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Proroga del contratto a tempo determinato

Il Decreto Legislativo n. 368 del 2001 (articolo 4) non prevede, a differenza di quanto stabilito dal Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, articolo 22, comma 2, in tema di somministrazione di lavoro (su cui cfr. La Corte di merito, nel suo incedere argomentativo, laddove ha affermato che in mancanza di forma scritta della proroga, il contratto a termine si converte in contratto a tempo indeterminato, non si è conformata agli enunciati principi dalla Corte di Cassazione.

Pubblicato il 16 May 2021 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Il Decreto Legislativo n. 368 del 2001 (articolo 4) non prevede, a differenza di quanto stabilito dal Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, articolo 22, comma 2, in tema di somministrazione di lavoro (su cui cfr. Cass. 10.10.2014 n. 21520), che la proroga del contratto a tempo determinato debba avvenire per iscritto.

Peraltro, neppure nell’impianto di cui alla L. n. 230 del 1962, era previsto che la pattuizione di una proroga dovesse avvenire con atto scritto, anche se in quel caso la mancata prescrizione di forma era superflua, posto che la prosecuzione del contratto oltre la durata iniziale comportava tout court la trasformazione del rapporto in contratto a tempo indeterminato (L. n. 230 del 1962, articolo 2), salva evidentemente la prova di una proroga concordata (cfr. Cass. 3/7/1990 n. 6797).

In tale contesto, come rimarcato in più occasioni dalla Suprema Corte, deve ritenersi che la mancata previsione della forma scritta per la proroga sia oggi bilanciata dai nuovi e più flessibili meccanismi sanzionatori descritti, comportanti maggiorazioni retributive per la prosecuzione del rapporto oltre la scadenza iniziale, oltre alla trasformazione del contratto in rapporto a tempo indeterminato qualora tale prosecuzione superi i detti limiti di venti o trenta giorni (a seconda che la durata iniziale del contratto sia inferiore o superiore a sei mesi), lasciando intatto l’onere in capo al datore di lavoro di provare l’esistenza delle ragioni obiettive che giustificano la proroga (vedi Cass. 21/1/2016 n. 1058, Cass. 4/5/2020 n. 8443).

Si è anche ritenuto, di conseguenza, che la suddetta disposizione, inserendosi in un complessivo articolato regime probatorio e sanzionatorio, corredato da limiti temporali massimi, non si pone in contrasto con la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, che, come affermato dalla Corte di Giustizia (sentenza 26 gennaio 2012, C-586/10), mira a limitare il ricorso a una successione di contratti o rapporti a tempo determinato attraverso l’imposizione agli Stati membri dell’adozione di almeno una delle misure in essa enunciato.

Deve allora osservarsi che il nostro legislatore, con il Decreto Legislativo n. 368 del 2001 (anche nel testo vigente all’epoca dei fatti causa), non solo ha previsto obiettive ragioni per l’assunzione a termine (articolo 1) e per la sua proroga, addossando sul datore di lavoro la prova della loro sussistenza (articolo 4), ma ha previsto altresì (sempre nel testo vigente all’epoca dei fatti) una durata massima del rapporto di lavoro in caso, di proroga, oltre a meccanismi sanzionatori per l’ipotesi di successione di contratti (articolo 5).

Nel caso esaminato dalla Corte, il lavoratore esponeva al Tribunale di essere stato assunto con contratto a tempo determinato per il periodo 6.12.2006 – 30.4.2007; deduceva altresì che il rapporto di lavoro era stato rinnovato verbalmente sino al 30.9.2007, allorquando gli era stato comminato licenziamento in forma orale. Sulla scorta di tali premesse chiedeva accertarsi l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e condannarsi la società alla reintegra nel posto di lavoro ed, in subordine, al pagamento di un’indennità pari a quindici mensilità della retribuzione globale di fatto percepita, oltre alla corresponsione di differenze retributive e dell’indennità di mancato preavviso.

Costituitasi la società contestava le domande chiedendone la reiezione.

Il giudice adito respingeva il ricorso. Detta pronuncia veniva riformata dalla Corte d’appello di Catanzaro che, con sentenza resa pubblica il 27.5.2017, accertava l’esistenza fra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far tempo dal 11/5/2007, dichiarava l’inefficacia del licenziamento intimato e condannava la società al risarcimento del danno in favore del lavoratore, liquidato in misura corrispondente alla retribuzione globale di fatto dovuta dal 3.12.2007 al 20.11.2008.

Nel pervenire a tali conclusioni, il giudice del gravame osservava che: a) la proroga del contratto a termine intercorso fra le parti non poteva desumersi né dalla documentazione prodotta né dalle prove testimoniali richiamate; b) la lettera di proroga risultava sottoscritta dal solo datore di lavoro e non anche dal lavoratore, né risultava dimostrato l’invio al Centro per l’Impiego; c) in mancanza di forma scritta l’effetto di conversione del contratto di lavoro a tempo determinato in contratto di lavoro a tempo indeterminato era diretta conseguenza della disposizione di legge (L. n. 368 del 2001, articolo 5); d) la comunicazione inviata oralmente della scadenza del nuovo termine illegittimamente stabilito dal datore di lavoro equivaleva ad un licenziamento orale inefficace, ai sensi della L. n. 604 del 1966, articolo 2, comma 3.

La Corte di merito, nel suo incedere argomentativo, laddove ha affermato che in mancanza di forma scritta della proroga, il contratto a termine si converte in contratto a tempo indeterminato, non si è conformata agli enunciati principi.

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Ordinanza n. 10870 del 23 aprile 2021

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