatte al legittimario, ai sensi dell’art. 564 c.c., salvo che il legittimario ne sia stato espressamente dispensato (vedi, tra le altre, Cassazione civile sez. II, 1 dicembre 1993, n. 11873).

Si deve premettere che ai sensi dell’art. 564 comma 2 c.c. “il legittimario, che domanda la riduzione di donazioni o di disposizioni testamentarie, deve imputare alla sua porzione legittima le donazioni e i legati a lui fatti, salvo che ne sia stato espressamente dispensato” (cosiddetta imputazione ex se, da non confondere con l’istituto che va sotto lo stesso nome e che definisce una delle modalità con cui si può attuare la collazione). L’imputazione non costituisce, però, un limite alla esperibilità dell’azione di riduzione, bensì un limite al suo accoglimento; non si è al cospetto di una condizione di proponibilità, quale è l’accettazione con beneficio di inventario prevista nel primo comma dell’art. 564 c.c., e neppure di una condizione dell’azione. Essa rappresenta, infatti, da un lato, un’operazione di calcolo della legittima in quanto la quantità di beni spettanti al legittimario di diritto, in qualità di erede, sul relictum, va diminuita in relazione all’imputazione ex se, sicché il legittimario potrà conseguire solo un supplemento rispetto ai beni donati e, dall’altro lato, un onere a carico del legittimario, poiché se il legittimario non imputa le liberalità ricevute in conto, non fornisce la prova dell’avvenuta lesione dei suoi diritti di riserva (Cass. civ. 12.03.1966 n. 711; Cass. civ., sez. II, 01.12.1993, n. 11873).

Benché l’istituto della riunione fittizia operi in maniera diversa dalla collazione, trattandosi di una operazione meramente contabile, ha in comune con essa la disciplina relativa all’oggetto ed alla valutazione dei beni in forza del rinvio contenuto nell’art. 556 c.c. alle regole dettate negli artt. da 747 a 750 c.c., sicché i beni oggetto di donazione vanno stimati, nella loro consistenza oggettiva, con riferimento al momento della donazione, e nel loro valore economico sulla base del potere d’acquisto della moneta al momento dell’apertura della successione – art. 747 c.c.. Peraltro appare condivisibile la tesi secondo la quale, pur nel silenzio della legge, si debbano applicare le norme sulla collazione anche per la determinazione dell’oggetto della riunione fittizia.

Nella fattispecie in esame non è contestato che il relictum è costituito esclusivamente dai beni oggetto delle disposizioni testamentarie; nessuna delle parti ha, invece, evidenziato l’esistenza di debiti contratti dal defunto, nonché di debiti sorti a causa della morte, ai fini della loro detrazione dal relictum. Controversa è, invece, la questione se il de cuius abbia donato in vita al figlio XXX l’appartamento sito a Messina via  pal.na 31 n. 2. L’attore ha, infatti, affermato che tale bene immobile era stato da lui acquistato, unitamente alla moglie, da potere dello I.A.C.P., essendone stato l’assegnatario, con atto pubblico di cessione dell’08.11.1984, mentre i convenuti hanno affermato che il suddetto immobile aveva formato oggetto di donazione indiretta da parte del padre a favore del figlio XXX, avendo il de cuius prima rinunciato all’assegnazione della casa (che originariamente era stata assegnata al de cuius) in modo da consentire che il bene fosse assegnato al figlio, e poi versato in luogo del figlio il corrispettivo necessario per l’acquisto.

A tal proposito, va osservato che, ai sensi dell’art. 809 c.c., le liberalità, anche se risultano da atti diversi dal contratto di donazione, sono soggette alle stesse norme sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari, mentre l’azione di riduzione va esclusa solamente con riferimento “alle liberalità previste dal secondo comma dell’articolo 770 e a quelle che a norma dell’articolo 742 non sono soggette a collazione”. Dal che si trae che, ai fini dell’azione di riduzione, occorre considerare tutti i beni di cui il de cuius abbia disposto a titolo gratuito, direttamente o indirettamente (art. 737 c.c.), ancorché in modo simulato.

La donazione indiretta consiste nell’elargizione di una liberalità attuata, anziché attraverso il tipico negozio della donazione diretta, mediante un negozio oneroso che produce, in concomitanza con l’effetto diretto che gli è proprio, l’effetto indiretto dell’arricchimento senza corrispettivo, animo donandi, del destinatario della liberalità (cfr. Cass. 7 dicembre 1989 n. 5410; Cass. 5 dicembre 1970 n. 2565). La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che in simili casi non si applicano i limiti alla prova testimoniale in materia di contratti e simulazione che valgono per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo prefissato, per l’assorbente motivo che, nel caso della donazione indiretta, a differenza che nel caso della donazione simulata, il negozio oneroso con il quale viene attuata l’attribuzione gratuita come effetto indiretto, corrisponde alla reale intenzione delle parti (Cass. civ. 1986/2016; Cass. civ. 27050/2018).

Naturalmente occorre verificare quando si è al cospetto di una donazione indiretta e talvolta la qualificazione giuridica è particolarmente complessa.

Ad esempio, la giurisprudenza di legittimità, dopo alcune incertezze, ha chiarito, nella composizione a Sezioni Unite, che si è al cospetto di una donazione indiretta di un immobile piuttosto che di una donazione di una somma di denaro tutte le volte in cui una persona provveda con denaro proprio al pagamento del prezzo di un immobile che risulta acquistato da altri, venendo così attuato un complesso procedimento di arricchimento del destinatario del trasferimento, nel cui patrimonio entra a far parte l’immobile (Cass. civ. sez. un. 5.08.1992 n. 9282; Cass. 23.12.1992 n. 13630; Cass. 6 maggio 1991 n. 4986; Cass. 31 gennaio 1989 n. 596; Cass. 14.05.1997 n. 4231; Cass. 14.12.2000 n. 15778; Cass. 26/8/2002, n. 12486; Cass. 6/4/2001, n. 5122; Cass. 16.03.2006 n. 5333).

Nella fattispecie in esame occorre, allora, verificare se, a prescindere dal fatto che lo I.A.C.P. di Messina abbia ceduto l’immobile oggetto di causa all’assegnatario XXX ed a sua moglie, il denaro necessario per l’acquisto sia stato o meno fornito dal de cuius, che abbia in tal modo effettuato una donazione indiretta in favore del figlio.

A tal proposito si deve in primo luogo osservare che lo stesso testatore ha affermato nel testamento che egli non aveva assegnato alcuno dei suoi beni relitti al figlio XXX, in quanto aveva già provveduto a donare al figlio, al momento del suo matrimonio, la casa sita a Messina via Pratomagno. D’altronde, non si può escludere la possibilità che il de cuius, dopo avere effettuato una donazione ad un legittimario, sufficiente a soddisfare i diritti a quest’ultimo spettanti sulla quota di riserva, lo escluda nel testamento dalla propria successione, attribuendo l’eredità ad altri (si ritiene, invece, nullo il testamento contenente esclusivamente una disposizione negativa – Cass. civ. sez. III 20.06.1967 n. 1458) ed espressamente motivando tale esclusione con la considerazione che le aspettative del legittimario erano state soddisfatte con la precedente donazione. Infatti, tale fattispecie appare ben diversa da quella in cui il de cuius abbia nel testamento escluso espressamente il legittimario dalla quota di riserva, ipotesi nella quale si ritiene pacificamente che il testamento sia nullo per contrarietà a norma imperativa. Bisogna, però, comprendere il rilievo che possa avere una simile affermazione contenuta nel testamento. La questione è stata sovente affrontata in giurisprudenza con riferimento alla natura ed alla portata di una ricognizione contenuta in un testamento, con la quale il testatore si sia dichiarato debitore ed in tal caso si è osservato che, in presenza di un sistema normativo che stabilisce la libera apprezzabilità della confessione testamentaria, e che pone una presunzione relativa di atto di liberalità con riferimento al legato a favore del creditore, sarebbe dissonante una soluzione che affermasse la piena efficacia del riconoscimento di debito contenuto nel testamento, sia per la natura negoziale del riconoscimento, come tale soggetto a rischio di simulazione, sia perché il riconoscimento non attribuisce alcun diritto nuovo al creditore. Di conseguenza, si è affermato che la ricognizione testamentaria non è sufficiente a dimostrare l’esistenza del debito nei confronti degli eredi legittimari e deve essere corroborata dal creditore con altri elementi che ne sostengano la genuinità e diano dimostrazione della esistenza del rapporto fondamentale. Analogamente, nel caso in esame, l’affermazione del de cuius di avere donato in vita al figlio XXX l’appartamento sito a Messina via Pratomagno non può essere di per sé sufficiente a dimostrare l’avvenuta donazione, poiché una simile dichiarazione potrebbe divenire strumento per realizzare una vera e propria disposizione in violazione dei limiti all’autonomia testamentaria posti dalle norme che tutelano i diritti dei legittimari.

Ben altro rilievo va, invece, attribuito alla dichiarazione a firma di XXX, datata 16.03.1999, con la quale quest’ultimo ha affermato “di avere avuto da mio padre in donazione l’appartamento sito in via Pratomagno palazzina 31 n. 2 quale antiparte dei miei diritti successori”.

Va, in primo luogo, affermata l’utilizzabilità a fini probatori della suddetta scrittura sottoscritta dall’attore. Invero, XXX ha disconosciuto la propria sottoscrizione apposta a tale scrittura ed i convenuti hanno formulato tempestivamente istanza di verificazione, ai sensi dell’art. 216 c.p.c., dichiarando di volersi avvalere del documento disconosciuto. Infatti, come chiarito dalla Suprema Corte, “qualsiasi documento proveniente da un privato […] non ha valore di prova di per sé, né tale valore assume a seguito della produzione in giudizio. Il documento prodotto in tanto assume efficacia di mezzo di prova, in quanto non sorga contestazione intorno all’autenticità di esso, ossia intorno alla provenienza del soggetto che ne risulta autore. Se sorge contestazione, il documento non perde alcunché, che abbia precedentemente acquistato, ma non acquista nel giudizio l’efficacia di prova”, salvo che non sia esperito e con esito positivo lo speciale procedimento di verificazione, che ha carattere e finalità strumentali rispetto al potere processuale di produrre documenti (Cass. civ. 6.04.1995 n. 4036; Cass. civ. 28.01.2004 n. 1549).

Nella fattispecie in esame è stata espletata C.T.U. ed il consulente nominato, dott., all’esito di una indagine accurata e pienamente condivisibile, nella relazione depositata il 10.03.2022, ha concluso affermando che “la sottoscrizione a nome XXX presente nel manoscritto datato Messina 16/3/99 è riferibile alla grafomotricità del nominale firmatario”. In particolare il C.T.U. ha sottolineato che le peculiarità dei punti di esordio e di conclusione di determinate figure, le caratteristiche delle sfumature del tratto sia nelle zone iniziali e finali che nelle transizioni intergrammiche, le modulazioni dimensionali dei corpi grafici, le modalità con cui si attua l’espansione laterale in rapporto allo sviluppo dei corpi grafici, analogamente contenuta e cadenzata nelle spaziature intergrammiche e interletterali, la corrispondenza nella giacitura degli assi grammici, sia nell’arco di oscillazione del grado della pendenza che nel preferenziale parallelismo, la scansione delle intermittenza di penna, la disposizione delle masse grafiche, la dinamica “curva’ – ‘angolo’ riscontrata nella corrispondenza dell’alternanza di spigolosità acute o smussate e di transizioni curvilinee nei raccordi intergrammici e interletterali, l’ovalizzazione, valutata nel rapporto di sviluppo degli ovali di ‘a’ ed ‘o’ sui loro assi, sono tutti elementi che qualificano il grafismo e che, dipendendo dal complesso dei fattori connessi con gli apparati cerebrali e con quelli motori assumono una pregnanza segnaletica molto elevata, essendo stati riscontrati sia nello scritto in verifica che nelle scritture di comparazione.

Questo Collegio ritiene di dover condividere le motivazioni poste a fondamento delle conclusioni rassegnate dal CTU, in quanto logicamente argomentate con rigore metodologico e dopo una scrupolosa verifica della scrittura datata 16.031999 e delle scritture di confronto. I rilievi mossi avverso l’elaborato peritale sono stati, d’altronde, oggetto di ampia disamina da parte del CTU e sono stati tutti superati sulla base di valutazioni tecniche diffusamente motivate (si v. pp. 26-27della CTU grafologica a firma A. GUARINO depositata il 10.03.2022). In particolare, il CTU, al fine di rispondere alle osservazioni, ha rinviato al proprio elaborato non in maniera acritica, ma operando, in maniera precisa e puntuale, le dovute valutazioni tecniche e giungendo alla conclusione che le censure mosse erano inidonee a modificare le motivazioni tecniche poste alla base del suo parere conclusivo. La circostanza che il CTU ed il CT di parte attrice siano addivenuti a delle valutazioni e conclusioni parzialmente differenti non è, in ogni caso, ex se motivo sufficiente per un richiamo del CTU ovvero per la disposizione di indagini da parte di un collegio peritale, dovendosi accordare preferenza alle risultanze del CTU, in quanto assistite da una presunzione di imparzialità. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che “nelle materie che richiedono un elevato livello di cognizioni tecniche specifiche, è rimesso al prudente apprezzamento del giudice del merito, nella cui esclusiva competenza rientra pervenire a siffatta determinazione, incensurabile in sede di legittimità, astenersi dall’effettuare considerazioni personali determinanti e valutazioni comparative che mancherebbero del supporto di un’appropriata preparazione scientifica, tanto più ove le argomentazioni dell’ esperto nominato dall’ufficio, assistite dalla presunzione d’imparzialità, si contrappongano a quelle degli esperti di parte, comunque meno attendibili se non altro in quanto influenzate dall’esigenza di sostenere le ragioni del preponente […].” (Cfr. Cass. civ. sez. II, 18/12/2012, n.23362).

Alla luce di tale conclusione, pienamente condivisibile, si può, allora, affermare che l’autenticità della predetta scrittura sia stata positivamente verificata e che il documento sia pienamente utilizzabile ai fini di prova.

Quanto al rilievo probatorio della suddetta dichiarazione, va osservato che essa può essere qualificata come confessione stragiudiziale resa ad un terzo, che, ai sensi dell’art. 2735 c.c., è liberamente valutabile dal giudice ma sufficiente a fondare la decisione (Cass. civ. 7746/2020; Cass. civ. 3698/2020). Nel caso in esame, d’altronde, non vi è motivo per escludere l’affidabilità della suddetta dichiarazione, anche in considerazione del fatto che essa si iscrive in una situazione relazionale nella quale è assai probabile che il padre abbia voluto fare un atto di liberalità nei confronti del figlio, come si desume anche dal fatto che il de cuius ha rinunciato all’assegnazione del bene a favore del figlio XXX, affermando contrariamente al vero di essersi trasferito in altro alloggio, mentre è pacifico che lo stesso ha continuato ad abitare nella casa di via Pratomagno, dove viveva anche al momento del decesso, come risulta, peraltro, anche dalla documentazione anagrafica in atti. D’altronde, XXX non ha in alcun modo dimostrato di avere versato il corrispettivo stabilito nell’atto di cessione per l’acquisto del bene, pari a £ 2.428.993 (detratte le somme versante anteriormente alla stipula dell’atto) e si è limitato a sottolineare che aveva versato le somme irrisorie di £ 5.000 e di £ 15.000, come da ricevute in atti, somme che riguardavano esclusivamente le spese di istruttoria della pratica. Invero, XXX ha affermato che, ove pure quella dichiarazione fosse stata lui riferibile, egli era certamente caduto in errore, avendo creduto che l’allontanamento del padre dall’alloggio popolare di via Pratomagno, quale fatto storico che aveva reso poi possibile il suo futuro riscatto dell’alloggio in argomento, corrispondesse ad una “donazione”. Nondimeno, va osservato che non vi è alcun elemento per potere affermare che l’attore abbia potuto commettere un simile “errore” anche in considerazione del fatto che nella medesima dichiarazione si fa riferimento alle conseguenze che avrebbe avuto la donazione sui suoi diritti successori ed al fatto che la donazione avrebbe dovuto essere sottoposta a collazione, affermazioni che denotano nel dichiarante una piena consapevolezza del significato del termine da lui usato “donazione”. Peraltro, per concorde giurisprudenza, il dichiarante che sia incorso in errore, ai sensi dell’art. 2732 c.c., deve provare sia l’elemento soggettivo dell’errore in cui egli è incorso, sia l’elemento oggettivo della non corrispondenza al vero del fatto confessato, mentre nel caso in esame l’attore non ha fornito alcuna prova del fatto che non era stato il padre a corrispondere il corrispettivo dell’acquisto dell’immobile oggetto di causa.

Alla stregua delle superiori considerazioni può ritenersi adeguatamente dimostrato che l’appartamento sito a Messina in via  pal. 31. in NCEU alla partita 12927, foglio 101, part.lla 236, sub. 2 ha formato oggetto di donazione indiretta da parte di KKK a favore del figlio XXX. Di conseguenza, tale donazione va presa in considerazione sia ai fini della riunione fittizia che ai fini della imputazione ex se.

Il C.T.U. ing. ha accertato sia il valore degli immobili relitti, sia il valore dell’immobile donato a XXX, affermando che 1) il fabbricato sito a Messina in via , al catasto censito al foglio 100, particella 351, subalterno 3, aveva, al momento di apertura della successione, il valore di € 82.110,00, anche in considerazione della vetustà e della conseguente necessità di eseguire lavori di manutenzione, 2) il fabbricato sito a Messina in via , al catasto censito al foglio 100, particella 351, subalterno 4, aveva, al momento di apertura della successione, il valore di € 81.788,00 anche in considerazione della vetustà, non potendosi prendere in considerazione l’aumento di valore che è derivato dai lavori eseguiti da ZZZ nell’anno 2018 e che hanno avuto ad oggetto, secondo quanto accertato dallo stesso C.T.U., il rifacimento degli impianti idrico ed elettrico, la realizzazione dell’impianto di riscaldamento e la pavimentazione delle aree esterne.

Il C.T.U. ing. ha, altresì, accertato il valore dell’immobile donato all’attore, affermando che il fabbricato sito a Messina in via ProtomagnoPal.31 n.2, al catasto censito al foglio 101, particella 236 sub 2 aveva, al momento di apertura della successione, il valore di € 80.471,25.

I rilievi del tecnico di parte attrice contengono contestazioni sul valore attribuito ai beni dal C.T.U., ma tali censure non appaiono condivisibili.

Invero, il nominato C.T.U. ha applicato nella valutazione degli immobili il criterio sintetico comparativo sulla base delle rilevazioni statistiche dei prezzi di vendita ed ha cercato, altresì, di commisurare il valore attribuito ai beni alle loro concrete caratteristiche, quali la distribuzione interna degli ambienti. Orbene, la suddetta indagine risulta compiuta in modo corretto e convincente e le critiche sollevate sul punto dal convenuto non colgono nel segno, poiché è evidente che si limitano ad affermare in modo sostanzialmente apodittico una valutazione diversa da quella fornita dal C.T.U., che si deve ritenere assistita da una presunzione di imparzialità. D’altronde, la contestazione dell’esattezza delle conclusioni della espletata consulenza mediante la pura e semplice contrapposizione ad essa delle diverse valutazioni espresse dal consulente tecnico di parte non è sufficiente ad evidenziare alcun errore delle prime, ma solo la diversità dei giudizi formulati dagli esperti (Cass. civ. 28.03.2006 n. 7078).

Tenuto conto del fatto che, ai sensi dell’art. 537 c.c., quando il genitore lascia più figli, come nel caso in esame, a questi è riservata la quota di 2/3 dei beni, da dividersi in parti uguali tra tutti i figli, si deve concludere che a XXX spettano beni pari 2/9 (1/3 di 2/3) della sommatoria tra relictum e donatum. In particolare, alla stregua del valore dei beni come sopra determinato la quota di riserva spettante a XXX deve avere il valore di € 54.304,27 (2/9 di € 244.369,25, somma calcolata sommando il relictum pari a € 163.898,00 ed il donatum pari a € 80.471,25). Sennonché, dovendo XXX imputare alla propria quota la donazione da lui ricevuta del valore di € 80.471,25, è evidente che lo stesso non ha subito alcuna lesione nei suoi diritti di legittimario. Conseguentemente la domanda di riduzione avanzata dall’attore va rigettata e parimenti va disattesa anche la domanda di nullità della divisione effettuata dal testatore, dovendosi escludere che l’attore sia stato “pretermesso”. Infine, va rigettata anche la domanda subordinata di annullamento del testamento per “errore sul motivo. Invero, nel caso in esame non è configurabile alcun “errore”, inteso come “falsa rappresentazione della realtà”, poiché, come si è detto sopra, il bene indicato nel testamento come oggetto di donazione era stato effettivamente donato dal padre al figlio. Peraltro, il motivo erroneo si configura unicamente quando emerga con certezza che la volontà del testatore sia stata dominata dalla rappresentazione di un fatto non veritiero, in modo da doversene dedurre che se il fatto fosse stato percepito nella sua verità obiettiva, quella disposizione testamentaria non sarebbe stata redatta. Si è pertanto, al di fuori della figura dell’errore quando il testatore, al fine di aggirare il limiti alla autonomia testamentaria, affermi nel testamento una circostanza non vera, come sostanzialmente asserito dall’attore.

In conseguenza del rigetto di tutte le domande dell’attore, sulla base del principio della soccombenza, XXX va condannato al pagamento delle spese processuali, che, tenuto conto della natura e del valore della causa e della complessità delle questioni trattate, possono essere liquidate in complessivi e 7.616,00, di cui € 1.701,00 per fase studio, € 1.204,00 per fase introduttiva, € 1.806,00 per fase istruttoria ed € 2.905,00 per fase decisoria, oltre spese generali nella misura del 15 % dei compensi, I.V.A. c.p.a.. Restano, inoltre, a carico dell’attore le spese relative alle due C.T.U.. Tenuto conto, infine, della palese infondatezza delle domande dell’attore, che era bene a conoscenza prima della instaurazione del giudizio della dichiarazione ricognitiva contenuta nella scrittura da lui stesso sottoscritta datata 16.03.1999, dalla quale era possibile desumere la sostanziale fondatezza delle deduzioni difensive avversarie, lo stesso va condannato, ai sensi dell’art. 96 comma 3 c.p.c., avendo agito con colpa grave, al pagamento in favore dei convenuti, a titolo di risarcimento danni per responsabilità processuale aggravata, della somma equitativamente determinata in € 7.616,00, sulla base dell’importo delle spese processuali come sopra liquidate.

P.Q.M.

Il Tribunale in composizione collegiale, definitivamente pronunciando nella causa promossa con atto di citazione ritualmente notificato in data 12.09.2020 da XXX nei confronti di YYY e di ZZZ, sentiti i procuratori delle parti, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa, rigetta tutte le domande avanzate da parte attrice e condanna XXX al pagamento delle spese processuali, che liquida in complessivi e 7.616,00, di cui € 1.701,00 per fase studio, € 1.204,00 per fase introduttiva, € 1.806,00 per fase istruttoria ed € 2.905,00 per fase decisoria, oltre spese generali nella misura del 15 % dei compensi, I.V.A. c.p.a.; dispone che restino a carico dell’attore le spese relative alle due C.T.U.; condanna XXX al pagamento in favore dei convenuti, ai sensi dell’art. 96 comma 3 c.p.c., a titolo di risarcimento danni per responsabilità processuale aggravata, della somma di € 7.616,00.

Così deciso in Messina nella camera di consiglio della 1° sezione civile lì 01/09/2023

Il Presidente est.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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